Volodyk - Paolini2-Eldest

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«Perché odiano e combattono gli umani, secondo te? Cosa sai della loro storia e delle loro leggende, o della loro vita quotidiana?»

«Che importanza ha?»

Oromis sospirò. «Ricorda solo» disse in tono sommesso «che a un certo punto, i tuoi nemici potrebbero diventare tuoi alleati. Così va la vita.»

Eragon resistette all'impulso di protestare. Rimestò l'infuso nella tazza, facendo accelerare il liquido fino a formare un vortice scuro con una macchia di schiuma bianca sul fondo. «È per questo che Galbatorix ha arruolato gli Urgali?» «Non è l'esempio che avrei scelto io, ma sì.»

«Mi sembra strano che si fidi di loro. In fin dei conti furono gli Urgali a uccidergli il drago. Guarda che cosa ha fatto a noi, ai Cavalieri, e non eravamo nemmeno responsabili della sua disgrazia.»

«Ah» disse Oromis, «Galbatorix sarà anche un pazzo, ma resta pur sempre astuto come una volpe. Immagino che volesse usare gli Urgali per distruggere i Varden e i nani... e altri ancora, se avesse trionfato nel Farthen Dùr... per sbarazzarsi di due nemici e al contempo indebolire gli Urgali per poi liberarsene in un secondo momento.» Lo studio dell'antica lingua si portò via tutto il pomeriggio; alla fine ripresero a esercitarsi con la magia. La maggior parte delle lezioni di Oromis vertevano sulla maniera più adeguata di controllare le varie forme di energia, come la luce, il calore, l'elettricità e persino la gravità. Spiegò che, dato che questi elementi consumavano energia più in fretta di qualsiasi incantesimo, era più prudente trovarli già in natura, per poi plasmarli con la negromanzia, piuttosto che tentare di crearli dal nulla.

Abbandonando l'argomento, Oromis chiese: «Come uccideresti

con la magia?»

«L'ho già fatto in molti modi» rispose Eragon. «Ho cacciato con un sasso, spostandolo e prendendo la mira con la magia. Ho usato la parola jierda per spezzare le gambe e il collo degli Urgali. Una volta, con thrysta, ho fermato il cuore di un uomo.»

«Ci sono metodi più efficaci» gli rivelò Oromis. «Cosa occorre per uccidere un uomo, Eragon? Una spada nel petto? Un collo rotto? Un'emorragia? Sappi che basta spezzare una singola arteria nel cervello, o recidere determinati nervi. Con il giusto incantesimo, potresti annientare un esercito.»

«Avrei dovuto pensarci nel Farthen Dùr» disse Eragon, arrabbiato con se stesso. Non soltanto nel Farthen Dùr, ma anche quando i Kull ci inseguivano nel Deserto di Hadarac. «Perché Brom non me l'ha detto?»

«Perché non si aspettava che dovessi affrontare un esercito nel giro di pochi mesi; non è una cosa che si insegna a un Cavaliere ancora inesperto.»

«Ma se è così facile uccidere la gente, perché noi, o lo stesso Galbatorix, ci affanniamo a radunare un esercito?» «Per dirla in una parola, è tattica. Gli stregoni sono vulnerabili agli attacchi fisici quando sono impegnati nelle loro schermaglie mentali. Perciò hanno bisogno di soldati che li proteggano. E i soldati devono essere protetti, almeno in parte, dagli attacchi magici, altrimenti verrebbero sterminati in pochi minuti. Questa duplice limitazione comporta che quando due eserciti si affrontano, i loro rispettivi maghi si sparpagliano fra le truppe, vicini alla prima linea, ma non abbastanza da rischiare la vita. Gli stregoni di entrambi i fronti aprono la mente e tentando di percepire se qualcuno sta usando o sta per usare la magia. Poiché i loro nemici potrebbero trovarsi al di là della loro portata, gli stregoni evocano incantesimi di difesa intorno a se stessi e ai propri soldati per fermare o rallentare attacchi a lunga gittata, come un sasso scagliato contro di loro da un miglio di distanza.»

«Ma un solo uomo non può difendere un intero esercito» obiettò Eragon.

«Da solo no, ma un numero sufficiente di stregoni è in grado di fornire una ragionevole dose di protezione. Il maggior pericolo in questo genere di conflitto è che uno stregone astuto può escogitare un attacco che possa superare le tue difese senza abbatterle. Solo questo basta a decidere le sorti di una battaglia.

