Volodyk - Paolini3-Brisingr
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Grazie alla posizione elevata, Roran riuscì a vedere che il resto dei soldati aveva deciso di unirsi all'assalto, eccetto una ventina che continuava a combattere dall'altra parte del villaggio con i guerrieri di Sand ed Edric. E capì che non avrebbe più avuto tregua se non a battaglia conclusa.
Nel corso della giornata, Roran riportò decine di ferite. La maggior parte era di poco conto - un taglio all'interno dell'avambraccio, un dito rotto, un graffio sul costato dove una spada gli aveva lacerato la cotta di maglia - ma alcune erano piuttosto gravi. Un soldato caduto sulla pila di cadaveri gli trafisse il polpaccio destro, azzoppandolo. Subito dopo, un omone che puzzava di cipolle e formaggio gli cadde addosso e, con una zaffata di alito pestilenziale, gli conficcò il dardo di una balestra nella spalla sinistra, impedendogli da quel momento in poi di sollevare il braccio sopra la testa. Roran lasciò il dardo dov'era, sapendo che se lo avesse estratto sarebbe morto dissanguato. Il dolore divenne la sensazione predominante: ogni movimento gli procurava nuove fitte, ma fermarsi significava morire, perciò continuò a infliggere i suoi colpi mortali, incurante delle ferite e della stanchezza.
In certi momenti, avvertiva la presenza dei Varden alle spalle o al fianco, come quando lo sorvolava una lancia scagliata da dietro o la lama di una spada compariva di lato per trapassare un soldato sul punto di colpirlo, ma perlopiù affrontava i soldati da solo, perché lo spazio di manovra consentito dalla pila di corpi, dai muri delle case e dal carro rovesciato era esiguo. Gli arcieri sui tetti che ancora avevano frecce a disposizione continuavano la loro mortifera opera di sbarramento; le aste dall'impennaggio d'oca selvatica trapassavano ossa e tendini senza distinzione.
Più avanti nel corso della battaglia, Roran affondò la lancia contro un soldato, ma quando la punta colpì l'armatura dell'uomo, l'asta si spezzò in due per il lungo. L'uomo parve meravigliarsi di essere ancora vivo, perché aspettò un istante prima di rispondere con la spada. Quell'istante di esitazione permise a Roran di abbassarsi sotto la spada d'acciaio e di afferrare un'altra lancia, con cui uccise il soldato. Con un misto di sgomento e disgusto, Roran si vide spezzare fra le mani anche la seconda lancia. Scagliando i resti contro i soldati, Roran sfilò lo scudo a uno dei cadaveri ed estrasse il martello dalla cintura. Il suo martello almeno non lo aveva mai tradito.
La stanchezza si dimostrò la sua più formidabile avversaria, mentre gli ultimi soldati si avvicinavano alla spicciolata e ciascuno aspettava il proprio turno per sfidarlo. Roran si sentiva le membra pesanti e intorpidite, aveva la vista offuscata e respirava con difficoltà; malgrado ciò, riusciva sempre a trovare l'energia per sconfiggere l'avversario successivo. Via via che i suoi riflessi rallentavano, i soldati gli inflissero parecchie ferite con affondi che prima avrebbe evitato con agio.
Quando fra i soldati cominciarono ad aprirsi dei varchi e Roran riuscì a vedere di nuovo al di là, si rese conto che quel terribile cimento stava per concludersi. Non offrì agli ultimi dodici uomini alcuna pietà, né quelli gliela chiesero, anche se non potevano sperare di sconfiggere Roran e i Varden alle sue spalle. Non tentarono nemmeno di fuggire. Gli corsero incontro ringhiando, imprecando, con l'unico desiderio di uccidere l'uomo che aveva massacrato tanti compagni prima di loro.
In un certo senso Roran ne ammirava il coraggio.
