Volodyk - Paolini2-Eldest

Тут можно читать онлайн Volodyk - Paolini2-Eldest - бесплатно полную версию книги (целиком) без сокращений. Жанр: Прочая старинная литература. Здесь Вы можете читать полную версию (весь текст) онлайн без регистрации и SMS на сайте лучшей интернет библиотеки ЛибКинг или прочесть краткое содержание (суть), предисловие и аннотацию. Так же сможете купить и скачать торрент в электронном формате fb2, найти и слушать аудиокнигу на русском языке или узнать сколько частей в серии и всего страниц в публикации. Читателям доступно смотреть обложку, картинки, описание и отзывы (комментарии) о произведении.

Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание

Paolini2-Eldest - описание и краткое содержание, автор Volodyk, читайте бесплатно онлайн на сайте электронной библиотеки LibKing.Ru

Paolini2-Eldest - читать онлайн бесплатно полную версию (весь текст целиком)

Paolini2-Eldest - читать книгу онлайн бесплатно, автор Volodyk
Тёмная тема
Сбросить

Интервал:

Закладка:

Сделать

«Puoi ben dirlo» borbottò Orik. «Una Feldùnost è in grado di condurti su e giù per una rupe senza un solo graffio. Ma come facciamo a trasportare i viveri e le altre cose senza selle? Non posso cavalcare con un pesante zaino in spalla.» Lifaen gli gettò ai piedi una pila di bisacce vuote e indicò il sesto cavallo. «Non lo farai.»

Nari disse a Eragon e Orik le parole da usare per dirigere i cavalli. «Ganga fram per andare avanti, blòthr per fermarlo, hlaupa per lanciarlo al galoppo e ganga aptr per andare indietro. Puoi dargli istruzioni più precise, se conosci l'antica lingua.» Condusse Eragon davanti a un cavallo e disse: «Questo è Folkvir. Tendi la mano.»

Eragon lo fece, e lo stallone sbuffò, dilatando le froge. Folkvir annusò il palmo di Eragon, poi lo toccò col muso e gli permise di accarezzargli il collo muscoloso. «Bene»

disse Nari, soddisfatto. L'elfo fece altrettanto con Orik e un altro cavallo.

Quando Eragon montò su Folkvir, Saphira si avvicinò. Lui la guardò e notò quanto ancora era turbata per la notte passata. Ancora un giorno soltanto, le disse.

Eragon... La dragonessa fece una pausa. Ho pensato molto mentre ero sotto l'influenza dell'incantesimo elfico a qualcosa che ho sempre ritenuto di poca importanza, qualcosa che ora incombe su di me come una montagna di nera paura. Ogni creatura, che sia pura o mostruosa, ha un compagno della sua specie. Ma io no. Rabbrividì e chiuse gli occhi. Io sono sola.

La sua affermazione rammentò a Eragon che non aveva più di otto mesi. Nella maggior parte delle occasioni, la sua giovane età non si sentiva - grazie all'influenza dei suoi istinti e dei ricordi ancestrali - ma in questo campo era ancora più inesperta di lui, con i flebili palpiti di romanticismo che aveva provato a Carvahall e a Tronjheim. Si sentì muovere a compassione, ma la scacciò prima che potesse filtrare attraverso il loro legame mentale. Saphira avrebbe soltanto disprezzato quell'emozione: non poteva risolvere il problema né farla sentire meglio. Invece disse: Galbatorix possiede ancora due uova di drago. Durante il nostro primo colloquio con Rothgar, tu dicesti che avresti voluto recuperarle. Se riusciamo...

Saphira sbuffò amaramente. Potrebbero volerci anni, e se anche riuscissimo a prendere le uova, non è detto che si schiuderebbero, o che sarebbero maschi, o che sarebbero compagni adeguati. Il fato ha condannato la mia razza all'estinzione. Dimenò la coda in un impeto di frustrazione, spezzando un alberello. Sembrava pericolosamente vicina alle lacrime.

Che cosa posso dire? domandò lui, turbato dalla sua angoscia. Non puoi abbandonare la speranza. Hai ancora una probabilità di trovare un compagno, ma devi essere paziente. E se anche le uova di Galbatorix non dovessero andare bene, devono esistere altri draghi da qualche parte nel mondo, come gli umani, gli elfi o perfino gli Urgali. Nel momento in cui avremo assolto a tutti i nostri obblighi, ti aiuterò a cercarli. D'accordo?

D'accordo, accettò lei, tirando su col naso. Reclinò indietro la testa ed esalò una nuvoletta di fumo bianco che si disperse fra i rami. Non avrei dovuto farmi travolgere dalle emozioni.

Sciocchezze. Non sei fatta di pietra. È una cosa assolutamente normale... Ma promettimi di non rimuginarci sopra quando sei da sola.

