Volodyk - Paolini2-Eldest

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Eragon non riuscì più a trattenersi. Perché l'hai fatto? esplose. Non avevi ragione d'interferirei

Ti serviva il mio aiuto, ribattè lei, imperturbabile.

Se mi serviva il tuo aiuto, ti avrei chiamata!

Non rivolgerti a me con quel tono, sbottò lei, facendo schioccare le fauci. Eragon percepì in lei lo stesso groviglio di emozioni che sconvolgeva lui. Non ti permetterò di perdere tempo con una sgualdrina che si interessa più a Eragon come Cavaliere che non come persona.

Non è una sgualdrina, ruggì lui, sferrando un pugno alla parete per la frustrazione. Sono un uomo, adesso, Saphira, non un eremita. Non puoi pretendere che ignori... ignori le donne solo perché io sono quello che sono. E di sicuro non spetta a te decidere. Almeno avrei potuto godere di una piacevole conversazione con lei, una piccola distrazione fra tutte le tragedie che abbiamo affrontato di recente. Tu sei dentro di me abbastanza da sapere cosa provo. Perché non mi hai lasciato stare? Che male c'era?

Non capisci. La dragonessa si rifiutava di incontrare il suo sguardo.

Non capisco! Vorresti forse impedirmi di avere una moglie e dei figli, un giorno? Una famiglia?

Eragon. Finalmente Saphira posò un grande occhio su di lui. Noi siamo legati intimamente.

Ovvio!

E se tu intrecci una relazione, con o senza la mia benedizione, e ti... affezioni... a qualcuno, coinvolgerai anche i miei sentimenti. Dovresti saperlo. Perciò - e ti avverto solo questa volta - stai attento a chi scegli, perché entrambi ne subiremo le conseguenze.

Eragon riflettè qualche istante sulle sue parole. Il nostro legame funziona in entrambi i sensi, ricorda. Se tu odi qualcuno, anch'io ne resterò influenzato... ma comprendo la tua preoccupazione. Quindi, non eri soltanto gelosa? Saphira si leccò ancora gli artigli. Forse, un pochino.

Fu Eragon a ringhiare, questa volta. La superò imbronciato ed entrò nella stanza, prese Zar'roc e uscì di nuovo a grandi passi, allacciandosi la spada alla cintura.

Vagò per Tronjheim per ore, evitando chiunque. Quello che era successo lo addolorava, anche se non poteva negare la verità delle parole di Saphira. Di tutte le questioni che condividevano, era la più delicata, quella su cui andavano meno d'accordo. Quella notte - per la prima volta da quando era stato catturato a Gil'ead - dormì lontano da Saphira, in uno dei quartieri destinati ai nani.

Eragon tornò al proprio alloggio la mattina seguente. Per un tacito accordo, lui e Saphira evitarono di discutere su quanto era accaduto; litigare ancora era inutile quando nessuno dei due era disposto a cedere. Per giunta, provarono un tale sollievo nel riunirsi che non vollero rischiare di mettere in pericolo la loro amicizia.

Stavano mangiando - Saphira strappava brani di carne da un cosciotto sanguinolento - quando arrivò Jarsha. Come sempre, rimase impalato a fissare Saphira, seguendone i movimenti mentre rosicchiava i resti di un femore. «Sì?» disse Eragon, asciugandosi il mento e chiedendosi se era il Consiglio degli Anziani che lo mandava a chiamare. Non aveva più avuto notizie dal funerale.

Jarsha distolse lo sguardo da Saphira giusto il tempo di dire: «Nasuada desidera vederti, mio signore. Ti aspetta nello studio di suo padre.»

Signore! Eragon trattenne una risata. Soltanto qualche tempo prima, era lui a chiamare signore gli altri, e non viceversa. Rivolse un'occhiata a Saphira. «Hai finito, o dobbiamo aspettare ancora?»

Roteando gli occhi, la dragonessa inghiottì la carne e spezzò l'osso con uno schianto secco. Ho finito. «D'accordo» disse Eragon, alzandosi. «Puoi lasciarci, Jarsha, conosciamo la strada.»

Impiegarono quasi mezz'ora per raggiungere lo studio, data la vastità della città-montagna. Come durante il governo di Ajihad, la soglia era presidiata, ma invece di due soli uomini, un'intera brigata di guerrieri armati di tutto punto sorvegliavano la porta, pronti a intervenire al minimo segnale di pericolo e disposti a sacrificare la propria vita per proteggere il loro nuovo capo da agguati o aggressioni.

