Volodyk - Paolini2-Eldest

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Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание

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io avrei detto di combattere, dato che siamo molto più numerosi degli equipaggi delle corvette. Ma eviterei uno scontro diretto. Mi sembra difficile poter vincere, considerando quante navi inviate in aiuto dei Varden sono scomparse.» Con un borbottio, Uthar tracciò un cerchio intorno alla loro attuale posizione. «Questa è la massima distanza che saremo in grado di coprire entro domani sera, purché il vento ci sia favorevole. Potremmo attraccare da qualche parte fra Beirland e Nìa, se volessimo, ma non vedo come questo possa esserci d'aiuto. Ci troveremmo in trappola. I soldati di quelle corvette o i Ra'zac o Galbatorix ci potrebbero stanare in qualsiasi momento.»

Roran aggrottò la fronte meditando sulle alternative: una battaglia con le corvette sembrava inevitabile. Per lunghi minuti l'unico rumore dentro la cabina fu lo sciabordio delle onde contro lo scafo. Poi Jeod posò il dito sulla mappa fra Beirland e Nia, guardò Uthar e disse: «Che ne pensi dell'Occhio del Cinghiale?»

Roran rimase sorpreso quando vide impallidire la faccia del rude lupo di mare. «Non ci penso neppure, mastro Jeod. Non correrei mai quel rischio. Preferirei affrontare le corvette e morire in mare aperto piuttosto che sfidare quel luogo maledetto. Ha inghiottito più navi di quante ne abbia l'intera flotta di Galbatorix.»

«Eppure mi pare di ricordare» insistette Jeod, appoggiandosi allo schienale «che il passaggio è sicuro al culmine dell'alta e della bassa marea. O mi sbaglio?»

Con grande, palese riluttanza, Uthar ammise: «No, è giusto, ma l'Occhio è così vasto che occorre calcolare i tempi alla perfezione per evitare il disastro. Non ce la faremo, con quelle corvette alle calcagna.»

«Ma se potessimo» continuò Jeod, «se riuscissimo a calcolare i tempi, le corvette andrebbero distrutte, oppure, se il coraggio mancasse loro, sarebbero costrette a circumnavigare Ma. In questo caso avremmo il tempo di trovare un nascondiglio.»

«Se, se... Ci farai colare a picco con i tuoi se.»

«Andiamo, Uthar, le tue paure sono irrazionali. La mia proposta è pericolosa, lo ammetto, ma non più di quanto lo sia stata quella di fuggire da Teirm. O dubiti di non essere in grado di attraversare lo stretto? Non sei abbastanza uomo da provarci?»

Uthar incrociò le braccia nude. «Non hai mai visto l'Occhio, vero?»

«No, mai.»

«Non è che io non sia uomo abbastanza, ma l'Occhio travalica le forze di un essere umano; le nostre navi più grandi, i nostri edifici più imponenti, qualsiasi cosa ti venga in mente impallidisce al confronto. Sarebbe come cercare di cavalcare una valanga; potresti riuscirci, ma potresti lo stesso finire ridotto in polvere.»

«Cosa sarebbe» intervenne Roran «l'Occhio del Cinghiale?»

«Le fameliche fauci dell'oceano» sentenziò Uthar.

In tono meno solenne, Jeod disse: «È un gorgo, Roran. L'Occhio si forma per le correnti di marea che si scontrano fra Beirland e Ma. Quando la marea sale, l'Occhio ruota da nord a ovest. Quando la marea cala, ruota da nord a est.» «Non suona così pericoloso.»

Uthar scrollò il capo, il codino gli frustò i lati del collo bruciato dal sole, e rise. «Non così pericoloso, dice! Ha!» «Quello che forse ti sfugge» continuò Jeod «sono le dimensioni del vortice. Al centro, l'Occhio misura una lega di diametro, mentre le spire possono arrivare fino a dieci, quindici miglia di distanza. Le navi inghiottite dall'Occhio vengono precipitate sul fondo dell'oceano, dove si schiantano sugli scogli. Relitti galleggianti si trovano spesso sulle spiagge delle due isole.»

«Qualcuno potrebbe mai aspettarsi che prendiamo quella rotta?» chiese Roran.

«No, e a ben vedere» grugnì Uthar. Jeod scosse il capo.

«Sarebbe possibile per noi attraversare l'Occhio?»

«Anche solo pensarci è una follia bella e buona.»

Roran annuì. «So che è un rischio che non vuoi correre, Uthar, ma rifletti sulle alternative. Io non sono un marinaio, perciò mi affido alla tua esperienza: possiamo attraversare l'Occhio?»