Quattro uomini stramazzarono al suolo, il petto trafitto dalle frecce. Una lancia scagliata da qualcuno alle spalle di Roran trapassò un quinto soldato sotto la clavicola, e anche lui si accasciò sul mucchio di cadaveri. Altre due lance reclamarono le loro vittime, poi il resto dei soldati raggiunse Roran. Il soldato in testa gli si avventò contro con un'ascia dentata. Pur sentendo la punta del dardo graffiargli l'osso, Roran sollevò il braccio e bloccò l'ascia con lo scudo. Spinto dal dolore e dalla rabbia, come anche dal desiderio che la battaglia finisse al più presto, fece mulinare il martello e uccise il soldato con una mazzata alla testa. Senza fermarsi, balzò in avanti dandosi lo slancio con la gamba intatta e colpì il secondo soldato due volte al torace prima che quello riuscisse a difendersi, incrinandogli le costole. Il terzo parò due assalti, ma Roran lo ingannò con una finta e lo uccise. Gli ultimi due soldati lo strinsero da entrambi i lati, cercando di colpirlo alle caviglie mentre si arrampicavano sulla montagna di cadaveri. Ormai allo stremo, Roran duellò con tutti e due per alcuni logoranti, interminabili attimi, finché non uccise il primo sfondandogli l'elmo e l'altro spezzandogli il collo con un colpo ben assestato.
Poi vacillò e svenne.
Si sentì sollevare di peso e aprì gli occhi. Vide Harald che gli avvicinava una borraccia alle labbra. «Bevi» gli disse Harald. «Ti sentirai meglio.»
Ancora ansante, Roran bevve qualche sorso fra un rantolo e l'altro. Il vino scaldato dal sole gli bruciò la gola riarsa. Quando sentì che le gambe lo avrebbero retto di nuovo, disse: «Sto bene, puoi lasciarmi, adesso.»
Si appoggiò al martello e contemplò il campo di battaglia. Con soddisfazione notò quanto era cresciuta la collina di cadaveri: lui e i suoi compagni si trovavano a circa venti piedi dal suolo, quasi all'altezza del tetto delle case lì intorno. La maggior parte dei soldati erano stati uccisi dalle frecce, ma Roran sapeva di aver contribuito non poco a sfoltire i ranghi nemici.
«Qua... quanti?» chiese a Harald.
Il guerriero imbrattato di sangue scosse il capo. «Ho perso il conto a trentadue. Forse te lo può dire qualcun altro. Quello che hai fatto, Fortemartello... non ho mai visto compiere un'impresa simile, non da parte di un essere dotato di normali capacità umane. La dragonessa Saphira ha scelto bene: gli uomini della tua famiglia sanno combattere come nessun altro. Il tuo valore non ha pari fra gli umani, Fortemartello. Quale che sia il numero preciso di soldati che hai ucciso oggi, io...»
«Centonovantatré!» gridò Carn, arrampicandosi sui cadaveri.
«Sei sicuro?» chiese Roran, incredulo.
Carn annuì mentre li raggiungeva. «Sissignore! Io sì che ho tenuto il conto. Centonovantatré... centonovantaquattro se consideri il soldato che hai ferito al ventre prima che gli arcieri lo finissero.»
Roran rimase sbalordito davanti a quella cifra. Non avrebbe mai sospettato che fosse così esorbitante. Gli sfuggì una risatina rauca. «Peccato che non ce ne fossero altri. Altri sette, e sarei arrivato a duecento.»
Anche gli altri si misero a ridere.
Con il volto minuto adombrato di preoccupazione, Carn tese una mano verso il dardo conficcato nella spalla sinistra di Roran, dicendo: «Su, lascia che mi occupi delle tue ferite.»
«No!» esclamò Roran, e lo respinse. «Potrebbero esserci altri feriti più gravi. Pensa prima a loro.»
«Roran, molte di quelle ferite potrebbero rivelarsi fatali se non arresto l'emorragia. Non mi ci vorrà che...»
«Sto bene» grugnì Roran. «Lasciami in pace.»
«Roran, guarda le tue ferite!»
