Volodyk - Paolini2-Eldest

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«Mi dispiace, maestro.» Gli rincresce forse che i draghi non abbiano scelto di guarire anche lui? si chiese Eragon, scacciando subito via quel pensiero. Oromis non sarebbe mai stato tanto meschino.

«Non occorre. Non è colpa tua se sono storpio.»

Mentre Eragon si sforzava di completare il terzo livello

della Rimgar, si rese conto che ancora gli mancavano l'equilibrio e la flessibilità degli elfi, due qualità che persino loro acquisivano solo grazie a un duro allenamento. In un certo senso, non gli dispiacevano quelle limitazioni, perché se fosse stato perfetto, che cos'altro gli sarebbe rimasto da conquistare?

Le settimane seguenti furono difficili per lui. Da una parte fece enormi progressi nell'addestramento, diventando sempre più padrone di argomenti che un tempo lo confondevano. Trovava ancora stimolanti le lezioni di Oromis, ma non aveva più la sensazione di annegare in un mare di' inadeguatezza. Leggeva e scriveva con maggior fluidità, e la sua forza accresciuta gli consentiva di evocare incantesimi per cui era necessaria tanta energia da uccidere un qualsiasi essere umano. La sua forza lo rese anche consapevole di quanto debole fosse Oromis rispetto agli altri elfi. Eppure, nonostante tutto, Eragon avvertiva un profondo sconforto. Per quanto si sforzasse di dimenticare Arya, ogni giorno che passava aumentava il suo struggimento, un dolore aggravato dal fatto di sapere che lei non voleva più vederlo né parlare con lui. Inoltre, aveva la sensazione che un'inesorabile tempesta si stesse addensando all'orizzonte, una tempesta che minacciava di scatenarsi da un momento all'altro, per spazzare la terra, distruggendo ogni cosa sul suo cammino.

Saphira condivideva il suo disagio. Disse: Il mondo si sta assottigliando, Eragon. Presto si spezzerà e la follia scoppierà. Quello che senti tu è ciò che sentono i draghi e gli elfi: l'inesorabile avanzata di un destino oscuro, mentre la fine della nostra epoca si avvicina. Piangi per coloro che moriranno nel caos che consumerà Alagaesia. E spera che ci sia data la possibilità di conquistare un futuro più radioso con la forza della tua spada e del tuo scudo, e quella delle mie zanne e dei miei artigli.

Visioni vicine e lontane

Evenne il giorno in cui Eragon andò nella radura vicino al capanno di Oromis, si sedette sul ceppo bianco al centro della conca muscosa, e quando aprì la mente per osservare le creature che lo circondavano percepì non soltanto gli uccelli, gli animali e gli insetti, ma anche le piante della foresta.

Le piante possedevano un diverso tipo di coscienza, lenta, deliberata e priva di un fulcro, ma a loro modo erano consapevoli quanto Eragon dell'ambiente attorno. Le deboli pulsazioni delle loro coscienze impregnavano la galassia di stelle che gli vorticava dietro le palpebre chiuse ogni scintilla rappresentava una vita - in un bagliore morbido e onnipresente. Perfino il suolo più arido brulicava di organismi; la terra stessa era viva e senziente. La vita intelligente, concluse, era dappertutto.

Mentre Eragon si immergeva nei pensieri e nelle sensazioni degli esseri intorno a lui, riuscì a raggiungere uno stato di pace interiore così profondo che in quel momento cessò di esistere come individuo. Si lasciò essere una non-entità, un vuoto, un ricettacolo delle voci del mondo. Nulla sfuggiva alla sua attenzione, perché la sua attenzione non era concentrata su nulla.

Lui era la foresta e i suoi abitanti.

È così che si sente un dio? si chiese quando tornò in se stesso.

Abbandonò la conca e cercò Oromis nel capanno. S'inginocchiò davanti all'elfo e disse: «Maestro, ho fatto come mi hai chiesto. Ho ascoltato finché non ho sentito più nulla.»

Oromis smise di scrivere e con espressione meditabonda guardò Eragon. «Raccontami.» Per un'ora e mezza, Eragon elargì eloquenti descrizioni di ogni aspetto delle piante e degli animali che popolavano la conca, finché Oromis alzò la mano e disse: «Mi hai convinto; hai sentito tutto quello che c'era da sentire. Ma hai capìto tutto?» «No, maestro.»

