Serna Moisés De La Juan - Contatto Per La Felicità

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Serna Moisés De La Juan - Contatto Per La Felicità краткое содержание

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La felicità per alcuni è uno stato, per altri è la via, ma quando arriva l'amore, ogni sofferenza viene dimenticata. Un romanzo intimo di persone sconosciute l'una all'altra, con sentimenti contrastanti che convergono su un unico punto, l'AMORE.

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Contatto

per la

Felicità

Juan Moisés de la Serna

Traduzione italiana Cinzia Pasqualino

Edizioni Tektime

2020

“Contatto per la Felicità”

Scritto da Juan Moisés de la Serna

1a edizione: marzo 2020

© Juan Moisés de la Serna, 2020

© Edizioni Tektime, 2020

Tutti i diritti riservati

Distribuito da Tektime

https://www.traduzionelibri.it

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Prologo

La felicità per alcuni è uno stato, per altri è il cammino, ma quando arriva l`amore, ogni sofferenza viene dimenticata.

Un romanzo intimo di persone sconosciute tra loro, con sentimenti contrastanti che confluiscono in un unico punto, l’AMORE.

Dedicato ai miei genitori

Nella vita in alcuni momenti

dobbiamo decidere

che cosa vogliamo fare

quali passi compiere.

Potrebbe non essere facile

l’ambiente è ostile

ma se lottiamo

possiamo farcela.

Impegnarsi è importante,

ogni giorno dobbiamo fare

degli sforzi, andare avanti

e quindi arrivare alla vittoria.

Basta non fermarsi

quando si decide

di combattere con tutte le proprie forze

per realizzare il proprio obiettivo e raggiungerlo.

AMORE

Índice de contenido

Prologo Prologo La felicità per alcuni è uno stato, per altri è il cammino, ma quando arriva l`amore, ogni sofferenza viene dimenticata. Un romanzo intimo di persone sconosciute tra loro, con sentimenti contrastanti che confluiscono in un unico punto, l’AMORE.

CAPITOLO 1. PRIMO GIORNO

CAPITOLO 2. IL SECONDO GIORNO

CAPITOLO 3. L’ORIGINE

CAPITOLO 4 VIAGGIO IN TRENO

CAPITOLO 5. NUOVA CITTÀ: PRIMO GIORNO

CAPITOLO 6. NUOVA CITTÀ: SECONDO GIORNO

CAPITOLO 1. PRIMO GIORNO

Arrivai in città, all’inizio senza conoscerne realmente il motivo, ma ero sicuro di avere qualcosa da fare lì, perché fino ad allora ogni volta che andavo in un posto era per aiutare qualcuno, anche se questa persona non era consapevole che io ero il canale utilizzato.

Alloggiai in un motel della periferia e presi la prima linea di autobus che vidi per percorrere le strade di quella città sconosciuta. All’inizio quando senti parlare di un posto nuovo, ti informi dei luoghi più significativi e turistici che si possono visitare, ma la cosa più importante per me era conoscere i luoghi religiosi e gli ospedali, dove poter compiere la mia missione.

Con una cartina in mano, guardavo le strade, per memorizzare quali fossero le fermate che mi interessavano su quella linea, così ogni volta che ci fermavamo per far scendere o salire i passeggeri, facevo un segno sulla cartina e cercavo gli edifici vicini che mi interessavano.

Avevo imparato che quando si ha poco tempo, bisogna sfruttarlo al meglio per compiere la propria missione. E così feci, cercai quei luoghi dove si riunivano le persone di fede, per non doverle cercare casa per casa.

Arrivai all’ultima fermata dell’autobus e scesi, era davvero lungo il viaggio del ritorno, ma prima di prendere l’autobus per tornare al motel decisi di camminare un po’ e conoscere la gente, perché nonostante vivessi in un grande paese con una propria idiosincrasia, ogni città ha il suo stile e dentro di essa, ogni zona ha la sua identità.