Pur avendoli chiaramente riconosciuti, le sentinelle sbarrarono il passo a Eragon e Saphira, mentre Nasuada veniva avvertita della loro visita. Soltanto dopo fu concesso loro di entrare.

Eragon si accorse subito di un cambiamento nello studio: un vaso di fiori. I piccoli boccioli purpurei erano discreti, ma spandevano una tiepida fragranza che a Eragon evocava estati profumate di lamponi appena colti e campi di grano falciato che imbiondivano al sole. Inspirò a fondo, apprezzando l'abilità di Nasuada nell'affermare la propria personalità senza offuscare il ricordo di Ajihad.

La giovane era seduta alla grande scrivania, ancora vestita a lutto. Mentre Eragon si accomodava, e Saphira prendeva posto al suo fianco, lei disse: «Eragon.» Una semplice constatazione, né amichevole né ostile. Distolse brevemente lo sguardo, poi si concentrò su Eragon, gli occhi fieri e risoluti. «Ho trascorso gli ultimi giorni a esaminare gli affari dei Varden. Un'attività sconfortante. Siamo poveri, divisi e a corto di risorse; per giunta, sono pochi i rinforzi che giungono a noi dall'Impero. Ho intenzione di cambiare la situazione.

«I nani non possono continuare a mantenerci ancora a lungo; è stata una brutta annata per i raccolti, e loro hanno subito molte perdite. Tutto considerato, ho deciso di spostare i Varden nel Surda. È un progetto ambizioso, lo so, ma lo ritengo necessario per la nostra sicurezza. Una volta nel Surda, finalmente saremo abbastanza vicini da sferrare un attacco diretto all'Impero.»

Perfino Saphira ebbe un sussulto di sorpresa. Un'impresa immane! commentò Eragon. Ci vorranno mesi per spostare i beni di ogni Varden nel Surda, per non parlare della popolazione. E con ogni probabilità verranno attaccati durante il cammino. «Credevo che re Orrin non osasse sfidare apertamente Galbatorix» obiettò.

Nasuada sorrise. «La sua posizione è cambiata da quando abbiamo sconfitto gli Urgali. Ci offrirà asilo e rifornimenti, e combatterà al nostro fianco. Molti Varden sono già nel Surda, soprattutto donne e bambini che non potevano o non volevano combattere. Anche loro ci sosterranno, altrimenti li rinnegherò.»

«Ma come hai fatto» chiese Eragon «a comunicare così in fretta con re Orrin?»

«I nani usano un sistema di specchi e lanterne per trasmettere messaggi attraverso i tunnel. Sono in grado di inviare un dispaccio da qui ai confini occidentali dei Monti Beor in meno di un giorno. Poi i corrieri lo portano ad Aberon, la capitale del Surda. Tuttavia, per quanto veloce, questo metodo è ancora troppo lento, quando Galbatorix è in grado di sorprenderei con un esercito di Urgali con meno di un giorno di preavviso. Intendo organizzare qualcosa di molto più rapido fra il Du Vrangr Gata e i maghi di Rothgar, prima che ce ne andiamo.»

Nasuada aprì un cassetto della scrivania ed estrasse un rotolo di pergamena. «I Varden partiranno dal Farthen Dùr nel giro di un mese. Rothgar ci garantirà un passaggio sicuro attraverso i tunnel. Inoltre ha mandato una squadra a Orthìad per eliminare quel che resta degli Urgali e sigillare i tunnel affinchè nessuno possa attaccare i nani usando ancora quel percorso. E sebbene questo non assicuri la sopravvivenza dei Varden, ho un favore da chiederti.» Eragon annuì. Si era aspettato una richiesta o un comando. Era l'unica ragione per cui lei li aveva convocati. «Sono ai tuoi ordini.»

«Può darsi.» Gli occhi di lei guizzarono dalla parte di Saphira per un secondo. «Ma non si tratta di un ordine, e voglio che tu rifletta a fondo prima di rispondere. Per ingrossare le schiere di coloro che sostengono i Varden, vorrei diffondere in tutto l'Impero la notizia che un nuovo Cavaliere, di nome Eragon Ammazzaspettri, e il suo drago, Saphira, si sono uniti alla nostra causa. Tuttavia, gradirei il tuo consenso prima di farlo.»

È troppo pericoloso, protestò Saphira.

