Volodyk - Paolini3-Brisingr

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"Dammi il tuo cuore, figlio mio."

Con un grido strozzato, Eragon balzò dal divano e si ritrovò in piedi, lo sguardo fisso sul pavimento, i pugni serrati, il respiro affannoso. Le guardie di Orik gli lanciarono occhiate indagatrici, ma lui le ignorò, troppo turbato per spiegare quello scatto.

Era ancora presto, così tornò a sedersi sul divano, ma rimase all'erta e non consentì a se stesso di sprofondare ancora nel mondo dei sogni, temendo che chissà quali altri fantasmi arrivassero a tormentarlo.

Eragon era in piedi, la schiena rivolta alla parete, la mano sul pomolo dello spadino da nano, mentre osservava i capiclan sfilare nella sala riunioni circolare sepolta sotto Tronjheim. Tenne d'occhio soprattutto Vermûnd, il grimstborith dell'Az Sweldn rak Anhûin, ma se anche il nano coperto dal lungo velo viola era sorpreso di vederlo vivo e vegeto, non lo diede a vedere.

Eragon sentì lo stivale di Orik contro il suo. Senza distogliere lo sguardo, si chinò verso di lui. «Ricordati, a sinistra; la terza porta» gli sussurrò, alludendo al punto in cui aveva fatto schierare un centinaio di guerrieri all'insaputa degli altri capiclan.

«Se si arriva al sangue, devo cogliere l'occasione e uccidere quella serpe di Vermûnd?» chiese Eragon, anche lui a fior di labbra.

«No, ti prego, a meno che non sia lui a fare la prima mossa contro uno di noi.» A Orik sfuggì un risolino sommesso. «Difficilmente ti conquisteresti il favore degli altri grimstborith... Adesso devo andare. Prega Sindri di avere fortuna, d'accordo? Stiamo per avventurarci in un mare di lava che non ho mai osato attraversare prima d'ora.»

Eragon obbedì e pregò.

Quando tutti i capiclan si furono seduti attorno al tavolo in mezzo alla stanza, gli osservatori, compreso Eragon, presero posto sulle sedie disposte contro la parete ricurva. Tuttavia, a differenza di molti nani, lui non si rilassò: anzi, rimase seduto sul bordo della sedia, pronto a scattare al minimo segnale di pericolo.

Non appena Gannel, il sacerdote-guerriero dagli occhi neri del Dûrgrimst Quan, si alzò e cominciò a parlare nell'antica lingua dei nani, Hûndfast si avvicinò furtivo a Eragon e gli tradusse tutto sottovoce, senza mai fermarsi: «Di nuovo ben trovati, miei compagni capiclan. Ma che sia un'occasione piacevole o meno non saprei dirlo, perché mi sono giunte all'orecchio alcune voci allarmanti, anzi, in verità voci di voci. Non ho altre informazioni al di là di queste chiacchiere vaghe e preoccupanti, né prove sulle quali fondare un'accusa. Tuttavia, poiché oggi spetta a me presiedere il raduno, propongo di posticipare i nostri dibattiti più seri: se siete d'accordo, vorrei porvi qualche domanda.»

I capiclan borbottarono tra loro e poi prese la parola Íorûnn, vivace e sorridente come sempre: «Io non ho obiezioni, Grimstborith Gannel. Hai risvegliato la mia curiosità con queste misteriose insinuazioni. Sentiamo le tue domande.»

«Sì, sentiamole» intervenne Nado.

«Sentiamole» convennero Manndrâth e gli altri capiclan, compreso Vermûnd.

Ottenuto il permesso richiesto, Gannel si appoggiò con le nocche sul tavolo e rimase in silenzio per un istante, conquistando l'attenzione dei presenti. Poi parlò. «Ieri, mentre stavamo pranzando, ognuno nel punto di ristoro prescelto, alcuni knurlan hanno sentito un rumore provenire dai tunnel sotto il quadrante meridionale di Tronjheim. Le dichiarazioni sull'intensità di questo rumore sono discordi, ma che l'abbiano notato in tanti prova che doveva trattarsi di un suono di una certa entità. Come voi, ho ricevuto il solito avvertimento di un possibile crollo. Ciò di cui forse non siete a conoscenza, tuttavia, è che appena due ore dopo alcuni...»