Lei lo fissò con un occhio di zaffiro. Lo prometto. Lui si sentì rincuorato avvertendo la gratitudine della dragonessa per le sue rassicurazioni e la sua compagnia. Sporgendosi da Folkvir, le posò una mano sulla guancia ruvida e ve la lasciò per un momento. arrivederci, piccolo mio, mormorò lei. Ci vediamo stasera.

Eragon odiava l'idea di separarsi da lei in quello stato. A malincuore si addentrò nella foresta con Orik e gli elfi, dirigendosi a ovest, verso il cuore della Du Weldenvarden. Dopo un'ora passata a riflettere in silenzio sui crucci di Saphira, ne parlò con Arya.

Sottilissime rughe incresparono la fronte dell'elfa. «Questo è uno dei crimini più grandi di Galbatorix. Non so se esiste una soluzione, ma possiamo sperare. Dobbiamo sperare.»

La città fra i pini

Eragon si trovava nella Du Weldenvarden da così tanto tempo che cominciava ad aver voglia di radure, spazi aperti, magari addirittura una montagna, invece delle infinite schiere di alberi intervallate appena da sparuti cespugli. E non provava sollievo nemmeno durante i voli con Saphira poiché gli mostravano soltanto vaste colline verdeggianti che si susseguivano ininterrotte come un verde oceano.

Talvolta i rami erano così fitti che era impossibile capire da quale parte il sole sorgeva o tramontava. La mancanza del sole come riferimento e la monotonia del paesaggio lo facevano sentire smarrito, nonostante tutte le volte che Arya o Lifaen gli avevano indicato i punti cardinali. Se non fosse stato per gli elfi, sapeva che avrebbe potuto vagare per la Du Weldenvarden per il resto della sua vita senza mai trovarne l'uscita.

Quando pioveva, la coltre di nubi e la densità del fogliame li facevano piombare in una fitta tenebra, come se fossero sepolti sottoterra. L'acqua scrosciante si raccoglieva sugli aghi di pino per poi gocciolare dall'alto sulle loro teste come un migliaio di piccole cascate. In quelle occasioni, Arya evocava un globo sfavillante di magia verde che fluttuava sulla sua mano destra, unica fonte di luce nella buia foresta. Si fermavano e si rannicchiavano sotto un albero finché il temporale non cessava, ma anche ore dopo l'acqua intrappolata nella miriade di rami si riversava sul gruppo alla minima sollecitazione.

Più si addentravano nel cuore della Du Weldenvarden, più gli alberi diventavano alti e massicci, sebbene più distanziati per ospitare la maggiore ampiezza dei rami. I tronchi - nudi pilastri marroni che svettavano fino alla volta scanalata e nera di ombre - superavano i duecento piedi, molto più alti di qualsiasi albero della Grande Dorsale o dei Monti Beor. Eragon girò intorno alla base di un tronco e misurò una circonferenza di settanta piedi. Quando lo disse ad Arya, lei annuì. «Significa che siamo vicini a Ellesméra.» L'elfa allungò una mano e la posò su una radice contorta, come a toccare, con familiare delicatezza, la spalla di un amico o di un amante. «Questi alberi sono fra le più antiche creature viventi di Alagaésia. Gli elfi se ne sono innamorati la prima volta che vedemmo la Du Weldenvarden, e abbiamo fatto tutto quanto era in nostro potere per aiutarli a prosperare.» Un debole raggio di luce attraversò la volta smeraldina e bagnò il suo braccio e il suo viso d'oro liquido, facendoli risaltare sullo sfondo scuro. «Abbiamo viaggiato molto insieme, Eragon, ma soltanto adesso stai per entrare nel mio mondo. Cammina piano, poiché la terra e l'aria sono carichi di ricordi, e niente è come sembra... Non volare con Saphira quest'oggi, poiché abbiamo già attivato alcuni degli incantesimi di difesa che proteggono Ellesméra. Non sarebbe prudente lasciare il sentiero.» Eragon chinò la testa e tornò da Saphira, che giaceva raggomitolata su un letto di muschio, divertendosi a soffiare dalle narici nuvolette di fumo che poi guardava dissolversi in aria. Senza tanti preamboli, lei disse: Ormai c'è abbastanza spazio per me sul terreno. Non avrò difficoltà.

Bene. Eragon montò su Folkvir e seguì Orik e gli elfi sempre più nel folto della foresta deserta e silenziosa. Saphira strisciava al suo fianco. La dragonessa azzurra e i cavalli bianchi rilucevano nella cupa penombra. Eragon sostò per qualche minuto, soggiogato dalla solenne bellezza che lo circondava. Tutto emanava un senso di gelida antichità, come se nulla fosse cambiato nel corso dei secoli sotto l'intrico di aghi di pino, e nulla potesse cambiare; il tempo stesso sembrava essere caduto in una specie di torpore da cui non si sarebbe mai svegliato. Nel tardo pomeriggio, dall'oscurità emerse un elfo, illuminato da un raggio di luce che pioveva fra i rami. Indossava una lunga veste fluttuante e un cerchietto d'argento sulla fronte. Il suo volto era vecchio, nobile e sereno. «Eragon» mormorò Arya. «Mostragli il tuo palmo e il tuo anello.»

