Volodyk - Paolini2-Eldest

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Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание

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In quel recesso segreto, Eragon si sentì improvvisamente molto vicino ad Arya, e fu travolto dalla passione che nutriva per lei. Era così inebriato dalla forza e dalla vitalità che gli scorrevano nelle vene - come dalla magia incontrollata che riempiva la foresta - che ignorò ogni cautela e disse: «Gli alberi sono alti, le stelle splendenti... e tu sei bellissima, Arya Svit-kona.» In circostanze normali, avrebbe considerato questo atto l'apice della follia, ma in quella notte frenetica e stregata gli parve perfettamente naturale.

Lei s'irrigidì. «Eragon...»

Lui ignorò il suo ammonimento. «Arya, io farei qualsiasi cosa per conquistare il tuo cuore. Ti seguirei in capo al mondo. Ti costruirei un palazzo a mani nude. Ti...»

«Vorrei che la smettessi di corteggiarmi. Me lo prometti?» Quando lui esitò, lei si avvicinò di un passo, e con voce gentile gli disse: «Eragon, questo non è possibile. Tu sei giovane, e io sono vecchia, e questo non potrà mai cambiare.»

«Non provi niente per me?»

«I miei sentimenti per te» rispose lei «sono quelli di un'amica, niente di più. Ti sono grata per avermi salvata a Gil'ead, e trovo piacevole la tua compagnia. Tutto qui... Rinuncia a questa tua ossessione, ti spezzerà il cuore, e trova qualcuna della tua età con cui trascorrere lunghi anni.»

Gli occhi di Eragon luccicarono di lacrime. «Come puoi essere tanto crudele?»

«Non sono crudele, ma gentile. Io e te non siamo fatti l'uno per l'altra.»

Al colmo della disperazione, Eragon cercò di suggerire: «Potresti darmi i tuoi ricordi, e così avrei le stesse tue esperienze e le tue conoscenze.»

«Sarebbe un abominio.» Arya levò il mento, il volto grave e solenne bagnato dal chiarore argenteo delle stelle. Una nota d'acciaio entrò nella sua voce. «Ascoltami bene, Eragon. Questo non può essere, né sarà mai. E se non riuscirai a controllarti, la nostra amicizia dovrà finire, perché le tue emozioni ci distraggono dal nostro dovere.» L'elfa accennò un inchino. «Addio, Eragon Ammazzaspettri.» Detto questo, si allontanò a grandi passi e svanì nella Du Weldenvarden. Ora le lacrime sgorgarono dagli occhi di Eragon, rotolando lungo le guance per cadere sul tappeto di muschio, dove rimasero come perle sparse su un drappo di velluto verde. Stordito, si sedette su di un tronco marcio e si seppellì il volto fra le mani, piangendo perché il suo affetto per Arya era destinato a non essere corrisposto, e perché l'aveva ancor più allontanata da sé.

Dopo qualche istante, Saphira si unì a lui. Oh, piccolo mio, disse, sfiorandolo col muso. Perché ti sei infinto questo tormento? Sapevi a che cosa saresti andato incontro se avessi corteggiato Arya di nuovo.

Non ho potuto farne a meno. Si abbandonò contro il suo ventre tiepido, dondolandosi avanti e indietro, scosso dai singhiozzi per l'immensità della sua tristezza. Coprendolo con un'ala, Saphira lo strinse a sé, come una chioccia fa con il suo pulcino. Lui si rannicchiò contro di lei, lasciandosi cullare mentre la notte diventava giorno e l'Agaetì Blòdhren si avviava alla fine.

Lo sbarco

Roran era a poppa della Cinghiale Rosso, le braccia incrociate sul petto, i piedi divaricati per tenersi in equilibrio sulla chiatta ondeggiante. Il vento salmastro gli arruffava i capelli e la barba e gli solleticava i peli sugli avambracci nudi. Al suo fianco, Clovis governava il timone. Il coriaceo marinaio puntò il dito verso la costa, indicando uno scoglio gremito di gabbiani che si stagliava ai piedi di un promontorio ondulato, proteso sul mare. «Teirm si trova dall'altro lato.»

Roran socchiuse gli occhi contro il riverbero del sole pomeridiano sull'oceano. «Allora fermiamoci qui.» «Non vuoi sbarcare in città?»

«Non tutti insieme. Chiama Torson e Flint, e di' loro di portare le chiatte su quella spiaggia. Mi sembra un buon posto per accamparci.»