«Com'è giusto che sia. La comprensione verrà con l'età... Ben fatto, Eragon-finiarel. Ottimo lavoro. Se fossi stato mio allievo a Ilirea, prima che Galbatorix salisse al potere, ti saresti appena laureato dal tuo apprendistato e saresti stato considerato un membro del nostro ordine, intitolato agli stessi diritti e privilegi del più anziano dei Cavalieri.» Oromis si alzò a fatica dalla sedia, barcollando.

«Offrimi il tuo braccio, Eragon, e aiutami a uscire. Il mio corpo tradisce la mia volontà.»

Eragon corse al fianco del maestro e ne sostenne il peso leggero, mentre Oromis lo conduceva presso il ruscello che scorreva lungo il ciglio della rupe di Tel'naeir. «Ora che hai raggiunto questo livello di istruzione, posso insegnarti uno dei più grandi segreti della magia, un segreto che persino Galbatorix potrebbe non conoscere. È la nostra migliore speranza di contrastare il suo potere.» Lo sguardo dell'elfo s'indurì. «Qual è il prezzo della magia, Eragon?» «L'energia. Un incantesimo richiede la stessa quantità di energia che ci vorrebbe per realizzare il compito con mezzi normali.»

Oromis annuì. «E da dove deriva l'energia?»

«Dal corpo di colui che evoca la magia.»

«Soltanto?»

Eragon si lambiccò il cervello davanti alle terribili implicazioni della domanda di Oromis. «Vuoi dire che può venire da altre fonti?»

«Precisamente. È quello che accade quando Saphira ti aiuta con un incantesimo.»

«Sì, ma lei e io condividiamo un legame particolare» protestò Eragon. «È questa la ragione per cui posso attingere alla sua forza. Per farlo con qualcun altro, dovrei entrare...» Esitò, comprendendo dove Oromis voleva arrivare. «Dovresti entrare nella coscienza dell'essere o degli esseri che ti forniranno energia» disse Oromis, concludendo il pensiero di Eragon. «Oggi hai dimostrato che sei in grado di farlo anche con le più minuscole forme di vita. Ora...» L'elfo s'interruppe e tossì, premendosi una mano contro il petto, poi riprese: «Voglio che sollevi una sfera d'acqua dal torrente, usando soltanto l'energia che riesci a estrarre dalla foresta che ti circonda.» «Sì, maestro.» Mentre Eragon dilatava la mente per raggiungere le piante e gli animali vicini, sentì la mente di Oromis sfiorare la sua per osservare e giudicare i suoi progressi. Aggrottando la fronte nello sforzo della concentrazione, attinse dall'ambiente la forza necessaria e la trattenne dentro di sé finché non fu pronto a liberare la magia... «Eragon! Non prenderla da me! Sono già abbastanza debole così.»

Sgomento, Eragon si rese conto di aver incluso anche Oromis nella sua ricerca. «Mi dispiace, maestro» disse, mortificato. Riprese il processo, attento a non attingere alla vitalità dell'elfo, e quando si sentì pronto, ordinò: «Su!» Silenziosa come la notte, una sfera d'acqua larga un palmo si levò dal ruscello e fluttuò verso Eragon. E sebbene Eragon sperimentasse la consueta tensione derivante da uno sforzo intenso, l'incantesimo non lo affaticava affatto. La sfera si trovava in aria da appena un istante quando un'ondata di morte travolse le creature più piccole con cui Eragon era in contatto. Una fila di formiche si rovesciò inerte. Un topolino annaspò ed entrò nel vuoto perdendo la forza che gli faceva battere il cuore. Un certo numero di piante avvizzirono, sbriciolandosi in polvere. Eragon trasalì, inorridito da quanto aveva causato. Il nuovo rispetto che provava per la sacralità della vita lo induceva a ritenere di aver commesso un crimine agghiacciante, e cosa ancora peggiore, l'intimo legame che lo collegava a ogni essere che aveva cessato di esistere gli aveva dato la sensazione di essere morto centinaia di volte. Sciolse il contatto con la magia - facendo cadere la sfera con un tonfo liquido - e poi si volse di scatto verso Oromis, ringhiando: «Tu lo sapevi!»

Un'espressione di profonda costernazione si dipinse sul volto del vecchio Cavaliere. «Era necessario» rispose. «Necessario che così tanti morissero?»

«Necessario affinchè comprendessi il terribile prezzo che costa usare questo tipo di magia. Le semplici parole non possono descrivere la sensazione di far morire quelli di cui condividi la mente. Dovevi sperimentarlo sulla tua pelle.» «Non lo farò mai più» giurò Eragon.