Il capitano esitò. «Forse sì, forse no. Bisogna essere dei pazzi forsennati per spingersi a meno di cinque miglia da quel mostro.»

Roran estrasse il martello dalla cintura e lo picchiò sul tavolo, lasciando una tacca profonda mezzo pollice. «Allora sono un pazzo forsennato! » Sostenne lo sguardo di Uthar finché il marinaio non mostrò il suo disagio. «Devo forse ricordarti che siamo arrivati fin qui facendo quello che pavidi pessimisti dicevano che non si poteva o non si doveva fare? Noi di Carvahall abbiamo osato abbandonare le nostre case e attraversare la Grande Dorsale. Jeod ha osato rubare l'Ala di Drago. E tu, Uthar, cosa sei in grado di osare? Se riusciamo a superare l'Occhio e a sopravvivere per raccontarlo, sarai ricordato come uno dei più grandi marinai della storia. Ora rispondimi con tutta onestà: si può fare?» Uthar si passò una mano sul volto. Quando parlò, la sua voce suonò sommessa, come se la foga di Roran lo avesse prosciugato dell'abituale spavalderia. «Non lo so, Fortemartello... Se aspettiamo che l'Occhio si plachi, le corvette potrebbero essere abbastanza vicine da scampare anche loro, insieme a noi. E se il vento dovesse calare, resteremmo intrappolati nella corrente, incapaci di manovrare.»

«In qualità di comandante, vuoi provarci? Né io né Jeod possiamo comandare l'Ala di Drago al posto tuo.» Uthar fissò a lungo le carte, una mano premuta sull'altra. Tracciò una riga o due dalla loro posizione e studiò una tabella di cifre che per Roran non aveva alcun significato Alla fine, disse: «Temo che finiremo nelle fauci dell'oceano, ma si, faro del mio meglio per passare.»

Soddisfatto, Roran ripose il martello. «E sia.»

L'Occhio del Cinghiale

Nel corso della giornata, le corvette si avvicinarono sempre di più all'Ala di Drago. Roran le teneva sotto costante osservazione, nel timore che potessero arrivare abbastanza vicine da attaccare prima che l'Ala di Drago raggiungesse l'Occhio del Cinghiale. Tuttavia Uthar sembrava in grado di tenere loro testa, almeno per un altro po'. Agli ordini di Uthar, Roran e gli altri passeggeri si adoperarono per risistemare la nave dopo la tempesta e prepararsi all'impresa che li aspettava. Finirono di lavorare al calar della notte, quando spensero ogni luce a bordo nel tentativo di confondere i loro inseguitori sulla rotta che l'Ala di Drago avrebbe seguito. Lo stratagemma ebbe in parte successo, perché quando sorse il sole, Roran vide che le corvette avevano perso oltre un miglio a nordovest, anche se recuperarono in fretta lo svantaggio.

Nella tarda mattinata, Roran si arrampicò sull'albero di maestra e salì sulla coffa, a centotrenta piedi dal ponte di coperta, dove gli uomini apparivano non più grandi del suo dito mignolo. L'acqua e il cielo ondeggiavano pericolosamente intorno a lui, mentre l'Ala di Drago rollava da un lato e dall'altro.

Roran prese il cannocchiale che aveva con sé, lo portò all'occhio e lo regolò per metterlo a fuoco sulle corvette, lontane quattro miglia a poppa ma in rapido avvicinamento. Devono aver capìto che cosa intendiamo fare, si disse. Spostando il cannocchiale, scrutò l'oceano in cerca dell'Occhio del Cinghiale. Si fermò quando vide un disco di schiuma grande quanto un'isola che ruotava da nord a est. Troppo tardi, pensò con un groppo allo stomaco. L'alta marea era già passata e l'Occhio del Cinghiale stava guadagnando velocità di rotazione e potenza mentre l'oceano si ritirava dalla terra. Roran abbassò il cannocchiale sul bordo della coffa e vide che la cima annodata che Uthar aveva legato a dritta della poppa - per rilevare quando sarebbero entrati nel raggio di trazione del gorgo - ora galleggiava lungo l'Ala di Drago, invece di essere trascinata dalla scia come al solito. L'unico vantaggio era che navigavano con la corrente dell'Occhio a favore, e non contro. In caso contrario, non avrebbero avuto scelta se non aspettare che la marea cambiasse.

