Volodyk - Paolini3-Brisingr
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Borbottando tra sé, raspò con gli artigli per rendere un po' più soffice il giaciglio, infine appoggiò il muso sulle zampe distese e chiuse le palpebre interne per riposare e insieme tenere d'occhio chi si avvicinava. Una libellula le ronzò sopra la testa e per l'ennesima volta Saphira si domandò chi fosse stato così folle da dare a quegli stupidi insetti alati un nome tanto leggiadro. Avere le ali non sempre è sinonimo di eleganza, grugnì; poi si abbandonò a un sonno leggero.
Quando sentì gli schiamazzi e le grida di benvenuto, da cui dedusse che Roran e i suoi compagni avevano raggiunto l'accampamento, il grande disco infuocato del sole era prossimo all'orizzonte. Si alzò. Come già in precedenza, Blödhgarm per metà cantò e per metà sussurrò un incantesimo con cui creò un sosia immateriale di Eragon, che poi fece uscire dalla tenda e salire sul dorso della dragonessa, un'imitazione perfetta che pareva dotata di vita propria. A prima vista l'apparizione era impeccabile, ma non aveva una sua coscienza, e se qualcuno degli agenti di Galbatorix avesse cercato di ascoltarne i pensieri avrebbe scoperto l'inganno all'istante. Il successo della messinscena dipendeva dunque da Saphira, che doveva trasportare il fasullo Eragon per tutto l'accampamento e farlo sparire il più in fretta possibile, e dalla speranza che la reputazione del Cavaliere fosse così formidabile da scoraggiare eventuali spioni clandestini intenzionati a carpirgli informazioni sui Varden.
Saphira si avviò a grandi falcate per l'accampamento, con i dodici elfi che correvano stretti attorno a lei. Al suo passaggio, gli uomini si facevano da parte e gridavano: «Salute a te, Ammazzaspettri!» e «Salute a te, Saphira!», e lei sentì accendersi nella pancia un tiepido calore.
Quando arrivò al padiglione di Nasuada, rosso come la crisalide di una farfalla, si accovacciò e infilò la testa nella solita fessura. Blödhgarm riattaccò con il suo dolce canto e il sosia di Eragon scese dalla dragonessa, entrò e non appena fu al sicuro dalla vista dei curiosi che sbirciavano si dissolse nel nulla.
«Credi che ci abbiano scoperti?» gli chiese Nasuada dal suo alto scranno.
L'elfo fece un elegante inchino. «Non ne sono sicuro, Lady Nasuada. Prima di poter rispondere alla tua domanda, dobbiamo aspettare di vedere se l'Impero fa qualche mossa per sfruttare l'assenza di Eragon.»
«Grazie, Blödhgarm. È tutto.»
Con un altro inchino l'elfo si ritirò e prese posizione diverse iarde dietro Saphira, proteggendole il fianco.
Saphira si accoccolò sulla pancia e cominciò a leccarsi le squame intorno al terzo artiglio della zampa davanti, dove si erano accumulate orrende strisce bianche: l'argilla secca in cui ricordava di essersi impantanata mentre mangiava l'ultima preda.
Meno di un minuto dopo, Martland Barbarossa, Roran e un altro uomo che non riconobbe entrarono nel padiglione rosso e si inchinarono a Nasuada. Saphira interruppe le pulizie per saggiare l'aria con la lingua e colse l'odore aspro del sangue rappreso e quello acre del sudore, il puzzo dei cavalli misto all'aroma del cuoio e, debole ma inequivocabile, l'intenso, pungente afrore della paura. Riesaminò il terzetto e vide che l'uomo con la lunga barba rossa aveva perso la mano destra, poi tornò a staccarsi l'argilla dalle squame.