Clovis fece una smorfia. «Ah! Speravo tanto in un pasto caldo stasera.» Roran capì; i viveri freschi di Narda erano finiti da un pezzo, e non erano rimasti che il maiale salato, le aringhe affumicate, i cavoli conservati, le gallette che le donne avevano fatto con la farina acquistata, le verdure in salamoia e qualche pezzo di carne avanzato da quando avevano macellato uno dei pochi animali rimasti o una preda uccisa nelle occasioni in cui avevano toccato terra. La voce roca di Clovis risuonò sull'acqua quando chiamò i capitani delle altre due chiatte. Non appena si avvicinarono, ordinò loro di dirigersi a riva, suscitando un coro di proteste. Torson e Flint e altri marinai avevano contato sull'arrivo a Teirm quella sera per scialacquare le loro paghe nei piaceri offerti dalla città. Dopo aver fatto arenare le chiatte, Roran si aggirò fra i compaesani aiutandoli a piantare le tende, a scaricare le provviste, ad attingere acqua da un ruscello vicino, insomma, offrendo il suo aiuto finché tutti non si furono sistemati. Si fermò per rivolgere a Morn e a Tara una parola d'incoraggiamento, perché avevano l'aria depressa, ma in cambio ricevette solo sguardi torvi. L'oste e sua moglie lo avevano tenuto a distanza da quando avevano lasciato la Valle Palancar. Tutto considerato, i contadini erano in condizioni migliori di quando erano arrivati a Narda, perché sulle chiatte si erano riposati, ma le costanti preoccupazioni e l'esposizione agli elementi avevano impedito che recuperassero completamente le forze come Roran aveva sperato. «Fortemartello, vuoi cenare da noi questa sera?» lo invitò Thane.

Roran rifiutò con garbo e si volse, per ritrovarsi faccia a faccia con Felda. Suo marito, Byrd, era stato ucciso da Sloan. La donna fece una rapida riverenza, poi disse: «Posso parlarti un minuto, Roran Garrowsson?»

Lui le sorrise. «Ma certo, Felda. Tutto il tempo che vuoi.»

«Ti ringrazio.» Con espressione furtiva, giocherellò con le frange che orlavano il suo scialle e scoccò un'occhiata alla propria tenda. «Vorrei chiederti un favore. Si tratta di Mandel...» Roran annuì; aveva scelto il figlio maggiore della donna per accompagnarlo a Narda in quel fatàle viaggio durante il quale aveva ucciso i due soldati. Mandel si era comportato in maniera ammirevole, come durante le settimane di navigazione sulla Edeline, dove aveva imparato tutto quello che poteva sul governo di una chiatta.

«Ha stretto amicizia con i marinai della nostra chiatta e ha cominciato a giocare a dadi con loro. Non per soldi - non ne abbiamo - ma per piccoli oggetti. Cose che ci servono.»

«Gli hai chiesto di smettere?»

Felda si avvolse una frangia intorno al dito. «Ho paura che da quando suo padre è morto non mi rispetti più come un tempo. È diventato un selvaggio, un barbaro.»

Ci siamo tutti imbarbariti, pensò Roran. «E cosa vuoi che faccia?» le chiese con dolcezza.

«Tu sei sempre stato generoso con Mandel. Lui ti ammira. Se gli parlerai, a te darà ascolto.»

Roran riflettè sulla richiesta, poi disse: «D'accordo, vedrò di fare il possibile.» Felda rilassò le spalle, sollevata. «Dimmi. Che cosa ha perso ai dadi?»

«Soprattutto cibo.» Felda esitò, poi aggiunse: «Ma so che una volta ha scommesso il braccialetto di mia nonna contro un coniglio che quegli uomini avevano catturato.»

Roran si accigliò. «Non darti pena, Felda. Mi occuperò della faccenda quanto prima.»

«Grazie.» Felda s'inchinò di nuovo, poi si allontanò fra le tende, lasciando Roran a meditare sulle sue parole. Camminava grattandosi la barba, e riflettendo sul problema di Mandel e i marinai, una questione a doppio taglio; Roran aveva notato che durante il viaggio da Narda, uno degli uomini di Torson, Frewin, si era invaghito di Odele, una delle amiche di Katrina. Potrebbero causarci problemi quando lasceremo Clovis.

