Volodyk - Paolini2-Eldest
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«Un dio non dovrebbe per forza alterare la natura per
realizzare la propria volontà» obiettò Eragon. «Potrebbe farlo all'interno del sistema che già esiste... Potrebbe usare la magia per influire sugli eventi.»
Oromis sorrise. «Verissimo. Ma fatti questa domanda, Eragon: se gli dei esistono, sono stati buoni custodi di Alagaésia? Morte, malattia, povertà, tirannia, e altri innumerevoli calamità affliggono la terra: se questa è opera di esseri divini, non sarebbe giusto allora ribellarsi e negare loro rispetto, obbedienza e devozione?»
«I nani credono...»
«Appunto! I nani credono. Su determinati argomenti, i nani si basano più sulla fede che sulla ragione. Arrivano persino a ignorare fatti dimostrati che contraddicono i loro dogmi.»
«Ossia?» chiese Eragon.
«I sacerdoti dei nani considerano il corallo una prova per dimostrare che la pietra è viva e può crescere, avallando la loro credenza secondo cui Helzvog creò la razza dei nani dal granito. Ma noi elfi abbiamo scoperto che il corallo non è altro che un esoscheletro secreto da minuscoli animali che vivono all'interno del corallo. Qualunque mago può percepire quegli animali, se apre la mente. L'abbiamo spiegato ai nani, ma loro si sono rifiutati di ascoltarci, dicendo che la vita che sentiamo risiede in ogni pietra, anche se i loro sacerdoti sarebbero gli unici a poter rilevare la vita nelle rocce di terraferma.»
Per lunghi minuti, Eragon guardò fuori dalla finestra, riflettendo sulle parole di Oromis. «Non credi nell'aldilà, quindi.» «Da quanto mi ha detto Glaedr, già lo sai.»
«E non hai fede negli dei.»
«Noi riponiamo fede soltanto in ciò di cui possiamo provare l'esistenza. Poiché non siamo stati in grado di provare che gli dei, i miracoli e gli altri eventi soprannaturali sono reali, non ce ne occupiamo. Se per caso le cose dovessero cambiare, se lo stesso Helzvog decidesse di rivelarsi a noi, potremmo sempre rivedere la nostra posizione alla luce di questa nuova informazione.»
«Si direbbe un mondo freddo, senza... qualcosa di più.» «Al contrario» disse Oromis, «è un mondo migliore. Un luogo dove siamo responsabili delle nostre azioni, dove possiamo essere buoni l'uno con l'altro per scelta, e perché è la cosa giusta da fare, invece che per paura di una punizione divina. Non ti dirò in che cosa credere, Eragon. È molto meglio insegnarti a pensare criticamente per poi lasciare a te la scelta, invece che imbottirti di convinzioni altrui. Tu mi hai chiesto della nostra religione, e io ti ho risposto in tutta sincerità. Puoi farne ciò che vuoi.»
Il colloquio, sommato alle precedenti preoccupazioni, lasciò Eragon così turbato che ebbe difficoltà a concentrarsi nei suoi studi i giorni seguenti, anche quando Oromis cominciò a mostrargli come cantare alle piante, una cosa che Eragon era avido di apprendere.
Eragon si accorse che le sue esperienze lo avevano già indotto ad assumere un atteggiamento più scettico; in linea di principio, concordava con la maggior parte di quanto sosteneva Oromis. Il problema che lo affliggeva, però, era che se gli elfi avevano ragione, significava che i nani e gli umani si illudevano, cosa che trovava difficile da accettare. Così tanta gente non può sbagliarsi, si ripeteva.
Quando chiese il suo parere a Saphira, la dragonessa rispose: Per me ha poca importanza, Eragon. I draghi non hanno mai creduto in entità superiori. Perché dovremmo, quando i cervi e gli altri animali considerano noi entità superiori? Eragon sorrise. Ti avverto soltanto: non ignorare la realtà per trovare conforto, perché altrimenti rendi più facile agli altri ingannarti.