Mentre Saphira riportava ogni squama all'originaria brillantezza, prima Martland, poi l'altro uomo, Ulhart, e infine Roran narrarono una storia di sangue e armi e uomini che ridevano e si rifiutavano di morire quando giungeva la loro ora ma insistevano nel voler combattere perfino dopo che Angvard li aveva richiamati a sé. Com'era sua abitudine, Saphira rimase in silenzio mentre Nasuada e Jörmundur, il suo consigliere alto e magro, domandavano ai guerrieri i dettagli di quella missione sventurata. Sapeva che a volte Eragon si stupiva che non partecipasse più attivamente alle conversazioni. I motivi del suo silenzio erano semplici: prima di tutto si sentiva a suo agio solo quando comunicava con Eragon, Arya o Glaedr, e poi secondo lei la maggior parte delle discussioni non erano altro che inutili perdite di tempo. Che avessero le orecchie rotonde o a punta, le corna o fossero bassi, i bipedi le sembravano dei perditempo senza speranza. Brom non aveva mai esitato: ecco perché le piaceva tanto. Per lei le scelte erano facili: se c'era qualcosa che poteva fare per migliorare la situazione, lo faceva, altrimenti no, e ogni altra parola spesa sull'argomento era inutile rumore. Non si preoccupava mai del futuro, tranne quando si trattava di Eragon.
Concluse le domande, Nasuada espresse il proprio dispiacere a Martland per l'incidente alla mano, poi congedò lui e Ulhart, ma non Roran, a cui disse: «Hai dimostrato ancora una volta il tuo valore, Fortemartello. Sono molto fiera di te.»
«Grazie, mia signora.»
«I nostri migliori guaritori si occuperanno di lui, però Martland avrà comunque bisogno di molto tempo per riprendersi. E non può comandare incursioni simili con una mano sola. Da questo momento dovrà servire i Varden dalle retrovie, non più in prima linea. Potrei fargli avere una promozione e nominarlo mio consigliere militare. Jörmundur, che cosa ne pensi?»
«Un'idea eccellente, mia signora.»
Nasuada annuì soddisfatta. «Ciò significa che devo trovare un altro capitano al servizio del quale dovrai combattere, Roran.»
«Mia signora, perché non scegli me? Le ultime due missioni e i risultati ottenuti non sono forse stati di tuo gradimento?»
«Se continuerai a distinguerti come hai fatto finora, Fortemartello, l'incarico sarà presto tuo. Ma devi essere paziente e aspettare ancora. Due sole missioni, per quanto sbalorditive, non possono rivelare appieno il carattere di un uomo. Quando c'è di mezzo il mio popolo, preferisco agire con estrema cautela. Ti devi adeguare al mio volere.»
Roran strinse l'impugnatura del martello infilato nella cintura, le vene e i tendini della mano in rilievo, però mantenne un tono educato. «Ma certo, Lady Nasuada.»
«Molto bene. Più tardi manderò un paggio a informarti sulla tua prossima destinazione. E cerca di consumare un lauto pasto non appena tu e Katrina avrete finito di festeggiare il tuo ritorno. È un ordine, Fortemartello. Hai l'aria di uno che sta per svenire.»
«Come desideri, mia signora.»
Roran fece per andarsene, ma Nasuada alzò una mano e lo richiamò. «Ora che hai combattuto contro questi uomini che non provano dolore fisico, credi che sarebbe più facile sconfiggerli se potessimo contare anche noi sulla stessa resistenza?»
Roran esitò, poi scosse la testa. «La loro forza è la loro debolezza. Non si difendono come farebbero se temessero il morso di una spada o la punta di una freccia, e così non badano alla propria vita. Sì, è vero, continuano a combattere anche dopo che un uomo normale sarebbe a terra morto stecchito, e non è un vantaggio da poco in battaglia, ma è anche vero che ne muoiono molti di più proprio perché non si proteggono il corpo in maniera adeguata. Nella loro insensibile sicurezza, cadono in trappole e pericoli che noi invece faremmo di tutto per evitare. L'importante è che il morale dei Varden rimanga alto; sono sicuro che con la tattica giusta riusciremo a prevalere su questi mostri che ridono. Se fossimo come loro, ci massacreremmo a vicenda senza accorgercene né preoccuparcene, perché il nostro spirito di sopravvivenza verrebbe meno. Io la penso così.»
«Grazie, Roran.»
Quando se ne fu andato, Saphira chiese: Ancora nessuna notizia di Eragon?
Nasuada scosse il capo. «No, ancora nulla, e il suo silenzio comincia a preoccuparmi. Se non ci avrà cercato entro dopodomani, chiederò ad Arya di mandare un messaggio a uno degli stregoni di Orik per avere sue notizie. Se Eragon non riesce ad accelerare la fine della consulta tra i clan, temo che non potremo più contare sull'alleanza dei nani per le battaglie future. L'unica cosa positiva di un risultato così disastroso sarebbe che Eragon tornasse da noi senza indugio.»
