Volodyk - Paolini3-Brisingr

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Il ragionamento di Orik cominciava a risultare più gradito ai capiclan, che annuirono e sorrisero. All'ultima frase Havard batté le mani.

«Ora, prendiamo in esame la nostra epoca» proseguì Orik. «Galbatorix è in ascesa e tutte le razze combattono per la libertà. Il re è diventato così potente che l'unica ragione per cui non siamo ancora diventati suoi schiavi è che finora non ha scelto di montare in sella al suo drago nero e di attaccarci direttamente. Se lo facesse, cadremmo ai suoi piedi come arbusti travolti da una valanga. Per fortuna pare che si accontenti di aspettare che ci distruggiamo con le nostre mani oltrepassando i cancelli della sua cittadella a Urû'baen. Ora, vi ricordo che prima che Eragon e Saphira si presentassero bagnati e infangati sulla nostra soglia, con un centinaio di Kull ululanti alle calcagna, la nostra unica speranza di sconfiggere Galbatorix era che prima o poi, da qualche parte, l'uovo di Saphira si schiudesse tra le mani del Cavaliere prescelto e che magari, per un colpo di fortuna, questo sconosciuto fosse anche in grado di detronizzarlo. Speranza? Ah! Non ce l'avevamo nemmeno, una speranza; speravamo di avere una speranza. Quando Eragon si presentò a noi la prima volta, molti restarono sgomenti davanti al suo aspetto, me compreso. "Ma è solo un ragazzo" dicevamo. "Non sarebbe stato meglio un elfo?" E invece si è rivelato l'incarnazione di tutte le nostre speranze! Ha ucciso Durza, consentendoci di salvare la nostra città più amata, Tronjheim. La sua dragonessa, Saphira, ha promesso di riportare lo Zaffiro Stellato allo splendore originario. E durante la battaglia delle Pianure Ardenti Eragon ha messo in fuga Murtagh e Castigo, regalandoci la vittoria. Guardatelo! Ora ha assunto le sembianze di un elfo e grazie alla loro strana magia ne ha anche acquisito la velocità e la forza.»

Orik alzò un dito per dare enfasi alle sue parole. «Inoltre re Rothgar, nella sua immensa saggezza, fece ciò che nessun altro re o grimstborith aveva mai fatto; si offrì di adottare Eragon nel Dûrgrimst Ingeitum e di accettarlo come membro della famiglia. Eragon non era costretto ad accettare l'offerta. Anzi, sapeva che molte delle famiglie appartenenti all'Ingeitum erano contrarie e che molti knurlan non l'avrebbero visto di buon occhio. Tuttavia, nonostante la disapprovazione generale e il suo vincolo di fedeltà a Nasuada, Eragon accettò il dono di Rothgar, pur sapendo che la sua vita si sarebbe complicata. Come mi disse lui stesso, prestò giuramento sul Cuore di Pietra per l'obbligo che sentiva nei confronti di tutte le razze di Alagaësia e soprattutto verso la nostra, perché noi, grazie al gesto di Rothgar, avevamo dimostrato a lui e a Saphira tanta gentilezza. Grazie al genio del nostro re, l'ultimo Cavaliere libero di Alagaësia e la nostra unica speranza contro Galbatorix ha scelto spontaneamente di diventare un knurla in tutto e per tutto, tranne che nel sangue. Da allora Eragon ha rispettato tutte le nostre leggi e tradizioni come meglio poteva e ha cercato di apprendere ancora meglio la nostra cultura per poter onorare il vero significato del suo giuramento. Quando Rothgar morì, colpito dal traditore Murtagh, Eragon mi giurò su tutte le pietre di Alagaësia e in qualità di membro dell'Ingeitum che avrebbe fatto di tutto per vendicarne la morte. Mi ha tributato il rispetto e l'obbedienza che mi spettavano in qualità di grimstborith, e sono orgoglioso di considerarlo mio fratello adottivo.»

Eragon chinò il capo, le guance e la punta delle orecchie in fiamme. Avrebbe preferito che Orik non fosse stato così generoso nel tessere le sue lodi, perché d'ora in avanti avrebbe fatto più fatica a mantenere la propria posizione.