«Inoltre» proseguì Oromis «devi tenere a mente che l'abilità nell'uso della magia è straordinariamente rara fra le razze. Noi elfi non facciamo eccezione, anche se vantiamo più maghi di tutti gli altri, grazie ai giuramenti con i quali ci siamo vincolati secoli fa. La maggior parte di coloro che hanno il dono della magia non hanno però il talento per usarla: faticano perfino a guarire un livido.»

Eragon annuì. Aveva incontrato stregoni simili fra i Varden. «Ma la quantità di energia necessaria a compiere qualcosa resta sempre la stessa.»

«Certo, ma rispetto a te o a me, gli stregoni mediocri hanno difficoltà a percepire il flusso dell'energia e immergersi in esso. Sono pochi i maghi abbastanza potenti da rappresentare una minaccia per un esercito. E quelli che lo sono, di solito passano la maggior parte della battaglia a eludere, rintracciare o combattere i propri avversari, una circostanza fortunata dal punto di vista dei soldati, che altrimenti verrebbero uccisi subito.»

Sconcertato, Eragon disse: «I Varden non hanno molti stregoni.»

«È una delle ragioni per cui tu sei così importante.»

Passò un momento, mentre Eragon rifletteva sulle parole di Oromis. «Questi incantesimi di difesa ti sottraggono energia soltanto quando sono attivati?»

«Sì.»

«Allora, avendo tempo a disposizione, si potrebbero accumulare infiniti strati di protezione. Uno potrebbe rendersi. ..» si sforzò di trovare la parola adatta nell'antica lingua, «... invulnerabile?... refrattario?... refrattario a qualsiasi attacco, fisico o mentale.»

«Gli incantesimi di difesa» disse Oromis «si basano sulla forza del proprio corpo. Non è importante quanti riesci a evocarne; sarai in grado di bloccare un attacco soltanto finché il tuo corpo resisterà al dispendio di energia.» «Ma la forza di Galbatorix cresce di anno in anno... Com'è possibile?»

Era una domanda retorica, ma quando Oromis rimase in silenzio, i suoi occhi a mandorla fissi su un terzetto di passeri che piroettavano nel cielo, Eragon capì che stava riflettendo su come dargli la risposta più adeguata. Gli uccellini s'inseguirono per alcuni minuti. Quando scomparvero dalla visuale, Oromis disse: «Non è opportuno discutere di questo aspetto al momento.»

«Allora lo sai?» esclamò Eragon, sbalordito.

«Sì. Ma questa informazione dovrà aspettare che tu abbia approfondito il tuo addestramento. Non sei ancora pronto.» Oromis lo guardò, come se si aspettasse una protesta.

Eragon chinò il capo. «Come vuoi tu, maestro.» Non avrebbe mai estorto l'informazione a Oromis finché l'elfo non avesse voluto rivelarla, quindi che senso aveva insistere? Eppure non poteva fare a meno di domandarsi che cosa ci fosse di tanto pericoloso da imporre il silenzio, e perché gli elfi avessero tenuto il segreto perfino con i Varden. Lo attraversò un altro pensiero, e lo espresse ad alta voce. «Se le battaglie con i maghi vengono condotte come dici, allora perché Ajihad mi ha fatto combattere nel Farthen Dùr senza incantesimi di protezione? Non sapevo nemmeno di dover tenere la mente aperta in cerca di nemici. E perché Arya non ha ucciso gran parte degli Urgali, se non tutti? Non c'era nessuno stregone in grado di resisterle, tranne Durza, e lui non poteva difendere le sue truppe da sottoterra.» «Ajihad non ti ha fatto proteggere da Arya o da qualcuno del Du Vrangr Gata?» chiese Oromis.

«No, maestro.»

«E tu hai combattuto così?»

«Sì, maestro.»

Gli occhi di Oromis si oscurarono, mentre si chiudeva in se stesso, restando immobile sul prato. Riprese a parlare di getto. «Mi sono consultato con Arya, e lei sostiene che i Gemelli dei Varden avevano ricevuto l'ordine di esaminare le tue capacità. Hanno detto ad Ajihad che eri esperto in ogni sorta di incantesimo, compresi quelli di protezione. Né Ajihad né Arya hanno dubitato del loro giudizio.»

«Quei luridi vermi, cani rognosi, serpi dalla lingua biforcuta» imprecò Eragon. «Hanno cercato di farmi uccidere!» Passando alla propria lingua, proseguì con altri insulti più coloriti.