Quando Saphira fu pronta a lasciare il padiglione rosso crisalide, Blödhgarm evocò di nuovo il sosia di Eragon e glielo sistemò sul dorso. La dragonessa ritrasse la testa e, come aveva già fatto prima, attraversò l'accampamento a grandi falcate, seguita a ruota dagli agili elfi.
Raggiunta la tenda di Eragon, l'ombra colorata del Cavaliere vi entrò e poi svanì. Saphira si accucciò e si rassegnò ad aspettare la fine della giornata nella più totale monotonia. Prima di riprendere il suo sonnellino, pur con riluttanza, espanse la mente verso la tenda di Roran e Katrina e insisté finché lui non ebbe abbassato le barriere attorno alla propria coscienza.
Saphira? domandò Roran.
Conosci qualcun altro come me?
Certo che no. È solo che mi hai colto di sorpresa. Sono... be', al momento sono un po' occupato.
Esaminò il colore delle sue emozioni e di quelle di Katrina e la conclusione a cui giunse la divertì. Volevo solo dirti che sono felice che tu sia tornato sano e salvo.
I pensieri di Roran si fecero d'improvviso confusi, da caldi che erano divennero gelidi, e parve in difficoltà a formulare una risposta coerente. Alla fine disse: È molto gentile da parte tua, Saphira.
Se puoi, vieni a trovarmi domani, così potremo parlare con più calma. Mi innervosisco, a stare qui seduta tutto il giorno. Potresti raccontarmi qualcosa su com'era Eragon prima che facessi schiudere il mio uovo tra le sue mani.
Sarebbe... sarebbe un onore.
Soddisfatta di aver dato il benvenuto a Roran e di avere obbedito alle fondamentali regole di cortesia in vigore tra i bipedi con le orecchie rotonde, e rincuorata nel sapere che l'indomani sarebbe stata una giornata un po' meno noiosa del solito, perché era impensabile che qualcuno osasse ignorare la richiesta di un drago, Saphira si sistemò come meglio poté sulla nuda terra. Come spesso le capitava, avrebbe tanto voluto trovarsi ancora nel soffice nido dell'alloggio di Eragon a Ellesméra, dentro l'albero sferzato dal vento. Sospirò, si lasciò sfuggire uno sbuffo di fumo, poi si addormentò e sognò di volare più in alto che mai.
Batté le ali finché non ebbe superato le irraggiungibili vette dei Monti Beor. Poi volò in circolo per un po', ammirando tutta Alagaësia sotto di sé. Infine la colse un irrefrenabile desiderio di salire ancora più su; allora riprese a dare colpi d'ala e in un batter d'occhio, almeno così le parve, superò la luna abbagliante finché nel cielo scuro non rimasero che lei e le stelle argentee. Si librò lassù per un intervallo di tempo indefinito, regina del mondo sottostante, luminoso come un gioiello; poi però l'inquietudine fece breccia nel suo cuore e la dragonessa gridò i suoi pensieri:
Eragon, dove sei?
♦ ♦ ♦
BACIAMI DOLCEMENTE
Al risveglio, Roran si liberò dalle morbide braccia di Katrina e si sedette a torso nudo sul bordo della branda che condividevano. Sbadigliò e si stropicciò gli occhi, poi guardò la pallida striscia di luce del fuoco che filtrava tra i due lembi di stoffa all'ingresso e si sentì ottuso e stordito per la stanchezza accumulata. Avvertì un brivido di freddo, ma rimase dov'era, immobile.
«Roran» lo chiamò Katrina con voce assonnata, poi si sollevò appoggiandosi a un braccio e con l'altro lo cercò. Quando gli passò la mano sulla schiena e gli accarezzò il collo, lui non reagì. «Dormi. Hai bisogno di riposare. Fra non molto dovrai ripartire.»
Roran scosse il capo senza guardarla.
«Che c'è?» gli chiese Katrina. Si mise a sedere, gli coprì le spalle con una coperta, poi si appoggiò a lui, la guancia calda contro il suo braccio. «Sei preoccupato per il nuovo capitano o per la destinazione che ti assegnerà Nasuada?»
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