Facendo un ampio gesto con le braccia, come se volesse includere gli altri capiclan, Orik esclamò: «Tutto ciò che avremmo mai potuto desiderare in un Cavaliere dei Draghi l'abbiamo trovato in Eragon! Lui esiste davvero! Lui è forte! E ha abbracciato la causa del nostro popolo come nessun altro Cavaliere!» Poi abbassò le braccia e anche il volume della voce, finché Eragon dovette sforzarsi per sentirlo. «E noi come abbiamo risposto alla sua amicizia? Perlopiù con sarcasmo, offese e scontroso risentimento. Siamo una razza di ingrati, lasciatemelo dire, e purtroppo per noi abbiamo una memoria di ferro... C'è anche chi trabocca d'odio al punto da ricorrere alla violenza per placare la propria rabbia. Forse questi individui credono ancora di fare ciò che è meglio per il nostro popolo, ma in tal caso le loro menti sono ammuffite come un pezzo di formaggio dell'anno passato. Altrimenti perché avrebbero tentato di uccidere Eragon?»

I capiclan in ascolto rimasero perfettamente immobili, gli sguardi inchiodati sul viso di Orik. E così concentrati che il grimstborith più corpulento, Freowin, aveva messo da parte la scultura lignea del corvo e aveva intrecciato le mani sull'ampia pancia: sembrava in tutto e per tutto una delle statue dei nani.

Mentre i presenti lo fissavano senza battere ciglio, Orik disse loro dei sette nani vestiti di nero che avevano attaccato Eragon e le sue guardie mentre girovagavano nei cunicoli sotto Tronjheim. Poi raccontò del braccialetto di crini di cavallo intrecciato con perle di ametista che le guardie avevano trovato su uno dei cadaveri.

«Non penserai di incolpare il mio clan sulla base di prove così insignificanti!» esclamò Vermûnd, scattando in piedi. «Quelle carabattole si possono comprare in quasi tutti i mercatini del regno!»

«È vero» rispose Orik, chinando il capo verso di lui. Poi, con voce neutra e a ritmo sostenuto, procedette con il racconto che aveva già tratteggiato a Eragon la sera prima. Spiegò che i suoi sottoposti a Dalgon gli avevano confermato che gli strani pugnali scintillanti utilizzati dagli assassini erano stati forgiati dal fabbro Kiefna, e avevano scoperto che il nano che aveva acquistato le armi aveva fatto in modo che fossero trasportate da Dalgon in una delle città controllate dall'Az Sweldn rak Anhûin.

Borbottando un'imprecazione a fior di labbra, Vermûnd balzò di nuovo in piedi. «Quei pugnali potrebbero anche non aver mai raggiunto la nostra città, e comunque non puoi trarre le tue conclusioni basandoti solo su questo fatto! Entro quelle mura risiedono knurlan di molti clan, come qui alla Roccaforte di Bregan, per esempio. Non significa niente. Attento a quello che stai per dire, Grimstborith Orik, perché non hai niente a cui aggrapparti per lanciare accuse contro il mio clan.»

«Anch'io ero della tua stessa opinione, Grimstborith Vermûnd» disse Orik. «Così ieri sera, dopo aver chiesto ai miei stregoni di ricostruire a ritroso gli ultimi spostamenti degli assassini fino al punto di partenza, abbiamo catturato tre knurlan nascosti in un polveroso magazzino al dodicesimo livello di Tronjheim. Siamo penetrati nella mente di due di loro e abbiamo scoperto che avevano fornito agli assassini tutto l'equipaggiamento necessario per l'attacco. E infine» continuò, la voce sempre più roca e terribile «abbiamo appreso l'identità del loro padrone. Tu, Grimstborith Vermûnd! Io dichiaro che sei un assassino e uno spergiuro! Ti dichiaro nemico del Dûrgrimst Ingeitum e ti accuso di tradimento davanti alla tua gente, perché siete stati tu e il tuo clan a cercare di uccidere Eragon!»

Tutti i capiclan tranne Orik e Vermûnd presero a gridare, ad agitare le mani e a cercare in ogni modo possibile di monopolizzare la conversazione, e il raduno scivolò nel caos. Eragon si alzò e allentò la fibbia del fodero della spada presa in prestito, sfilandola di mezzo pollice per poter rispondere in fretta se Vermûnd o uno dei suoi nani avessero scelto quel momento per attaccare. Tuttavia Vermûnd non si mosse, e nemmeno Orik; si fissavano come lupi rivali, noncuranti del trambusto intorno a loro.

