Volodyk - Paolini3-Brisingr

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L'interprete fece un inchino e sparì sotto un arco sulla sinistra; l'eco dei suoi passi risuonò sul lustro pavimento di agata. Non appena fu sicuro che non avrebbe potuto sentirlo, Eragon chiese: «Non ti fidi di lui?»

Orik si strinse nelle spalle. «Al momento non so più di chi fidarmi; meno gente sa ciò che abbiamo scoperto, meglio è. Non possiamo rischiare che la notizia giunga a un altro clan prima di domani. In quel caso la guerra sarebbe inevitabile.» I nani dietro di lui borbottarono qualcosa tra loro; avevano l'aria sconcertata.

«Allora, di che si tratta?» domandò Eragon, preoccupato.

Orik fece un cenno ai suoi guerrieri, che si fecero da parte, rivelando tre nani legati e insanguinati, ammucchiati uno sopra l'altro nell'angolo. Quello in basso gemeva e scalciava, ma non riusciva a districarsi dagli altri due compagni di prigionia.

«Chi sono?»

«Ho chiesto a molti dei nostri fabbri di esaminare i pugnali dei tuoi assalitori» replicò Orik. «In base alla fattura delle armi, sono risaliti a Kiefna il Nasone, un forgiatore di spade del nostro clan che si è guadagnato un'ottima reputazione tra il nostro popolo.»

«Lui potrà dirci chi ha comprato i pugnali e chi sono i nostri nemici?»

Una brusca risata scosse il petto di Orik. «Non credo, ma siamo riusciti a scoprire che da Kiefna i pugnali sono arrivati a un armaiolo di Dalgon, una città a molte leghe da qui, il quale poi li ha venduti a una knurlaf con...»

«Una... knurlaf?»

Orik si accigliò. «Sì, vuol dire nana. A quanto pare, due mesi fa una nana con sette dita per ogni mano ha comprato quei pugnali.»

«E l'avete trovata? Non ci saranno tante nane che rispondono a quella descrizione.»

«Invece tra noi è una caratteristica molto diffusa» disse Orik. «Comunque, dopo mille peripezie siamo riusciti a rintracciarla a Dalgon. I miei guerrieri l'hanno interrogata a lungo. Appartiene al Dûrgrimst Nagra, ma per quanto ne sappiamo ha agito spontaneamente e non per ordine dei leader del suo clan. Da lei abbiamo appreso che un nano l'aveva incaricata di comprare i pugnali e poi di consegnarli a un mercante di vini che li avrebbe portati a Dalgon. La destinazione finale le era sconosciuta, ma facendo qualche domanda abbiamo scoperto che il vinaio si è trasferito in una delle città controllate dal Dûrgrimst Az Sweldn rak Anhûin.»

«Dunque sono stati loro!» esclamò Eragon.

«O loro, o qualcuno che voleva farcelo credere. Per affermare con assoluta certezza che i colpevoli sono gli Az Sweldn ci servivano altre prove.» Poi gli comparve uno strano brillio negli occhi e alzò un dito. «E così, per mezzo di un incantesimo molto, molto astuto, abbiamo seguito a ritroso gli spostamenti degli assassini attraverso i tunnel e le grotte sotto Tronjheim fino a un'area desertica al dodicesimo livello, accanto al palazzo ausiliare dell'ala meridionale nel quadrante ovest, lungo il... ah, be', non importa. Anche se prima o poi dovrò spiegarti com'è fatta Tronjheim, così, se mai ti capitasse di dover cercare un posto in particolare, lo troveresti anche da solo. Comunque siamo risaliti a un magazzino abbandonato e vi abbiamo trovato quei tre» disse indicando i nani legati. «Non si aspettavano di vederci, così siamo riusciti a catturarli vivi, anche se hanno cercato di uccidersi. Non è stato facile, ma siamo penetrati nella mente di due di loro - il terzo l'abbiamo lasciato agli altri capiclan, che potranno interrogarlo a loro piacere - e abbiamo carpito tutto ciò che sapevano su questa faccenda.» Orik indicò di nuovo i prigionieri. «Sono stati questi tre a fornire i pugnali e gli abiti neri agli assassini e a dare loro vitto e alloggio ieri sera.»

«Chi sono?» chiese Eragon.

«Bah!» esclamò Orik e sputò per terra. «Sono Vargrimstn, guerrieri caduti in disgrazia per gravi demeriti, ormai esclusi da ogni clan. Solo una persona coinvolta direttamente in qualche atto criminale, interessata a mantenerlo segreto, può accettare di confondersi con certa feccia. Questi tre hanno preso ordini dal Grimstborith Vermûnd dell'Az Sweldn rak Anhûin.»