«Non appestare l'aria» lo ammonì Oromis. «Non serve... A ogni buon conto, sospetto che i Gemelli ti abbiano fatto scendere in battaglia senza difese non per farti uccidere, ma perché Durza ti catturasse vivo.»

«Cosa?»

«Secondo il tuo racconto, Ajihad sospettava che i Varden fossero stati traditi quando Galbatorix cominciò a colpire i loro alleati nell'Impero con mira infallibile. I Gemelli erano a conoscenza dell'identità dei collaboratori dei Varden. Inoltre ti hanno attirato nel cuore di Tronjheim, separandoti da Saphira, per spingerti tra le grinfie di Durza. Che fossero loro i traditori è l'unica spiegazione logica.»

«Che fossero i traditori» disse Eragon «ormai non conta più: sono morti e sepolti.»

Oromis inclinò il capo da un lato. «E sia. Arya sostiene che gli Urgali avevano degli stregoni nel Farthen Dùr e che ne ha combattuti molti. Nessuno di loro ti ha attaccato?»

«No, maestro.»

«Prova ulteriore del fatto che tu e Saphira dovevate essere catturati da Durza per essere portati da Galbatorix. Una trappola ben congegnata.»

Durante l'ora seguente, Oromis insegnò a Eragon una dozzina di metodi per uccidere, nessuno dei quali richiedeva più energia di quanta ne occorresse per sollevare una penna. Quando ebbe finito di memorizzare l'ultimo, a Eragon sovvenne un pensiero che lo fece sogghignare. «La prossima volta che incroceranno la mia strada, i Ra'zac non avranno scampo.»

«Non devi sottovalutarli» lo ammonì Oromis.

«Perché? Tre parole, e saranno morti stecchiti.» «Che cosa mangiano i martin pescatori?» Eragon lo guardò stupito. «Pesce, naturalmente.» «E se un pesce fosse più svelto e più intelligente dei suoi simili, riuscirebbe a sfuggire a un martin pescatore?» «Ne dubito» disse Eragon. «Almeno non per molto.» «Proprio come i martin pescatori sono fatti per essere i migliori cacciatori di pesce, i lupi sono i migliori cacciatori di cervi e altra selvaggina, e ogni animale possiede i requisiti più idonei a perseguire il suo obiettivo, anche i Ra'zac sono perfetti per predare gli umani. Sono i mostri annidati nel buio, i viscidi incubi che tormentano le notti della vostra razza.»

Eragon si sentì formicolare la nuca dall'orrore. «Che razza di creature sono?»

«Non sono elfi, né umani, né nani, né draghi, né bestie di terra, di cielo o di mare, né rettili, né insetti, né qualsiasi altra categoria di animali.»

Eragon emise una risatina nervosa. «Sono piante, allora?» «Nemmeno questo. Si riproducono deponendo le uova, come i draghi. Quando queste si schiudono, i piccoli, detti pupe, sviluppano un esoscheletro nero che ricorda vagamente le sembianze umane. È un'imitazione grottesca, ma sufficiente a convincere le vittime a farsi avvicinare dai Ra'zac senza destare allarme. In tutti gli aspetti in cui gli umani sono deboli, i Ra'zac sono forti. Riescono a vedere in una notte nuvolosa, a fiutare una traccia come un segugio, a saltare più in alto e a muoversi più in fretta. Tuttavia la luce forte li infastidisce e hanno una paura morbosa dell'acqua, perché non sanno nuotare. La loro arma più potente è il loro fiato pestilenziale, che annebbia la mente degli umani, rendendoli incapaci di reagire, anche se ha meno effetto sui nani e gli elfi ne sono immuni.»

Eragon rabbrividì al ricordo di quando aveva visto per la prima volta i Ra'zac a Carvahall, e di come era stato incapace di fuggire quando lo avevano scorto. «Mi sembrava di trovarmi dentro un incubo in cui volevo fuggire, ma non riuscivo a muovermi, per quanto mi sforzassi.»

«Una buona descrizione» disse Oromis. «Sebbene i Ra'zac non sappiano usare la magia, non bisogna sottovalutarli. Se sapessero che dai loro la caccia, non si mostrerebbero, ma rimarrebbero nell'ombra, dove sono più potenti, in attesa di tenderti un agguato come hanno fatto a Dras-Leona. Persino l'esperienza di Brom non è riuscita a proteggerlo da essi. Non essere mai troppo sicuro di te, Eragon. Non diventare arrogante, perché compiresti azioni avventate, e i tuoi nemici approfitterebbero della tua debolezza.»

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