Volodyk - Paolini3-Brisingr

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Carn esitò. «Per quanto tempo?»

«Un minuto? Un'ora? Chi può saperlo.»

«Proteggere così tanta gente insieme da un tale numero di dardi esaurirebbe in poco tempo tutta la mia forza... però, se per te fa lo stesso, posso deviare ogni singolo dardo e...»

«Perfetto.»

«Chi vuoi che protegga?»

Roran indicò gli uomini che aveva scelto e Carn chiese a ciascuno il nome. Poi, con le spalle curve, cominciò a borbottare nell'antica lingua, il volto pallido e tirato. Per tre volte cercò di evocare l'incantesimo e per tre volte fallì. «Mi dispiace» sospirò avvilito. «Non riesco a concentrarmi.»

«Maledizione, non ti scusare» ringhiò Roran. «Fallo e basta!» Saltando giù da Fiammabianca, afferrò con le mani la testa di Carn tenendola ferma. «Guardami! Guardami dritto negli occhi. Ecco, continua a fissarmi... Bene. Adesso evoca questo dannato incantesimo!»

I lineamenti del mago si spianarono, le spalle si sciolsero; poi, con voce sicura, Carn formulò l'incantesimo. Non appena ebbe pronunciato l'ultima parola, si abbandonò alla stretta di Roran, poi si riebbe. «Fatto» disse.

Roran gli diede una pacca sulla spalla e tornò in groppa a Fiammabianca. Facendo scorrere lo sguardo sui dieci cavalieri, disse: «Guardatemi i fianchi e le spalle, ma tenetevi abbastanza lontani da permettermi di manovrare il martello.»

«Signorsì!»

«Ricordatevi che i dardi non possono farvi niente, adesso. Carn, tu resta qui. Risparmia le forze. Se ti accorgi di non riuscire più a mantenere l'incantesimo, avvertici prima di troncarlo. D'accordo?»

Carn sedette sul gradino della casa e annuì. «D'accordo.»

Stringendo con più forza scudo e martello, Roran trasse un profondo respiro nel tentativo di calmarsi. «Pronti» disse, e fece schioccare la lingua per incitare Fiammabianca.

Con i dieci cavalieri al seguito, Roran uscì allo scoperto in mezzo alla strada polverosa per affrontare ancora una volta i soldati. Al centro del villaggio restavano all'incirca cinquecento soldati di Galbatorix, per gran parte inginocchiati dietro gli scudi e impegnati a ricaricare le balestre. Di tanto in tanto, un soldato si alzava e scagliava un dardo contro uno degli arcieri sui tetti prima di rituffarsi dietro lo scudo, mentre una pioggia di frecce fendeva l'aria nel punto in cui si era alzato. Nello spiazzo disseminato di cadaveri, fasci di frecce costellavano il terreno come giunchi che emergono da una palude di sangue. A diverse centinaia di piedi di distanza, dall'altro lato dei soldati, Roran scorse un groviglio di corpi che si agitavano furiosamente, e dedusse che era lì che Sand, Edric e gli altri superstiti stavano combattendo. Se la giovane donna e il ragazzino si trovavano ancora nello spiazzo, non riusciva a vederli.

Un dardo sfrecciò ronzando verso Roran. Quando era a meno di una iarda dal suo petto, deviò bruscamente e mancò' sia lui che i suoi uomini. Roran ebbe un brivido, ma il dardo ormai era passato. La gola gli si serrò e il cuore cominciò a battergli all'impazzata.

Guardandosi intorno, vide un carro rotto addossato a un muro. Lo indicò e ordinò: «Portatelo qui e capovolgetelo. Cercate di bloccare la strada.» Agli arcieri urlò: «Non lasciate che i soldati ci attacchino ai lati! Quando ci vengono addosso, sfoltite i loro ranghi più che potete, e non appena finite le frecce, raggiungeteci.»

«Signorsì!»

«Attenti a non colpirci per sbaglio, o giuro che verrò a infestare le vostre case per l'eternità!»

«Signorsì!»

Altri dardi sfrecciarono lungo la strada, diretti contro Roran e i suoi uomini, ma ogni volta furono intercettati dall'incantesimo di Carn e deviarono conficcandosi in un muro, nel terreno o schizzando verso il cielo.