Quella notte, nel suo stato di veglia sognante, Eragon fu tormentato dai dubbi, che vagavano per la sua mente come un orso ferito, strappando immagini disparate dai suoi ricordi per mescolarle in una tale confusione da dargli l'impressione di essere tornato nella mischia furibonda del Farthen Dùr. Vide Garrow disteso sul suo letto di morte in casa di Horst, poi Brom morto nella solitària caverna di arenaria, e poi Angela l'erborista che sussurrava: "Attento, Argetlam, il tradimento è evidente. E verrà da qualcuno della tua famiglia. Attento, Ammazzaspettril"
Voi il deh cremisi si squarciò ed Eragon vide di nuovo i due eserciti schierati come nella sua premonizione fra i Monti Beor. Le masse di guerrieri si scontrarono su un campo giallo e arancio, accompagnate dalle grida rauche dei corvi e dal sibilo delle frecce nere. La terra stessa sembrava bruciare: fiamme verdi eruttavano da oscure fosse che punteggiavano il suolo, bruciando i cadaveri accatastati sulla scia degli eserciti. Sentì il ruggito di una bestia gigantesca che dall'alto... Eragon balzò a sedere sul letto e afferrò la catena dei nani che gli ardeva al collo. Usando la tunica per proteggersi la mano, scostò il martello d'argento dalla pelle e rimase in attesa nel buio, col cuore che gli batteva forte per la sorpresa. Sentì la propria energia scemare mentre l'incantesimo di Gannel bloccava chiunque stesse cercando di divinare lui e Saphira. Ancora una volta si chiese se ci fosse lo stesso Galbatorix dietro la magia, o se fosse soltanto uno degli stregoni del re.
Eragon aggrottò la fronte e lasciò il martello quando sentì che il metallo tornava freddo. Qualcosa non va. Ne sono sicuro, e lo so da un pezzo, come lo sa Saphira. Troppo turbato per tornare nello stato di trance che ormai aveva sostituito il sonno, sgattaiolò dalla camera da letto senza svegliare Saphira, e salì la scala a chiocciola che portava allo studio. Tolse lo schermo a una lanterna bianca e lesse uno dei poemi epici di Analisia fino all'alba, nel tentativo di calmarsi.
Proprio mentre richiudeva il rotolo, Blagden entrò dal varco nella parete e con un frullo d'ali si posò su un angolo della scrivania intagliata. Il corvo bianco fissò Eragon f con gli occhietti rotondi e gracchiò: «Wyrda!» Eragon chinò il capo. «E che le stelle ti proteggano, mastro Blagden.» Il corvo zampettò più vicino. Inclinò la testa da un lato ed emise un colpo di tosse, come se si stesse schiarendo la gola, poi recitò con voce roca:
Per il becco e l'osso,
con la mia pietra nera posso
vedere inganni, tradimenti
e insanguinate correnti!
«Cosa significa?» chiese Eragon.
Blagden scrollò le spalle e ripetè i versi. Quando Eragon insistette per avere una spiegazione, l'uccello arruffò le penne, con aria delusa, e gracchiò: «Tale padre tale figlio, ciechi come talpe.»
«Aspetta!» esclamò Eragon, balzando in piedi. «Conosci mio padre? Chi è?»
Blagden tossicchiò ancora. Questa volta parve che ridesse.
Se due può dividere due,
e uno di due è certamente uno,
uno potrebbe essere due.
«Un nome, Blagden. Dammi un nome!» Davanti all'ostinato silenzio del corvo, Eragon dilatò la mente per carpire l'informazione dai ricordi dell'uccello.
Ma Blagden era scaltro e deviò la sonda mentale di Eragon con un guizzo di pensiero. Strillando: «Wyrda!» si avventò sul tappo di vetro di una boccetta d'inchiostro e si allontanò in volo con il trofeo stretto nel becco. Scomparve alla vista ancor prima che Eragon potesse evocare un incantesimo per riportarlo indietro.
Eragon si sentì attanagliare le viscere mentre cercava di decifrare i due enigmi di Blagden. L'ultima cosa che si sarebbe aspettato era di sentir parlare di suo padre a Ellesméra. Infine borbottò: «E sia.» Scoverò Blagden e gli strapperò la verità. Ma per il momento... dovrei essere un pazzo per ignorare quelle visioni. Corse di sotto e svegliò Saphira con la mente per raccontarle quello che aveva visto durante la notte. Preso lo specchio nel camerino da bagno, Eragon si sedette fra le due zampe anteriori di Saphira perché anche lei vedesse quello che vedeva lui.