La notizia della nostra esistenza raggiungerà l'Impero in ogni caso, puntualizzò Eragon. I Varden vogliono vantarsi della vittoria e della morte di Durza. Dato che accadrà con o senza il nostro consenso, credo che dovremmo accettare. La dragonessa diede in un leggero sbuffo. Mi preoccupa Galbatorix. Finora non abbiamo manifestato pubblicamente da che parte stiamo.

Le nostre azioni sono state fin troppo eloquenti.

Sì, ma anche quando Durza ha combattuto contro di te a Tronjheim, non aveva intenzione di ucciderti. Se ci schieriamo contro l'Impero, Galbatorix non sarà più così indulgente. Chi può sapere quali forze o complotti ha tenuto in sospeso, mentre tentava di attirarci dalla sua parte? Finché restiamo nell'ambiguità, non saprà che fare.

Il tempo per l'ambiguità è passato, dichiarò Eragon. Abbiamo combattuto gli Urgali, ucciso Durza, e ho giurato fedeltà al capo dei Varden. Non esiste alcuna ambiguità. No, col tuo permesso acconsentirò alla sua proposta. La dragonessa tacque per lunghi istanti, poi abbassò la testa. Come preferisci.

Eragon le posò una mano sul fianco prima di rivolgere la sua attenzione a Nasuada e proclamare: «Fa' ciò che ti sembra opportuno. Se è questa la maniera in cui possiamo aiutare i Varden, così sia.»

«Ti ringrazio. Lo so che è chiederti molto. Ora, come abbiamo stabilito prima del funerale, vorrei che andassi a Ellesméra per completare il tuo addestramento.»

«Con Arya?»

«S'intende. Gli elfi si sono rifiutati di comunicare sia con noi umani che con i nani da quando fu catturata. Arya è l'unico essere vivente in grado di convincerli a uscire dall'isolamento.»

«Non può usare la magia per riferire loro del suo salvataggio?»

«Purtroppo no. Quando gli elfi si sono ritirati nella Du Weldenvarden, dopo la caduta dei Cavalieri, hanno eretto protezioni magiche tutto intorno alla foresta per impedire a qualunque pensiero, oggetto o creatura di entrare per mezzo di poteri arcani, anche se non di uscire, se ho ben capìto le spiegazioni di Arya. Per questo motivo, Arya deve andare di persona nella Du Weldenvarden affinchè la regina Islanzadi sappia che è viva, che tu e Saphira esistete, e venga a conoscenza di tutti gli eventi che hanno coinvolto i Varden in questi ultimi mesi.» Nasuada gli porse la pergamena. Era chiusa da un sigillo di cera. «Questa è una lettera per la regina Islanzadi, che le spiega la situazione dei Varden e i miei progetti in proposito. Difendila a costo della vita. Se cadesse nelle mani sbagliate, provocherebbe danni enormi. Spero che dopo quanto è accaduto, Islanzadi ci conceda nuovamente la sua benevolenza e riallacci i rapporti diplomatici. Il suo aiuto potrebbe rappresentare la differenza fra la vittoria e la sconfitta. Arya lo sa e ha accettato di perorare la nostra causa, ma volevo che anche tu conoscessi la situazione, per poter sfruttare qualunque occasione si presenti.» Eragon s'infilò la pergamena nella giubba. «Quando dovremmo partire?»

«Domattina... a meno che non abbiate già qualche altro programma.»

«No.»

«Bene» fece Nasuada, intrecciando le mani avanti a sé. «Sappiate che un'altra persona viaggerà insieme a voi.» Eragon la guardò interrogativo. «Re Rothgar ha deciso che per amor di equità dovrebbe esserci un rappresentante dei nani ad assistere al tuo addestramento, poiché la questione riguarda anche la loro razza. Perciò vi accompagnerà Orik.» La prima reazione di Eragon fu di irritazione. Saphira avrebbe potuto volare fino alla Du Weldenvarden portando lui e Arya, risparmiando loro settimane di inutile cammino. Ma tre passeggeri erano troppi da ospitare sulle spalle di Saphira. La presenza di Orik li avrebbe costretti a viaggiare via terra.

Dopo una breve riflessione, però, Eragon riconobbe che la richiesta di Rothgar era molto saggia, perché garantiva a Eragon e Saphira una parvenza di imparzialità di fronte alle diverse razze. Sorrise. «D'accordo. Questo ci rallenterà, ma suppongo di dover cedere a Rothgar. A dire il vero, sono contento di avere la compagnia di Orik. Attraversare Alagaèsia soltanto con Arya era una prospettiva inquietante. Lei è...»

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