Attento a non attirare troppo l'attenzione, Roran percorse l'accampamento, chiamò i compaesani di cui si fidava di più, e si fece accompagnare da loro nella tenda di Horst, dove disse: «I cinque che abbiamo stabilito partiranno subito, prima che sia troppo tardi. Horst prenderà il mio posto mentre sono via. Ricordate che il vostro compito più importante è quello di garantire che Clovis non parta con le chiatte o non le danneggi in alcun modo. Potrebbero essere il nostro unico mezzo per raggiungere il Surda.»

«Questo, e assicurarci di non essere scoperti» aggiunse Orval.

«Esatto. Se nessuno di noi sarà tornato per dopodomani sera, dateci per catturati. Prendete le chiatte e puntate verso il Surda, ma non fermatevi a Kuasta a comprare provviste; l'Impero probabilmente sarà lì in attesa. Dovrete trovare cibo da qualche altra parte.»

Mentre i suoi compagni si preparavano, Roran si recò nella cabina di Clovis sulla Cinghiale Rosso. «Andate soltanto voi cinque?» chiese Clovis, dopo che Roran gli ebbe spiegato il piano.

«Sì.» Roran tenne il suo sguardo d'acciaio fisso sul capitano, finché l'uomo non si mosse a disagio. «E quando torno, mi aspetto di trovare te, le chiatte e tutti i tuoi uomini ancora qui.»

«Osi mettere in dubbio il mio onore, dopo che ho tenuto fede al nostro accordo?»

«Non metto in dubbio niente, ti dico soltanto quello che mi aspetto. La posta in gioco è troppo alta. Se mi tradisci adesso, condanni a morte l'intero villaggio.»

«Lo so, questo» mormorò Clovis, evitando il suo sguardo.

«La mia gente si difenderà durante la mia assenza. Finché avranno un soffio di fiato nei polmoni, non si faranno prendere, ingannare o abbandonare. E se per caso capitasse loro qualche disgrazia, li vendicherò, dovessi camminare per mille leghe e affrontare Galbatorix in persona. Tieni a mente le mie parole, mastro Clovis, perché dico sul serio.» «Non nutro simpatìe per l'Impero come tu sembri credere» protestò Clovis. «Non gli farei un favore, come non lo farei al primo che passa.»

Roran sorrise, amaro. «Un uomo farebbe di tutto per proteggere la sua famiglia e la sua casa.»

Mentre Roran apriva la porta, Clovis gli chiese: «E cosa farai quando raggiungerai il Surda?»

«Noi abbiamo...»

«Non noi; tu. Cosa farai tu? Ti ho osservato, Roran. Ti ho ascoltato. E mi sembri un brav'uomo, malgrado il trattamento che mi hai riservato. Ma non riesco a immaginare che lasci il martello per riprendere l'aratro, solo perché sei arrivato nel Surda.»

Roran strinse la maniglia tanto da far sbiancare le nocche. «Quando avrò condotto il villaggio sano e salvo nel Surda» disse, con voce piatta come una landa desolata, «allora andrò a caccia.»

«Ah. In cerca della tua bella dai capelli rossi? Ne ho sentito parlare, ma io non...»

La porta si chiuse con un tonfo alle spalle di Roran.

Fuori dalla cabina, lasciò che la collera divampasse dentro di lui, assaporando la libertà dell'emozione, poi riprese il controllo delle sue indomabili passioni. Marciò spedito verso la tenda di Felda, dove Mandel stava scagliando un coltello da caccia contro un ciocco.

Felda ha ragione; qualcuno deve rimetterlo in riga. «Stai perdendo tempo» disse Roran.

Mandel si volse di scatto, sorpreso. «Perché?»

«In una vera battaglia, è molto più probabile che ti cavi un occhio piuttosto che ferire il tuo nemico. Se non conosci l'esatta distanza fra te e il tuo bersaglio...» Roran si strinse nelle spalle. «Faresti meglio a tirare sassi.» Guardò con pacato distacco il giovanotto che si gonfiava d'orgoglio. «Gunnar mi ha detto che conosceva un uomo a Cithrì che riusciva a colpire un corvo in volo otto volte su dieci.»

«E le altre due ti farai ammazzare. Di norma è una pessima

idea scagliare via la tua arma in battaglia.» Roran alzò una mano, come a prevenire le obiezioni di Mandel. «Fai i bagagli e trovati sulla collina oltre il torrente fra quindici minuti. Ho deciso che verrai con noi a Teirm.»

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