«Non sarà necessario. Se sarai disciplinato, potrai scegliere di attingere al potere solo di quelle piante e di quegli animali che possono sopportare la perdita di energia. Non è praticabile in battaglia, ma ti servirà durante le lezioni.» Oromis gli fece un cenno e, ancora fremente di rabbia, Eragon permise all'elfo di reggersi a lui nel tornare al capanno. «Capisci ora perché non insegnavamo questa tecnica ai giovani Cavalieri. Se l'avesse imparata uno stregone con cattive intenzioni, avrebbe potuto distruggere ogni cosa intorno a sé, soprattutto perché sarebbe difficile fermare chiunque avesse accesso a tanto potere.» Una volta dentro, l'elfo sospirò e si accasciò sulla sedia, congiungendo i polpastrelli davanti a sé.

Anche Eragon si sedette. «Dato che è possibile assorbire energia dalla...» fece un ampio gesto con la mano «... dalla vita, è possibile anche assorbirla direttamente dalla luce o dal fuoco, o dalle altre forme di energia?» «Ah, Eragon, se così fosse potremmo distruggere Galbatorix in un batter d'occhio. Possiamo scambiare energia con gli altri esseri viventi, possiamo usare quell'energia per muovere i nostri corpi o alimentare un incantesimo, e possiamo persino immagazzinare l'energia in alcuni oggetti per un futuro utilizzo, ma non possiamo assorbire le fondamentali forze della natura. La ragione ci dice che è possibile, ma nessuno è mai riuscito a elaborare un incantesimo che lo consenta.»

Nove giorni dopo, Eragon si presentò da Oromis e disse: «Maestro, stanotte mi è venuto in mente che né tu, né le centinaia di pergamene che mi hai fatto leggere parlate della vostra religione. In che cosa credono gli elfi?» Un lungo sospiro fu la prima risposta di Oromis. Poi: «Noi crediamo che il mondo segua certe leggi inviolabili e che, grazie a uno sforzo tenace, possiamo scoprire queste leggi e usarle per predire eventi quando le circostanze si ripetono.»

Eragon battè le palpebre. Questo non rispondeva a quanto voleva sapere. «Ma chi o che cosa venerate?» «Nulla.»

«Venerate il concetto del nulla?»

«No, Eragon. Non veneriamo nulla.»

Il pensiero era così remoto che ci volle qualche istante perché Eragon afferrasse il significato delle parole di Oromis. Gli abitanti di Carvahall non seguivano una dottrina specifica, ma condividevano una serie di superstizioni e rituali che in gran parte erano diretti a scongiurare la malasorte. Nel corso del suo addestramento, Eragon aveva compreso che molti dei fenomeni che i suoi compaesani attribuivano a forze sovrannaturali non erano che semplici processi naturali, come quando aveva visto, nelle sue meditazioni, che le larve nascono da uova di mosca invece che spuntare d'incanto dal terreno, come aveva creduto fino ad allora. Né aveva più alcun senso per lui fare offerte di cibo per impedire agli spiriti di inacidire il latte, dato che adesso sapeva che il latte inacidiva per la proliferazione di microscopici organismi contenuti nel liquido. Eppure, Eragon restava convinto che forze ultraterrene influenzassero il mondo in modi misteriosi, una credenza che la frequentazione dei nani aveva alimentato. Disse: «Da dove pensi che venga il mondo, allora, se non è stato creato dagli dei?»

«Quali dei, Eragon?»

«I vostri dei, gli dei dei nani, gli dei degli umani... qualcuno deve averlo pur creato.»

Oromis inarcò un sopracciglio. «Non sono d'accordo con quanto sostieni, ma d'altro canto, non posso provare che gli dei non esistono. Né posso provare che il mondo e tutto quanto esso contiene non sia stato creato da un'entità, o più entità, nel remoto passato. Ma posso dirti che nel corso dei millenni in cui gli elfi hanno studiato la natura, non abbiamo mai assistito a un evento nel quale le regole che governano il mondo siano state infrante. Ossia non abbiamo mai visto un miracolo. Molti eventi esulano dalla nostra capacità di comprensione, ma siamo convinti di non essere riusciti a dare una spiegazione perché siamo ancora profondamente ignoranti sull'universo, e non perché una divinità ha alterato l'opera della natura.»

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