Si trattava di un quartiere popolare in linea con i grandi edifici che come alveari davano rifugio a migliaia di persone. Gli scarsi spazi verdi che lo circondavano e la mancanza di attrezzature per il tempo libero, davano l’idea che i suoi abitanti erano troppo occupati nella loro costante evoluzione del lavoro per perdere tempo seduti in un parco a leggere il giornale.

Camminai un po’ e notai i veicoli, erano piuttosto vecchi e nonostante il loro aspetto trascurato venivano utilizzati ogni giorno. Sicuramente venivano usati per trasportare intere famiglie, lasciando tutti a lavoro o a scuola prima di finire all’interno di alcuni edifici adibiti esclusivamente a parcheggi.

Intere torri venivano usate quotidianamente da migliaia di lavoratori che sapevano che per strada non avrebbero trovato un posto libero per parcheggiare.

Continuai a camminare, mi accorsi e rimasi sorpreso che non c’era quasi nessuna traccia di sporco per le strade, cosa che avevo già notato nei quartieri popolari di altre città. Più la popolazione è umile, più si prendono cura delle aree comuni, come se sapessero che nessuno verrà a sistemare ciò di cui non si prendono cura.

Continuai e trovai una piccola chiesa in mezzo a un campo aperto, era un piccolo edificio all’ombra di due grandi case. Entrai, ma mentre mi avvicinavo vidi che c’era un cartello sulla porta, che annunciava il giorno e l’ora della funzione, specificando che rimaneva chiusa per il resto del tempo.

Mentre scendevo le scale davanti alla chiesa, pronto per tornare al motel, una vecchia signora che passava di lì, con indosso un vestito floreale piuttosto appariscente, mi salutò dicendo,

«Giovane, è presto per la messa, perché mancano ancora due ore.»

«Sì, signora, è che sono nuovo della città e mi sono avvicinato per vedere se fosse aperta e visitarla.»

«Da molto tempo non si apre al di fuori dell’orario delle celebrazioni. Prima, quando ero bambina, la casa del Signore era sempre aperta in qualsiasi momento, si poteva passare e pregare, stare un po’ in silenzio e poi andare per la propria strada, ma ora è diverso, tutti hanno troppa fretta per rendersi conto che c’è una chiesa. Mi sembra che anche il sacerdote abbia fretta ed è per questo che non ha nemmeno il tempo di aprire prima dell’orario.»

La ringraziai per l’informazione e, visto che la signora mi era simpatica, le chiesi cordialmente,

«Posso farle un regalo?»

«Non sono vecchia come sembro, a quale donna non piace ricevere un regalo, anche se non so quale sia il motivo,» mi rispose sorpresa.

«Non ho alcun motivo per condividere la mia giornata, voglio solo che sia felice.»

«Ah, allora sì.»

Detto questo, e senza aspettare ancora, le misi la mano destra sulla fronte e dopo pochi secondi, la tolsi e le dissi,

«Questo è tutto, spero che abbiate una splendida giornata.»

Sembravo assorta, con uno strano sorriso di felicità, come quello di una bambina quando è tra le braccia di sua madre, mi ci volle un po’ per reagire ma ormai l’uomo se n’era già andato.

In fretta, ma senza correre, come potei, ritornai dal parrucchiere dove avevo lasciato solo pochi minuti prima una conversazione importante con le mie amiche, con le quali avevo condiviso buona parte della mattinata. Ma i miei obblighi verso mio nipote, al quale dovevo preparare il pranzo, mi avevano indotto a lasciare quel momento di svago e tornare a casa. Arrivando alla porta del parrucchiere la aprii ed entrando salutai tutti e una di loro vedendomi mi chiese,

«Cosa hai dimenticato? Pensavamo che già fossi tra i fornelli.»

Ancora prima di risponderle aggiunse,

«Ehi, piccola, sei rossa in viso, qualcuno ti ha fatto un complimento per strada e sei venuta per condividerlo con noi? » E tutte iniziarono a ridere.

«Ancora meglio,» dissi, e subito tutte rimasero in silenzio.

«Meglio di un complimento alla nostra età? Dicci, perché ci interessa» commentò la prima.