«Non ci sono dubbi?»

Orik scosse la testa. «No. Sono stati gli Az Sweldn rak Anhûin che hanno cercato di ucciderti, Eragon. Probabilmente non sapremo mai se sono implicati altri clan, ma se riveliamo questo tradimento, chiunque sia coinvolto nel complotto sarà costretto a disconoscere gli ex alleati, a rinunciare, o quanto meno a posticipare altri attacchi contro l'Ingeitum e, se amministriamo la cosa nel modo migliore, a dare a me il suo voto.»

Nella mente di Eragon balenò l'immagine della lama multicolore che spuntava dal collo di Kvîstor e dell'espressione di dolore del nano che cadeva a terra morente. «Come puniremo gli Az Sweldn rak Anhûin per questo crimine? Uccideremo Vermûnd?»

«Ah, lascia fare a me» rispose Orik, e si picchiettò il naso. «Ho un piano. Ma dobbiamo procedere con cautela, perché è una situazione molto delicata. Erano anni che non assistevamo a un tradimento di tale portata. Dato che non sei cresciuto tra i nani, non puoi capire quanto ci disgusta che uno di noi abbia attaccato un ospite. E che tu sia l'unico Cavaliere rimasto in grado di ostacolare Galbatorix non fa che peggiorare la gravità dell'affronto. Forse sarebbe necessario spargere altro sangue, ma al momento ciò porterebbe solo a una seconda guerra tra clan.»

«Però potrebbe essere l'unico modo per affrontare gli Az Sweldn rak Anhûin» gli fece notare Eragon.

«Non credo, ma se mi sbaglio e la guerra sarà inevitabile, dobbiamo assicurarci che siano da soli a combatterla, che perdano tutti gli alleati. Non sarebbe poi tanto male, no? Insieme, noi e gli altri clan potremmo schiacciarli nel giro di una settimana. Tuttavia combattere una guerra divisi in due o tre fazioni porterebbe il nostro paese alla rovina. Prima di sguainare le spade, dunque, è di cruciale importanza convincere gli altri clan di ciò che hanno fatto gli Az Sweldn rak Anhûin. Permetterai ai maghi degli altri clan di esaminare i tuoi ricordi dell'attacco, in modo da verificare che tutto sia andato come diciamo noi e che non sia stata una farsa inscenata a nostro vantaggio?»

Eragon esitò, riluttante all'idea di aprire la propria mente a sconosciuti, poi indicò con un cenno del capo i tre nani ammassati uno sopra l'altro. «E quelli? Non bastano i loro ricordi a convincere gli altri clan della colpevolezza degli Az Sweldn rak Anhûin?»

Orik fece una smorfia. «In teoria sì, ma per esserne del tutto sicuri i capiclan insisteranno per confrontare i loro ricordi con i tuoi, e se ti rifiuti l'Az Sweldn rak Anhûin sosterrà che stiamo nascondendo qualcosa e che le nostre accuse non sono altro che falsità e calunnie.»

«Benissimo» rispose Eragon. «Se devo, lo farò. Ma se qualche mago si insinua dove non dovrebbe, fosse anche per sbaglio, non avrò altra scelta se non estirpare dalle loro menti ciò che hanno visto. Non posso permettere che certe cose diventino di dominio pubblico.»

Orik annuì e disse: «Sì, mi viene in mente almeno un'informazione che ci danneggerebbe se fosse diffusa ai quattro venti, eh? Sono sicuro che i capiclan accetteranno le tue condizioni, perché tutti abbiamo segreti che non vogliamo vengano sbandierati, e sono altrettanto sicuro che ordineranno ai loro maghi di procedere noncuranti del pericolo. Questo attacco può scatenare un tale disordine nel nostro popolo che i grimstborithn si sentiranno costretti a stabilire la verità sull'accaduto, anche se così facendo rischiano di perdere i loro più rinomati stregoni.»

Ergendosi in tutta la sua pur minima altezza, Orik ordinò che i prigionieri fossero allontanati dall'ingresso e congedò tutti i suoi vassalli, tranne Eragon e un contingente di ventisei guerrieri tra i più abili. Poi con un gesto aggraziato afferrò Eragon per il gomito sinistro e lo condusse verso le stanze più interne. «Stanotte devi restare qui con me, dove l'Az Sweldn rak Anhûin non oserà colpire.»