Alla fine, quando Gannel riuscì a ristabilire l'ordine, disse: «Grimstborith Vermûnd, sei in grado di confutare queste accuse?»

Con voce piatta e priva di emozione, il capoclan rispose: «Le respingo con ogni osso che ho in corpo e sfido chiunque a provarle con il benestare di un esperto nelle nostre leggi.»

Gannel si rivolse a Orik. «Presenta le tue prove, dunque, così che possiamo giudicare se sono valide oppure no. Ci sono cinque esperti qui riuniti oggi, se non mi sbaglio.» Fece un cenno verso la parete, e cinque nani dalla barba bianca si alzarono e si inchinarono. «Garantiranno che nel corso della nostra indagine non oltrepassiamo i confini della legge. Siamo tutti d'accordo?»

«Sì» rispose Ûndin.

«Sì» gli fecero eco Hadfala e gli altri capiclan, tranne Vermûnd.

Per prima cosa, Orik posò il braccialetto di ametista sul tavolo. Ogni capoclan lo fece esaminare dai suoi stregoni, ma convennero tutti che non si trattava di una prova schiacciante.

Poi fece portare da un aiutante uno specchio montato su un treppiede di bronzo. Uno dei maghi del suo seguito pronunciò un incantesimo e sulla superficie lucida dello specchio apparve l'immagine di una stanzetta piena di libri. Trascorse un istante e poi videro entrare di corsa un nano che si inchinò verso i capiclan. Senza fiato, disse di chiamarsi Rimmar, e dopo aver prestato giuramento nell'antica lingua a garanzia della propria onestà raccontò al raduno che lui e i suoi assistenti avevano scoperto cose interessanti sui pugnali degli assassini di Eragon.

Quando i capiclan ebbero finito di interrogare Rimmar, Orik chiese ai suoi guerrieri di portare i tre nani catturati dall'Ingeitum. Gannel ordinò loro di prestare giuramento nell'antica lingua, ma loro lo maledissero, sputarono per terra e si rifiutarono. Poi i maghi di tutti i clan unirono i loro pensieri, invasero le menti dei prigionieri e carpirono loro le informazioni desiderate. Senza eccezioni, confermarono la versione di Orik.

Infine Orik chiamò a testimoniare Eragon. Il giovane si sentiva nervoso mentre avanzava verso il tavolo sotto lo sguardo dei tredici capiclan incupiti. Fissò una piccola spirale di colore su un pilastro di marmo davanti a sé e cercò di reprimere il disagio. Ripeté il giuramento così come lo pronunciò uno dei maghi e poi, limitandosi allo stretto necessario, raccontò dell'attacco. Infine rispose alle inevitabili domande dei nani e permise a due maghi, scelti a caso da Gannel tra i presenti, di esaminare i ricordi che serbava dell'evento. Via via che abbassava le barriere attorno alla sua mente, Eragon notò che cresceva l'apprensione dei due maghi, e lo trovò confortante. Bene, pensò. Se hanno paura di me, sarà meno probabile che ficchino il naso dove non dovrebbero.

Con suo grande sollievo, l'ispezione procedette senza incidenti e i maghi confermarono la sostanza del suo racconto ai capiclan.

Gannel si alzò e si rivolse agli esperti di legge: «Siete soddisfatti delle prove che Grimstborith Orik ed Eragon Ammazzaspettri vi hanno portato?»

I cinque nani dalla barba bianca si inchinarono e quello al centro rispose: «Sì, Grimstborith Gannel.»

Gannel grugnì; non sembrava molto sorpreso. «Grimstborith Vermûnd, sei responsabile della morte di Kvîstor, figlio di Bauden. Per di più hai tentato di uccidere un ospite, gettando la vergogna sull'intera razza. Che cos'hai da dire a riguardo?»

Il capoclan dell'Az Sweldn rak Anhûin premette le mani sul tavolo, le vene in rilievo sotto la pelle abbronzata. «Se questo Cavaliere dei Draghi è un knurla in tutto e per tutto tranne che nel sangue, allora non è un ospite, e dunque possiamo trattarlo come se fosse un qualunque nemico di un clan diverso.»

«Oh, ma è assurdo!» esclamò Orik, quasi sputacchiando tanto era infuriato. «Non puoi sostenere che Era...»

«Per cortesia, Orik, tieni a freno la lingua» intervenne Gannel. «Gridare non servirà a chiarire questo punto. Orik, Nado, Íorûnn, venite con me.»

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