Arya non gradirà un'invasione della sua intimità, l'ammonì Saphira. Devo sapere se è al sicuro.
Saphira accettò senza altre proteste. Come farai a trovarla? Hai detto che dopo la sua prigionia ha eretto intorno a sé barriere magiche, come la tua collana, per impedire a chiunque di divinarla.
Se riesco a divinare le persone che sono con lei, forse riuscirò a vedere come sta. Concentrandosi su un'immagine di Nasuada, Eragon passò una mano sullo specchio e pronunciò la consueta frase: «Rifletti l'immagine!» Lo specchio tremolò e divenne bianco, mostrando soltanto nove persone sedute intorno a un tavolo. Fra di loro, Eragon riconobbe Nasuada e il Consiglio degli Anziani, ma non riuscì a identificare una strana ragazzina vestita di nero, rannicchiata alle spalle di Nasuada. Rimase sconcertato, perché la cristallomanzia consentiva di divinare cose o persone già viste, ed Eragon era sicuro di non aver mai posato lo sguardo su quella bambina. Se ne dimenticò subito quando si accorse che gli uomini, e perfino Nasuada, erano in tenuta da combattimento.
Ascoltiamo le loro voci, suggerì Saphira.
Nell'istante in cui Eragon apportò la necessaria modifica all'incantesimo, dallo specchio risuonò la voce di Nasuada: "... e il caos ci distruggerà. I nostri guerrieri non possono seguire che un solo comandante in questo conflitto. Decidi chi dovrà essere, Orrin, e in fretta."
Eragon sentì un sospiro disincarnato. "Come desideri; l'incarico è tuo."
"Ma, sire, lei non possiede i requisiti!"
"Basta, Irwin" ordinò il re. "Nasuada ha più esperienza di guerra di chiunque altro nel Surda. E i Varden sono l'unica forza che abbia sconfitto un esercito di Galbatorix. Se Nasuada fosse un generale surdano - ammetto che sarebbe alquanto singolare - non esiteresti un istante a nominarla comandante in capo. Sarò ben lieto di discutere la questione dell'autorità in un secondo momento, perché vorrà dire che sarò ancora vivo, e non sepolto nella mia tomba. Comunque sia, il nostro numero è ancora così esiguo che temo che saremo spacciati se Rothgar non ci raggiungerà prima della fine della settimana. Ora, dov'è quella dannata pergamena sul convoglio delle salmerie?... Ah, ti ringrazio, Arya. Ancora tre giorni senza..."
A quel punto la discussione s'imperniò sulla scarsità di corde per arco; Eragon decise che non gli serviva a niente, così chiuse il contatto. Lo specchio tornò limpido, e lui si ritrovò a fissare il proprio volto.
È viva, mormorò. Il suo sollievo era però adombrato dal significato di quanto aveva udito.
Saphira lo guardò. Hanno bisogno di noi.
Sì. Perché Oromis non ci ha avvertiti? Lui deve saperlo.
Forse non voleva che interrompessimo l'addestramento.
Preoccupato, Eragon si domandò che cos'altro d'importante stesse accadendo in Alagaésia di cui non era a conoscenza. Roran. Con una punta di rimorso, Eragon si rese conto che erano passate settimane da quando aveva pensato l'ultima volta a suo cugino, e ancora di più da quando lo aveva divinato sulla via per Ellesméra. Rinnovando la formula magica, lo specchio rivelò due figure che si stagliavano contro uno sfondo bianco. Ci volle un lungo istante perché Eragon riconoscesse nella figura a destra suo cugino Roran. Indossava logori abiti da viaggio, un martello infilato alla cintura, e una folta barba gli oscurava il volto. La sua espressione tetra tradiva disperazione. A sinistra c'era Jeod. I due uomini si alzavano e si abbassavano, e il fragore delle onde copriva le loro parole. Dopo un po', Roran si volse e s'incamminò lungo quello che Eragon pensò fosse il ponte di una nave, rivelandogli altre decine di compaesani. Dove si trovano, e perché Jeod è con loro? si chiese, perplesso.
Trasferendo la magia da un luogo all'altro, Eragon divinò in rapida successione Teirm - sconvolto nel vedere che il porto della città era andato distrutto - e poi Therinsford, la vecchia fattoria di Garrow, e infine Carvahall. Allora non potè reprimere un grido di angoscia.
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