Hûndfast esitò e poi si affrettò a sussurrare: «È una parola difficile da rendere nella tua lingua. Direi qualcosa tipo: "abitanti dei tunnel".» E poi riprese a tradurre.

«... alcuni abitanti dei tunnel hanno scoperto tracce di un feroce combattimento in uno degli antichi cunicoli scavati dal nostro celebre progenitore, Korgan Barbalunga. Il pavimento era un lago di sangue, le pareti annerite di fuliggine poiché un guerriero poco accorto aveva colpito e rotto una lanterna con la spada, la roccia tutto intorno era spaccata e a terra c'erano sette corpi carbonizzati e mutilati; forse portavano insegne, ma qualcuno le ha rimosse. Di sicuro non erano i resti di qualche oscura scaramuccia risalente alla battaglia del Farthen Dûr. No! Il sangue era ancora fresco, la fuliggine soffice, le crepe recenti e, almeno così mi è stato detto, si distinguevano ancora le tracce di potenti magie. Perfino ora molti dei nostri più abili stregoni stanno tentando di ricostruire un'immagine fedele di ciò che è accaduto, ma hanno poche speranze di successo, poiché gli individui coinvolti erano protetti da subdoli incantesimi. Allora, la mia prima domanda è: qualcuno di voi è al corrente di questa azione misteriosa?»

Quando Gannel ebbe concluso il suo discorso, Eragon piegò le gambe, pronto a balzare in piedi se i nani ammantati di viola dell'Az Sweldn rak Anhûin avessero messo mano alle spade.

Orik si schiarì la voce e rispose: «Credo di poter soddisfare in parte la tua curiosità su questo punto, Gannel. Tuttavia, poiché la mia risposta sarà lunga, suggerisco che tu prosegua con le altre domande.»

Gannel corrugò la fronte, rabbuiato. Battendo le nocche sul tavolo, replicò: «Molto bene... Cosa che senza dubbio è da ricollegarsi allo scontro armato avvenuto nei tunnel di Korgan, mi sono stati riportati numerosi movimenti di knurlan che si starebbero organizzando in bande armate per tutta Tronjheim, benché i loro scopi siano ancora sconosciuti. I miei agenti non sono riusciti a scoprire il clan di appartenenza dei guerrieri, ma che un qualsiasi clan presente a questo concilio stia tentando di schierare furtivamente le proprie forze mentre siamo radunati per decidere il successore di re Rothgar suggerisce motivazioni della più fosca natura. Dunque la mia seconda domanda è: chi è il responsabile di questa manovra scorretta? E se nessuno è disposto ad ammettere la propria condotta indegna, propongo con forza che tutti i guerrieri, quale che sia il loro clan, siano espulsi da Tronjheim per la durata del raduno e che si nomini subito un esperto in materia legale per indagare su tali fatti e stabilire chi sia il colpevole.»

La rivelazione, la domanda e la conseguente proposta di Gannel sollevarono un animato brusio tra i capiclan, che presero a lanciarsi accuse, negarle e ribattere con crescente animosità, finché, mentre un infuriato Thordris stava gridando contro un paonazzo Gàldhiem, Orik si schiarì di nuovo la voce. Tutti tacquero e si voltarono a fissarlo.

«Credo di poterti spiegare anche questo, Gannel, almeno in parte» disse in tono calmo Orik. «Non posso parlare anche a nome degli altri clan, ma ammetto che tra i guerrieri che correvano per le sale della servitù a Tronjheim diverse centinaia appartenevano al Dûrgrimst Ingeitum.»

Calò il silenzio, finché non intervenne Íorûnn: «E che spiegazione hai per questo comportamento bellicoso, Orik, figlio di Thrifk?»

«Come ho detto prima, leggiadra Íorûnn, la mia risposta non può che essere lunga; dunque, se Gannel ha altre domande da porre, gli suggerisco di procedere.»

Gannel arricciò ancora di più la fronte, finché le cespugliose sopracciglia non arrivarono quasi a toccarsi. «Per il momento le terrò per me, perché comunque sono legate a quelle di prima e a quanto pare dobbiamo aspettare i tuoi comodi per saperne di più sull'accaduto. Tuttavia, poiché sei immerso fino al collo in queste ambigue attività, mi è venuta in mente una nuova domanda che voglio porre a te in particolare, Grimstborith Orik. Per quale ragione hai disertato il raduno di ieri? Voglio metterti in guardia: non tollererò risposte evasive. Hai già dichiarato di essere a conoscenza di certe cose. Bene, è giunto il momento che tu dia un resoconto completo dei tuoi spostamenti di ieri.»