«Se hai intenzione di dormire, ti metto in guardia subito: io proprio non ci riuscirò, non stanotte. Mi ribolle ancora il sangue dopo il tumulto del combattimento, e la mia testa è altrettanto inquieta.»

«Fa' come vuoi; tanto non mi disturberai, perché mi calerò sugli occhi uno spesso berretto di lana. Tuttavia dovresti provare a cercare di calmarti, magari sfruttando qualcuna delle tecniche che ti hanno insegnato gli elfi, e di recuperare il più possibile le forze. È quasi giorno e tra poche ore i clan si riuniranno di nuovo. Dobbiamo essere freschi per affrontare ciò che ci aspetta. Quello che faremo e diremo determinerà il destino del mio popolo, del mio paese e del resto di Alagaësia... Ah, via quella faccia triste! Pensa a questo, piuttosto: che abbiamo successo o no, e naturalmente spero nella prima ipotesi, i nostri nomi saranno ricordati fino alla notte dei tempi per come ci comporteremo domani. Questo almeno ti riempirà la pancia d'orgoglio! Gli dei sono volubili e l'unica immortalità su cui possiamo contare è quella che ci conquistiamo grazie alle nostre gesta. Che sia per fama o per infamia, è comunque meglio che essere dimenticati una volta abbandonato questo mondo.»

Più tardi, quella notte, nelle ore morte prima dell'alba, avvolto nell'abbraccio del divano imbottito su cui si era lasciato cadere, Eragon lasciò vagare i pensieri e l'impalcatura razionale della sua coscienza si dissolse nella disordinata fantasia dei sogni a occhi aperti. Mentre guardava il mosaico di pietre colorate sulla parete davanti a lui, ebbe l'impressione che vi scorressero, come su un velo luccicante, le scene della sua vita nella Valle Palancar, prima che il fato e sanguinoso irrompesse nella sua esistenza. Tuttavia ben presto quelle scene deviarono dal quotidiano ed Eragon si ritrovò immerso in situazioni immaginarie, costruite pezzo per pezzo da frammenti di fatti realmente accaduti. Pochi istanti prima che si riavesse dal torpore, la visione tremolò e le immagini si fecero via via più reali.

Si trovava nella fucina di Horst, la porta era spalancata, come il ghigno fisso di un folle. Fuori regnava una notte senza stelle e quella divorante oscurità sembrava insidiare il contorno della fioca luce rossa emanata dalla brace, come se fosse ansiosa di inghiottire ogni cosa all'interno di quella sfera accesa. Accanto alla forgia, Horst si stagliava come un gigante; le ombre in continuo movimento sul viso e la barba erano una visione orribile. Alzava e abbassava il braccio imponente, e ogni volta che il martello colpiva l'estremità di una sbarra di acciaio color giallo acceso, un clangore simile a un rintocco di campana faceva vibrare l'aria. Una vampata di scintille saettò fino a terra, dove si spense. Il fabbro colpì il metallo altre quattro volte, poi sollevò la sbarra dall'incudine e la immerse in un barile d'olio. Fiamme spettrali, azzurre e sottili, tremolarono lungo la superficie e poi svanirono tra piccole grida inferocite. Estratta la sbarra, Horst si volse verso Eragon e lo guardò accigliato. "Che cosa ci fai qui?" gli chiese.

"Mi serve la spada di un Cavaliere dei Draghi."

"Vattene. Non ho tempo di forgiartene una. Non vedi che sto lavorando a un gancio da paiolo per Elain? Le serve per la battaglia. Sei solo?"

"Non lo so."

"Dov'è tuo padre? Dov'è tua madre?"

"Non lo so."

Poi risuonò un'altra voce, educata ma forte e potente. "Buon fabbro" disse, "non è solo. È venuto con me."

"E tu chi saresti?" domandò Horst.

"Sono suo padre."

Dalla fitta oscurità oltre i battenti spalancati emerse una figura immensa, orlata da una pallida luce. Si fermò sulla soglia della fucina. Un mantello rosso sventolava sulle spalle più larghe di quelle di un Kull. Nella mano sinistra dell'uomo scintillava Zar'roc, affilata come il dolore. Attraverso le fessure dell'elmo lucente gli occhi azzurri dell'uomo trafissero Eragon, immobilizzandolo, come un coniglio infilzato da una freccia. Poi alzò la mano destra e la tenne levata verso il ragazzo. "Figlio mio, vieni con me. Insieme possiamo distruggere i Varden, uccidere Galbatorix e conquistare tutta Alagaësia. Dammi il tuo cuore e saremo invincibili.

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