Volodyk - Paolini1-Eragon.doc
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Eragon si strinse nelle spalle. «Può darsi... Quando raggiungiamo le montagne, potrei portarla nel Surda: non è lontano. Lì troveremo sicuramente un guaritore che possa curarla; noi non possiamo.» Murtagh si schermò gli occhi con la mano e guardò le montagne. «Ne riparleremo in seguito. Per adesso il nostro obiettivo è raggiungere i Beor. Lì, se non altro, i Ra'zac avranno non pochi problemi a scovarci, e saremo al sicuro dall'Impero.»
Le ore passavano, ma i Monti Beor non sembravano avvicinarsi, anche se il paesaggio mostrava drastici cambiamenti. La sabbia si trasformò lentamente da una distesa di granelli rossicci a un terreno compatto, color crema. Al posto delle dune c'erano macchie irregolari di vegetazione e profondi solchi lasciati dalle alluvioni. Accolsero con sollievo una brezza fresca che dissipò il caldo torrido. I cavalli sentirono il cambiamento di clima e si lanciarono al galoppo.
Quando la sera oscurò il sole, le colline ai piedi dei monti erano a solo un miglio di distanza. Branchi di gazzèlle saltellavano fra prati folti d'erba alta. Eragon colse Saphira che le adocchiava famelica. Si accamparono vicino a un corso d'acqua, lieti di essere usciti dalle grinfie del Deserto di Hadarac.
IL PERCORSO SVELATO
S
finiti e smunti, ma pronti ad aprirsi in grandi sorrisi di trionfo, si sedettero intorno al fuoco congratulandosi a vicenda. Saphira ruggì di gioia, spaventando i cavalli. Eragon fissava le fiamme. Era orgoglioso di aver coperto sessanta leghe in cinque giorni. Era un'impresa
notevole, perfino per un cavaliere in grado di cambiare cavalcatura regolarmente. Sono fuori dall'Impero. Era un pensiero strano. Era nato nell'Impero, era sempre vissuto sotto il regno di Galbatorix, aveva perso la famiglia e i suoi migliori amici per colpa dei suoi servi, ed era stato più volte sul punto di morire nel suo dominio. Adesso era libero. Lui e Saphira non sarebbero più stati costretti a seminare soldati, evitare le città o nascondere la loro identità. Era una constatazione dal sapore agrodolce, perché gli costava la perdita del suo mondo.
Alzò gli occhi alle stelle che luccicavano nel firmamento. E anche se il pensiero di costruirsi una casa nella sicurezza dell'isolamento lo attirava, era stato testimone di troppe atrocità commesse in nome di Galbatorix, dall'omicidio alla schiavitù, per volgere le spalle all'Impero. Non era più soltanto una questione di vendetta per la morte di Garrow e di Brom: da Cavaliere, era suo dovere difendere coloro che non avevano la forza di resistere alla tirannia di Galbatorix.
Con un sospiro abbandonò le sue meditazioni e guardò l'elfa distesa accanto a Saphira. La luce arancione del falò dava al suo volto una calda morbidezza. Piccole ombre le danzavano sotto gli zigomi. Piano piano nella sua mente andò formandosi un'idea.
Eragon poteva sentire i pensieri delle persone e degli animali - e comunicare con loro in quella maniera, se voleva - ma era una cosa che aveva fatto di rado, tranne che con Saphira. Ricordava sempre rammonimento di Brom: non violare la mente di una persona se non è assolutamente necessario. Salvo quell'unica volta in cui aveva tentato di sondare la coscienza di Murtagh, Eragon si era trattenuto dal farlo.
Ora, tuttavia, cominciava a chiedersi se fosse possibile parlare all'elfa immersa in quel sonno indefinito. Potrei riuscire a capire dai suoi ricordi perché rimane così remota. Ma se poi si riprende, mi perdonerà per questa intrusione? Comunque finisca, devo tentare. È in queste condizioni da quasi una settimana. Senza parlare delle sue intenzioni né con Murtagh né con Saphira, s'inginocchiò al fianco dell'elfa e le posò il palmo sulla fronte.