Senza nemmeno aspettare che Gannel si sedesse, Orik si alzò e rispose: «Con piacere.»

Chinando il mento barbuto fino al petto, fece una breve pausa e poi prese a parlare con voce sonora, ma non cominciò dal punto che si aspettava Eragon, e forse anche il resto dei presenti. Invece di descrivere l'attentato contro il fratello adottivo e spiegare così perché aveva abbandonato la consulta, cominciò a raccontare che agli albori della storia il popolo dei nani era emigrato dal Deserto di Hadarac, un tempo verdeggiante, fino ai Monti Beor, dove aveva scavato infinite miglia di tunnel e costruito maestose città sopra e sotto la superficie terrestre. Poi parlò delle grandi guerre tra le varie fazioni e contro i draghi, che per migliaia di anni i nani avevano trattato con un misto di odio, paura e riluttante soggezione. E infine narrò dell'arrivo degli elfi in Alagaësia, di come avevano combattuto contro i draghi fin quasi a sterminarsi a vicenda e della conseguente alleanza tra le due razze, che avevano fondato i Cavalieri dei Draghi per mantenere la pace.

«E quale fu la nostra risposta quando apprendemmo le loro intenzioni?» domandò Orik con voce tonante. «Chiedemmo loro di essere inclusi nel patto? Aspirammo a condividere il potere dei Cavalieri dei Draghi? No! Fedeli alle nostre abitudini e all'antico odio verso i draghi, rifiutammo anche il solo pensiero di allearci con loro o di permettere a chiunque fosse estraneo al nostro regno di vegliare su di noi. Per preservare la nostra autorità, sacrificammo il nostro futuro, perché sono convinto che se ci fosse stato un Cavaliere knurlan, Galbatorix non sarebbe mai salito al potere. Se anche mi sbagliassi - e badate bene, non voglio sminuire Eragon, che si è dimostrato un ottimo Cavaliere - forse l'uovo della dragonessa Saphira si sarebbe dischiuso tra le mani di uno di noi e non di un umano. Riuscite a immaginare quale gloria avremmo potuto ricavarne?

«Invece, da quando la regina Tarmunora e l'omonimo di Eragon siglarono la pace con i draghi, la nostra importanza in Alagaësia si è ridotta. All'inizio essere sminuiti non fu un boccone poi così amaro da ingoiare, e spesso fu più facile negarlo che accettarlo. Ma poi arrivarono gli Urgali, e poi gli umani, e gli elfi modificarono i loro incantesimi così che anche gli umani potessero diventare Cavalieri. Allora cercammo forse di essere inclusi nel loro accordo, come avremmo potuto, anzi, com'era nostro diritto?» Orik scosse il capo. «Il nostro orgoglio non ce lo consentì. Perché noi, la razza più antica della terra, avremmo dovuto implorare gli elfi per godere dei benefici della loro magia? Noi non avevamo bisogno di assoggettare il nostro destino a quello dei draghi per salvare la nostra razza dalla distruzione, come invece fecero gli elfi e gli umani. Ovviamente non consideravamo le battaglie tra di noi. A nostro parere erano questioni private e di scarso interesse per chiunque altro.»

I capiclan in ascolto si agitarono sulle sedie. Alla critica di Orik molti aggrottarono la fronte, mentre altri, più sensibili ai suoi commenti, si fecero pensosi.

Orik continuò: «Mentre i Cavalieri vegliavano su Alagaësia, noi vivemmo il periodo di più grande benessere mai registrato negli annali del nostro regno. Prosperammo come mai prima di allora, e tuttavia non avemmo alcuna parte nel processo che diede vita a quell'era fortunata, e non aiutammo i suoi artefici: i Cavalieri dei Draghi. Quando i Cavalieri furono sconfitti, la nostra fortuna vacillò, ma ancora una volta noi non intervenimmo, non facemmo nulla per cambiare le cose. A mio parere, nessuna delle due situazioni si conviene a una razza del nostro calibro. Non siamo un paese di vassalli soggetti ai capricci di padroni stranieri. E chi non discende da Odgar o da Hlordis non dovrebbe dettare il nostro destino.»

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