Roran osservò i suoi uomini trascinare il carro al centro della strada. Poco prima che finissero di sistemarlo, alzò la testa, si riempì i polmoni e ruggì ai soldati con quanto fiato aveva in gola: «Voi laggiù, dico a voi, bastardi rognosi! Guardate come solo undici di noi vi sbarrano il passo. Superateci e conquisterete la libertà. Fatevi sotto, se ne avete il coraggio. Cosa? Esitate? Dov'è la vostra virilità, vermi schifosi, sacchi di bile, porci assassini? I vostri padri erano mentecatti bavosi che avrebbero dovuto essere annegati alla nascita! Già, e le vostre madri erano sgualdrine vaiolose che si accoppiavano con gli Urgali!» Roran sorrise soddisfatto quando i soldati ulularono offesi e cominciarono a loro volta a insultarlo. Tuttavia uno dei soldati parve perdere la voglia di combattere, perché scattò in piedi e si slanciò verso nord, riparandosi con lo scudo e correndo a zigzag nel disperato tentativo di evitare gli arcieri. Malgrado i suoi sforzi, i Varden lo uccisero prima che avesse percorso più di un centinaio di piedi. «Ah!» esclamò Roran. «Non c'è uno fra di voi che non sia un vigliacco, luridi topi di fogna! Se serve a darvi un po' di nerbo, allora sappiate che il mio nome è Roran Fortemartello, ed Eragon Ammazzaspettri è mio cugino! Uccidetemi, e quel pazzo infame che avete per re vi ricompenserà con un contado, o anche di più. Ma dovrete uccidermi con una lama, perché con me le vostre balestre sono inutili. Fatevi sotto lumaconi, sanguisughe, viscidi parassiti morti di fame! Fatevi sotto e provate a sconfiggermi, se ne siete capaci!»

Lanciando un feroce grido di battaglia, una trentina di soldati lasciarono cadere le balestre, sguainarono le spade scintillanti e con gli scudi levati corsero incontro a Roran e ai suoi uomini.

Alla sua destra, Roran sentì Harald dire: «Signore, sono molti più di noi.»

«Già» rispose Roran, gli occhi fissi sui soldati che si avvicinavano. Quattro di loro barcollarono e stramazzarono a terra, senza più muoversi, trafitti da numerose frecce.

«Se ci caricano tutti insieme non ce la faremo.»

«Sì, ma non lo faranno. Guarda: sono confusi e disorganizzati. Il loro comandante deve essere morto. Finché manteniamo l'ordine, non riusciranno a sopraffarci.»

«Ma Fortemartello, non possiamo uccidere così tanti uomini da soli!» protestò Harald.

Roran lo fulminò con un'occhiata. «Certo che possiamo! Noi combattiamo per proteggere le nostre famiglie e per riprenderci le nostre case e le nostre terre. Loro combattono perché Galbatorix li costringe a farlo. Non ci mettono il cuore, in questa battaglia. Perciò pensate alle vostre famiglie, pensate alle vostre case, e ricordate che è questo che state difendendo. Un uomo che combatte per qualcosa di più importante di lui è capace di uccidere cento nemici senza alcuna difficoltà!» Con lo sguardo della mente Roran rivide Katrina nel suo azzurro abito nuziale, sentì il profumo della sua pelle, udì i toni smorzati della sua voce mentre parlavano a tarda notte.

Katrina.

Poi i soldati gli furono addosso, e per un po' Roran non sentì altro che il clangore delle spade che cozzavano sul suo scudo, i tonfi del suo martello che si abbatteva sugli elmi e le urla dei soldati che crollavano sotto i suoi colpi. I soldati gli si scagliavano contro guidati dalla forza della disperazione, ma non potevano competere con lui e i suoi uomini. Quando ebbe ucciso l'ultimo degli aggressori, Roran scoppiò a ridere euforico. Che gioia, aver sbaragliato coloro che avrebbero potuto fare del male a sua moglie e a suo figlio non ancora nato!

Fu contento di vedere che nessuno dei suoi guerrieri era rimasto ferito in modo grave. Si accorse anche che durante lo scontro diversi arcieri erano scesi dai tetti per combattere a cavallo con loro. Roran sorrise e disse: «Benvenuti sul campo di battaglia!»

«Davvero un caloroso benvenuto!» rispose uno degli arcieri.

Indicando con il martello sporco di sangue il lato della strada, Roran disse: «Tu, tu, e tu, ammassate i corpi laggiù. Usateli insieme al carro per formare una barricata, in modo che solo due o tre soldati alla volta possano venirci addosso.»

«Signorsì!» risposero i guerrieri, smontando di sella.