Di sotto, Roran sentì Uthar gridare ai profughi di andare ai remi. Un momento dopo, dai fianchi dell'Ala di Drago sbucarono due ordini di remi, facendo somigliare la nave a un gigantesco ragno d'acqua. Al ritmo di un tamburo, accompagnato dalle incitazioni di Bonden che segnavano il tempo, i remi si levarono in alto per poi affondare nel mare verde e riemergere lasciando bianche striature spumeggiami nella scia. L'Ala di Drago accelerò, più veloce delle corvette, ancora lontane dall'influenza dell'Occhio.

Roran osservava con affascinato terrore il dramma che si dipanava intorno a lui. L'elemento essenziale, il punto cruciale da cui dipendeva l'esito dell'impresa, era il tempo. Malgrado il ritardo, l'Ala di Drago, con lo sforzo congiunto di remi e velatura, sarebbe stata abbastanza veloce da superare l'Occhio? E le corvette - che avevano in quel momento messo in mare i remi - potevano accorciare la distanza fra loro e l'Ala di Drago, assicurandosi la salvezza? Non sapeva dirlo. Il tamburo segnava lo scorrere dei minuti; Roran era acutamente consapevole di ogni momento che passava. Rimase sorpreso quando un braccio sporse dal bordo della coffa, e comparve la faccia di Baldor, che lo guardò. «Dammi una mano. Ho paura di cadere.»

Puntellandosi con le gambe divaricate, Roran aiutò Baldor a issarsi nella coffa. Baldor gli porse una galletta e una mela rinsecchita, dicendo: «Ho pensato che forse avevi fame.» Con un cenno di gratitudine, Roran addentò la galletta e riprese a guardare col cannocchiale. Quando Baldor gli chiese: «Riesci a vedere l'Occhio?» Roran gli passò lo strumento e continuò a mangiare.

Per la mezz'ora che seguì, il gorgo di schiuma aumentò la sua velocità di rotazione fino a girare come una trottola. L'acqua intorno alla schiuma cominciò a gonfiarsi e a sollevarsi, mentre la schiuma stessa s'inabissava, sparendo dalla visuale sul fondo di una gigantesca voragine che continuava ad allargarsi. L'aria sul vortice si riempì di un ciclone di nebbia, e dalla gola nera dell'abisso si levò un ululato lacerante come quello di un lupo ferito.

La velocità con cui si andava formando l'Occhio del Cinghiale sconvolse Roran. «Sarà meglio che tu avverta Uthar» disse.

Baldor scavalcò il bordo della coffa. «Legati all'albero, altrimenti verrai spazzato via.»

«Lo farò.»

Roran lasciò le braccia libere quando si legò, tenendo il coltello a portata di mano nel caso che avesse dovuto tagliare le corde per liberarsi. L'ansia cresceva mentre studiava la situazione. L'Ala di Drago aveva già superato di un miglio la mediana dell'Occhio, con le corvette a due miglia di distanza, mentre l'Occhio stesso stava per raggiungere il parossismo della sua furia. A peggiorare le cose, il vento, disturbato dal gorgo, soffiava a singhiozzi, irregolare, spirando prima da una parte, poi dall'altra. Le vele si gonfiavano per un momento, poi si afflosciavano, poi si riempivano di nuovo, a seconda dell'umore del vento.

Forse Uthar aveva ragione, pensò Roran. Forse mi sono spinto troppo oltre e ho sfidato un avversano che non si può sconfìggere con la sola determinazione. Forse ho consegnato i miei compagni fra le braccia di un destino orrìbile. Le forze della natura erano immuni alle intimidazioni.

L'orbita dell'Occhio del Cinghiale doveva ormai misurare quasi dieci miglia di circonferenza, e nessuno poteva ! calcolare la profondità del gorgo, tranne quelli che vi erano rimasti intrappolati. I lati del vortice avevano una pendenza di quarantacinque gradi, solcati da rilievi simmetrici I come argilla bagnata plasmata sul tornio di un ceramista. : Il sordo ululato divenne più forte, finché a Roran non parve che tutto il mondo sarebbe crollato in frantumi per l'intensità delle vibrazioni. Un glorioso arcobaleno emerse dalla nebbia sull'abisso vorticante. La corrente li trascinava a rotta di collo, spingendo l'Ala di Drago rasente i margini del gorgo; la prospettiva di riuscire ad affrancarsi dalla porzione meridionale dell'Occhio era sempre più improbabile. Così prodigiosa era la corrente che l'Ala di Drago sbandò a dritta al punto che Roran si ritrovò sospeso sull'acqua ruggente.

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