Togliendosi il guanto Eragon alzò la mano destra a mostrare prima l'anello di Brom e poi il gedwéy ignasia. L'elfo sorrise, chiuse gli occhi e allargò le braccia in segno di benvenuto.

«La via è libera» disse Arya, poi mormorò un dolce comando e il suo cavallo riprese a camminare. Aggirarono l'elfo come l'acqua di un torrente si divide intorno alla base di un macigno - e quando furono tutti passati, l'elfo abbassò le braccia e scomparve, mentre la luce che lo illuminava cessava di esistere.

Chi è? domandò Saphira.

«Gilderien il Saggio» rispose Arya, «Principe del Casato di Miolandra, depositario della Bianca Fiamma di Vàndil, e guardiano di Ellesméra fin dai tempi della Du Fyrn Skulblaka, la nostra guerra contro i draghi. Nessuno può entrare nella città senza il suo permesso.»

Un quarto di miglio più avanti, la foresta si diradò e nella volta di rami comparvero squarci da cui filtravano raggi di sole simili a sbarre di un cancello di luce. Proseguirono sotto due alberi nodosi, inclinati l'uno verso l'altro, e si fermarono ai margini di una radura deserta.

Il suolo era ricoperto da un tappeto di fiori: rose, campanule, gigli, tutti gli effimeri tesori della primavera scintillavano come cumuli di rubini, zaffiri e opali. Il loro profumo inebriante attirava sciami di bombi. A destra, un ruscello gorgogliava dietro una siepe di arbusti, mentre due scoiattoli si rincorrevano intorno a una roccia. Al principio Eragon pensò che fosse un luogo ideale per i cervi, ma continuando a osservare, cominciò a scorgere sentieri nascosti fra gli alberi e i cespugli; una calda luce soffusa dove normalmente avrebbero dovuto esserci ombre scure; strane conformazioni nella disposizione dei rami e dei fiori, così sottili che si vedevano appena: tutti indizi del fatto che quanto vedeva non era del tutto naturale. Batte le palpebre, e la sua visione cambiò all'improvviso, come se si fosse posto davanti agli occhi una lente che rendeva riconoscibili le sagome. Sì, quelli erano sentieri. E sì, quelli erano fiori. Ma ciò che aveva scambiato per gruppi di alberi contorti erano in realtà eleganti costruzioni che crescevano direttamente dai pini.

Il tronco di un albero aveva un rigonfiamento intorno alla base che formava una casa di due piani, prima di affondare le radici nel terriccio. Entrambi i piani erano esagonali, anche se quello superiore era grande la metà del primo, dando alla casa un aspetto terrazzato. I tetti e le pareti erano rivestiti di falde di legno intrecciate, addossate a sei robuste nervature in rilievo. Muschio e licheni gialli orlavano le grondaie e pendevano sulle finestre che si affacciavano su ciascun lato. La porta d'ingresso era una misteriosa sagoma nera incassata sotto un arco intagliato di simboli. Un'altra casa era annidata fra tre pini, uniti a essa mediante una serie di rami ricurvi. Rinforzata da questi bastioni aerei, la casa si ergeva per ben cinque piani, leggera ed eterea; al suo fianco si apriva un pergolato fatto di salice e sanguinella, con numerose lanterne senza fiamma a foggia di galle.

Ogni edificio si integrava perfettamente con l'ambiente circostante, fondendosi con la foresta senza linee di demarcazione evidenti, tanto che era impossibile dire dove finisse l'artificio e cominciasse la natura: i due erano in perfetto equilibrio. Invece di dominare l'ambiente, gli elfi avevano scelto di accettare il mondo com'era e di adattarsi a esso.

Alla fine, gli abitanti di Ellesméra si rivelarono con un debole movimento che Eragon colse con la coda dell'occhio, non più di un fruscìo di aghi nella brezza. Poi vide mani, un volto pallido, un piede che calzava un sandalo, un braccio alzato. Uno dopo l'altro, con aria circospetta, gli elfi si palesarono, gli occhi a mandorla fissi su Saphira, Arya ed Eragon.

Читать дальше
Тёмная тема
Сбросить

Интервал:

Закладка:

Сделать


Volodyk читать все книги автора по порядку

Volodyk - все книги автора в одном месте читать по порядку полные версии на сайте онлайн библиотеки LibKing.




Paolini2-Eldest отзывы


Отзывы читателей о книге Paolini2-Eldest, автор: Volodyk. Читайте комментарии и мнения людей о произведении.


Понравилась книга? Поделитесь впечатлениями - оставьте Ваш отзыв или расскажите друзьям

Напишите свой комментарий
x