Eragon chiuse gli occhi ed estese un filamento di pensiero, come per saggiare il terreno, verso la mente dell'elfa. La trovò senza difficoltà. Non era confusa o piena di dolore cóme si era aspettato, ma lucida e cristallina, come una nota emessa da una campana di vetro. All'improvviso un pugnale di ghiaccio gli trapassò il cervello. Un dolore lancinante gli esplose dietro gli occhi, schizzando spruzzi di colore. Provò a sottrarsi all'attacco, ma si ritrovò prigioniero in una morsa di ferro.. Eragon lottò come un disperato, facendo ricorso a ogni difesa che riusciva a immaginare. Il pugnale lo colpì di nuovo. Allora innalzò freneticamente le proprie barriere per attutire l'impatto. Il dolore fu meno lacerante della prima volta, ma gli fece perdere la concentrazione. L'elfa ne approfittò per schiacciare le sue difese.
Una coltre soffocante lo avvolse, spegnendogli i pensieri. La forza soverchiante lentamente si contrasse, spremendo da lui la vita goccia a goccia, anche se tentava di resistere, perché non voleva arrendersi.
L'elfa strinse la morsa ancora più forte, per estinguerlo come una candela. Disperato, Eragon gridò nell'antica lingua: «Eka ai fricai un Shur'tugal!» "Sono un Cavaliere e un amico!" L'abbraccio mortale non si allentò, ma la stretta si fermò e da lei emanò sorpresa.
Un secondo dopo seguì il sospetto, ma Eragon sapeva che lei gli avrebbe creduto: non poteva mentire nell'antica lingua. Tuttavia, per quanto avesse detto di essere un amico, questo non significava che non volesse farle del male. Per quanto ne sapeva lei, Eragon si riteneva un amico, e ciò rendeva vera l'affermazione dal suo punto di vista, ma lei poteva non considerarlo tale. L'antica lingua ha i suoi limiti, pensò Eragon, sperando che l'elfa fosse abbastanza curiosa da correre il rischio di lasciarlo libero.
Lo fu. La pressione si allentò, e le barriere intorno alla mente di lei si abbassarono esitanti. L'elfa permise che i loro pensieri si toccassero con circospezione, come due animali selvaggi quando s'incontrano per la prima volta. Un brivido freddo corse lungo la spina dorsale di Eragon. La mente di lei era remota. Era vasta e potente, carica di ricordi di innumerevoli anni. Pensieri oscuri aleggiavano lontani dalla vista e dal contatto; manufatti della sua razza lo fecero rabbrividire quando gli sfiorarono la coscienza: Eppure attraverso tutte le sensazioni scintillava una melodia di selvaggia, ipnotica bellezza, che incarnava la sua identità,
Come ti chiami? gli domandò lei, nell'antica lingua. La sua voce era stanca, incrinata da una quieta disperazione,
Eragon, E tu? La coscienza di lei lo attirò più vicino, invitandolo a immergersi nelle correnti dei suo sangue. Lui si oppose al richiamo con difficoltà, anche se il suo cuore anelava ad accoglierlo. Per la prima volta comprese la malìa degli elfi. Erano creature magiche, libere dalle leggi mortali della terra, diverse dagli esseri umani come i draghi lo erano dagli animali.
... Arya. Perché mi hai chiamata in questo modo? Sono ancora prigioniera dell'Impero? No, sei libera! disse Eragon. Anche se conosceva poche parole dell'antica lingua, riuscì a formulare il messaggio: Anch'io ero prigioniero a Gil'ead, ma sono fuggito e, ti ho salvata. Da allora sono passati cinque giorni; abbiamo attraversato la regione più stretta del Deserto di Hadarac e ora siamo accampati ai piedi dei Monti Beor, io, il mio amico e la dragonessa Saphira. Per tutto questo tempo tu non ti sei mossa né hai detto una parola.
Ah... e così era Gil'ead. Fece una pausa. So che le mie ferite sono state sanate, ma non capivo perché... per prepararmi a qualche nuovo tipo di tortura, pensavo. Ora capisco che sei stato tu . In tono più dolce aggiunse: Malgrado questo, non mi sono risvegliata, e tu sei perplesso. Sì.
Durante la prigionia mi hanno dato un raro veleno, lo Skilna Bragh, insieme a una, droga per sopprimere i miei poteri. Ogni mattina mi davano l'antidoto per quel veleno: per forza, se mi rifiutavo. Senza di esso sarei morta nel giro di poche ore. Ecco perché sono in trance... rallenta l'effetto dello Skilna Bragh, anche se non può fermarlo,.. Ho pensato di svegliarmi per porre fine alla mia esistenza e negare a Galbatorix la soddisfazione di, tenermi prigioniera, ma mi sono trattenuta, nella speranza che tu fossi un alleato... La sua voce si spense in un soffio. Quanto a lungo puoi rimanere in questo stato? chiese Eragon.