Un dardo sibilò verso Roran. Lui lo ignorò e si concentrò sul gruppo principale dei nemici, dove un centinaio di soldati si stavano preparando per un secondo assalto. «Svelti!» urlò agli uomini che trascinavano i cadaveri. «Ci sono quasi addosso. Harald, vai ad aiutarli!»

Roran si inumidì le labbra, guardando nervoso i suoi uomini all'opera mentre i soldati avanzavano. Con suo grande sollievo, i quattro Varden sistemarono l'ultimo cadavere e balzarono in groppa ai loro destrieri molto prima che l'ondata di soldati li travolgesse.

Il carro capovolto e la raccapricciante barriera di resti umani, che sbarravano quasi completamente la strada, rallentarono e compressero il flusso di soldati tanto che quando raggiunsero Roran riuscivano ad avanzare a malapena. I soldati erano così ammassati che non riuscirono a sfuggire alle frecce scoccate dai tetti.

Le prime due file di soldati erano armate di lance, con cui minacciavano Roran e gli altri Varden. Roran parò tre diversi affondi, imprecando fra i denti quando si rese conto che le lance gli impedivano di avvicinarsi abbastanza ai nemici per colpirli con il martello. Poi un soldato trafisse una spalla di Fiammabianca, e Roran si chinò in avanti per evitare di essere disarcionato, mentre lo stallone nitriva e s'impennava.

Quando Fiammabianca toccò di nuovo il terreno con gli anteriori, Roran scivolò giù dalla sella tenendo lo stallone fra sé e la selva di lance. Fiammabianca s'impennò quando una seconda lancia lo colpì al fianco. Prima che i soldati potessero ferirlo ancora, Roran tirò le redini costringendolo a indietreggiare, finché non ci fu abbastanza spazio fra gli altri cavalli per farlo girare. «Yah!» gridò, e gli diede una pacca sulla groppa per farlo allontanare dal villaggio.

«Fate largo!» urlò Roran ai Varden. I guerrieri gli aprirono un varco fra i destrieri e lui balzò di nuovo in prima linea, infilando il martello nella cintura mentre correva.

Un soldato cercò di colpirlo al petto con la lancia. Roran la bloccò con il polso, e anche se si ferì con il duro legno dell'asta riuscì a strapparla dalle mani del soldato. L'uomo cadde a faccia avanti. Con una torsione del braccio, Roran lo trafisse con la sua stessa arma, poi si avventò contro altri due soldati e li uccise. Si fermò a gambe divaricate, piantando i piedi nel terreno fertile che un tempo avrebbe cercato di coltivare, e agitò la lancia contro i nemici, urlando: «Avanti, bastardi farabutti! Provate a uccidermi se ci riuscite! Io sono Roran Fortemartello e non temo nessun uomo vivo!»

I soldati arrancarono nella strettoia; tre di loro salirono sui corpi dei loro compagni caduti in duello con Roran. Scartando di lato, Roran conficcò la lancia nella mascella del soldato all'estrema destra, frantumandogli i denti. Ritirò la lancia, tracciando un arco di sangue nell'aria, e poi s'inginocchiò di colpo per trafiggere il soldato al centro dell'ascella.

Poi sentì qualcosa colpirlo alla spalla sinistra. Lo scudo si fece più pesante. Rialzandosi, vide una lancia conficcata nelle assi di legno di quercia, mentre il terzo soldato gli si avventava contro con la spada sguainata. Roran sollevò la lancia sopra la testa, come se volesse scagliarla, poi, quando il soldato esitò, gli sferrò un calcio in mezzo alle gambe. Gli bastò un solo colpo per sbarazzarsi di lui. Nel breve intervallo che seguì, Roran si liberò dello scudo ormai inutile e lo scaraventò fra i piedi dei nemici con la lancia ancora conficcata, con l'intenzione di farli inciampare.

Altri soldati si fecero avanti sulle gambe malferme, intimoriti dal ghigno ferale di Roran e dalla sua lancia. La collinetta di cadaveri davanti a lui crebbe; quando gli arrivò alla cintola, Roran balzò in cima alla catasta insanguinata, dove sfruttò il vantaggio dell'altezza malgrado l'appoggio instabile. Dato che i soldati dovevano scalare una montagna di corpi per raggiungerlo, Roran riuscì a ucciderne molti altri che inciampavano in un braccio, o in una gamba, o affondavano il piede nel collo morbido di uno di quelli che li avevano preceduti, o scivolavano su uno scudo.

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