«Ho conosciuto un uomo…»

«Allora presentamelo,» disse un’altra, interrompendomi dal fondo, e tutte risero di nuovo.

«Seriamente, ragazze, questo aveva uno sguardo speciale.»

«Vai avanti, continua piccola» ripeté la donna sullo sfondo e tutte risero di nuovo.

«E poi con la sua mano mi ha toccato e ho sentito un calore…»

«Ehi ragazza! C’è gente perbene davanti a te, stai diventando tutta rossa» disse la prima, interrompendomi e tutte risero di nuovo.

Mi sentivo molto a mio agio senza sapere il perché, ma a quanto pare la mia gioia contagiava le altre, perché nonostante fossimo donne avanti con gli anni, normalmente quel luogo ci serviva per discutere di ciò che ci interessava, dei problemi dei giovani, della mancanza di lavoro, di quanto fosse cara la vita…

Invece, ora stavamo ridendo a crepapelle, senza pensare a nessuna delle ansie che dovevamo affrontare quotidianamente.

Me ne andai con la sensazione di essermi divertita e di sentirmi molto bene, le mie amiche mentre mi salutavano mi dicevano che quando avrei avuto un altro giorno come questo non avrei dovuto esitare a tornare di nuovo e di chiedergli il numero di telefono, c’erano diverse candidate disposte a farsi toccare.

Camminavo per la strada come se fossi su una nuvola, ricordando e ridendo delle battute che erano state fatte dalle mie amiche, era una sensazione meravigliosa che mi avvolgeva.

A cinquant’anni, non ricordo un momento così piacevole come questo, nonostante abbia vissuto dei bei momenti, il giorno del mio matrimonio, quando ebbi mia figlia o quando questa ebbe mio nipote.

Forse quelle tre erano le più straordinarie, ma tutte e tre erano gioie da condividere con gli altri, ma ora era diverso, sentivo una felicità interiore ed ero capace di trasmetterla, come se avessi una fontana alla quale si era rotta il rubinetto e la felicità sgorgava dentro di me.

Arrivai al portone di casa mia, aprii un cancelletto di ferro, questa era una misura di sicurezza che la comunità aveva adottato per impedire alle persone dedite ai furtarelli di entrare, o almeno per rendere le cose un po’ più difficili. Comunque, ogni settimana, qualcuno si lamentava che era stato derubato, anche se era un quartiere povero.

In realtà, nelle case avevamo l’essenziale per vivere, senza alcun tipo di lusso, nonostante entrassero e rubassero quello che trovavano, potevano prendere un tostapane o una radio.

Mentre stavo prendendo l’ascensore,mi imbattei in uno di quei ragazzi difficili da trattare, un rifugiato come li chiamavo io, che trascorreva la vita lontano dagli altri per non far loro del male, perché sembravano molto scontrosi e maleducati.

Normalmente, in un altro momento mi sarei intimidita e avrei lasciato che salisse da solo per poi prendere l’ascensore appena libero, ma stavo troppo bene per avere paura, così quando l’ascensore scese, gli aprii la porta per farlo entrare. Dalla reazione e dall’espressione del suo viso egli rimase sorpreso.

«Le buone maniere sono per gli altri» dissi con un sorriso.

L’uomo mettendo una mano sulla testa tenne la porta e disse,

«Per favore, entrate prima voi.»

Lo ringraziai e passai, seguita da questi, una volta dentro, mi chiese,

«Dove andate oggi?»

«Beh, vado a trovare mio nipote, che sono sicura sarà arrabbiato perché non ha il suo cibo pronto, sapete, con i bambini.» «Non ancora,» mi rispose l’uomo con un leggero sorriso.

«Non si preoccupi, troverà chi l’amerà e vedrà quanto sarà felice quando avrà dei figli,» dissi con un ampio sorriso.

«Voi credete? A dire il vero, lo spero, ma a causa delle mie dimensioni le persone tendono a pensare che non sono facile da trattare e quasi scappano da me.»

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