Per settimane, ma temo che non mi resti più molto tempo. Questo sonno non può bloccare la morte per sempre. La sento già nelle mie vene. Se non ricevo presto l'antidoto, mi arrenderò al veleno in tre, quattro giorni
Dove si trova l'antidoto?
Esiste soltanto in due luoghi al di fuori dell'Impero: tra la mia gente e dai Varden. Purtroppo la mia casa è ben più lontana di un volo di drago.
E i Varden? Avremmo voluto portarti da loro, ma non sappiamo dove sono.
Te lo dirò... semi dai la tua parola che non rivelerai mai dove si trovano a Galbatorix o a chiunque lo serva, E dovrai giurarmi che non mi hai ingannata in alcun modo e che non hai intenzione di fare del male.agli elfì, ai nani, ai Varden o alla razza dei draghi.
Quello che chiedeva Arya era abbastanza semplice, se non avessero conversato nell'antica lingua. Eragon sapeva che lei pretendeva un giuramento più vincolante della vita stessa. Una volta fatto, non avrebbe mai potuto essere infranto. Ne sentì il peso mentre impegnava solennemente la sua parola.
Giuro di... Una serie di immagini vertiginose gli balenò nella mente all'improvviso. Si ritrovò a cavalcare lungo la catena dei Beor, viaggiando per molte leghe verso oriente. Fece del suo meglio per ricordare il percorso, mentre monti aguzzi e colline gli passavano accanto di corsa. Ecco che puntava a sud, seguendo ancora le montagne. Poi tutto vorticò bruscamente, e il ragazzo entrò in una valle stretta e tortuosa che serpeggiava attraverso le montagne, alla base di una cascata spumeggiante che si riversava in un profondo lago.
L'immagine si fermò. È lontano, disse Arya, ma non farti scoraggiare dalla distanza. Quando arriverai al Lago Kóstha-mérna, alla fine del fiume Zannadorso, raccogli una pietra, battila contro la rupe vicino alla cascata e grida: Ai varden abr du Shur'tugals gata vanta. Verrai ammesso. Probabilmente ti sfideranno, ma non vacillare, per quanto possa sembrarti pericoloso. Che cosa dovrebbero darti contro il veleno? chiese lui.
Le tremò la voce, ma poi riprese le forze. Di' loro... di darmi il Nettare di Tùnivor. Adesso devi lasciarmi... ho consumato già troppe energie. Non provare più a parlarmi, a meno che tu non ce la faccia a raggiungere i Varden. In quel caso, c'è un'informazione che dovrò darti perché i Varden sopravvivano. Addio, Eragon. Cavaliere dei Draghi... la mia vita è nelle tue mani. Arya si ritrasse dal contatto. Le melodie ultraterrene che erano echeggiate durante rincontro svanirono. Eragon rabbrividì e si costrinse ad aprire gli occhi. Murtagh e Saphira erano al suo fianco e lo osservavano preoccupati. «Stai bene?» gli chiese Murtagh. «Sei rimasto li immobile per quasi un quarto d'ora.»
«Davvero?» disse Eragon, battendo le palpebre.
Sì, e avevi l'espressione di un gargoyle col mal di stomaco , commentò Saphira, asciutta. Eragon si alzò, massaggiandosi le ginocchia indolenzite. «Ho parlato con Arya!» Murtagh inarcò un sopracciglio, come se si stesse chiedendo se era uscito di senno. «L'elfa» spiegò Eragon. «Si chiama così.»
E che cosa può guarirla? domandò Saphira, impaziente.
Eragon raccontò loro tutta la conversazione. «Quanto sono lontani i Varden?» chiese Murtagh. «Non ne sono sicuro» confessò Eragon. «Da quello che mi ha mostrato, il loro rifugio è più lontano che da qui a Gil'ead.»
«E dovremmo riuscire a farcela in tre o quattro giorni?» esclamò Murtagh, infuriato. «Ma se ci abbiamo messo cinque lunghissimi giorni per arrivare qui! Che intenzioni hai? Di uccidere i cavalli? Sono stremati.».
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