Roran ubbidì e subito distolse lo sguardo. «Allora sbrigati.» Fissò il cielo limpido, con la mente sgombra, mentre Carn gli estraeva il dardo dalla spalla e mormorava una serie di incantesimi. Dove arrivava la magia, Roran si sentiva prudere e formicolare la pelle, una sensazione seguita da un immediato sollievo. Quando Carn ebbe finito, Roran era ancora tutto indolenzito, ma non soffriva più tanto e la sua mente era di nuovo lucida. L'opera di guarigione lasciò Carn pallido e tremante. Lo stregone si piegò sulle ginocchia finché i tremori non cessarono. «Vado...» S'interruppe per prendere fiato. «Vado ad aiutare gli altri feriti.» Si rialzò e scese dall'orrido cumulo, barcollando come ubriaco.
Roran lo seguì con lo sguardo, preoccupato. All'improvviso si chiese che fine avesse fatto il resto della spedizione. Scrutò in fondo al villaggio e non vide altro che corpi riversi, alcuni vestiti del rosso dell'Impero, altri della lana bruna dei Varden. «Che ne è stato di Edric e Sand?» chiese a Harald.
«Mi dispiace, Fortemartello, non vedevo nulla oltre la punta della mia spada.»
Rivolto ai pochi uomini che ancora restavano sui tetti delle case, Roran gridò: «Che ne è stato di Edric e Sand?»
«Non lo sappiamo, Fortemartello!» risposero.
Appoggiandosi al martello per tenersi in equilibrio, Roran scese piano piano dal cumulo di cadaveri. Lui, Harald e altri tre uomini attraversarono lo spiazzo al centro del villaggio, dando il colpo di grazia a ogni soldato che trovavano ancora in vita. Quando arrivarono in fondo allo spiazzo, dove il numero dei Varden caduti superava quello dei soldati, Harald batté la spada sullo scudo e gridò: «C'è qualcuno ancora vivo?»
Dopo un istante, una voce rispose fra le case: «Fatevi riconoscere!»
«Harald e Roran Fortemartello, e altri Varden. Se sei un soldato imperiale, arrenditi, perché i tuoi compagni sono morti e non puoi fare più niente.»
Da dietro le case provennero i tonfi metallici delle armi gettate a terra; poi, uno o due alla volta, alcuni guerrieri Varden emersero dai nascondigli e arrancarono verso lo spiazzo, molti reggendo un compagno ferito. Avevano l'aria frastornata, e alcuni erano così coperti di sangue che lì per lì Roran li scambiò per prigionieri. Contò ventiquattro uomini. Nell'ultimo gruppetto di superstiti c'era Edric, intento ad aiutare un uomo che aveva perduto il braccio destro nella battaglia.
Roran fece un cenno, e due dei suoi uomini si affrettarono a sollevare Edric dal quel peso. Il capitano raddrizzò le spalle e lentamente si avvicinò a Roran, guardandolo dritto negli occhi, con un'espressione indecifrabile. Né lui né Roran si mossero. Roran si accorse che sullo spiazzo era calato un silenzio innaturale.
Edric fu il primo a parlare. «Quanti dei tuoi uomini sono sopravvissuti?»
«La maggior parte. Non tutti, ma la maggior parte.»
Edric annuì. «E Carn?»
«È vivo... E Sand?»
«Un soldato lo ha colpito durante la carica. È spirato pochi minuti fa.» Lo sguardo di Edric oltrepassò Roran, fermandosi sull'ammasso di corpi. «Hai disobbedito ai miei ordini, Fortemartello.»
«Sì.»
Edric tese un braccio verso di lui, la mano aperta.
«Capitano, no!» esclamò Harald, facendo un passo avanti. «Se non fosse stato per Roran, nessuno di noi sarebbe qui. E avresti dovuto vedere che cos'ha fatto. Ha ucciso quasi duecento uomini da solo!»
La protesta di Harald non suscitò alcuna reazione in Edric, che continuò a tenere la mano tesa. Anche Roran rimase impassibile.
Allora Harald si rivolse a lui. «Roran, sai che gli uomini sono con te. Una sola parola, e noi...»
Roran lo fulminò con lo sguardo. «Non dire idiozie.»
«Almeno ti è rimasto un po' di buonsenso» disse Edric a denti stretti. «Harald, tu sta' zitto, se non vuoi guidare i muli con le vettovaglie per tutta la strada del ritorno.»
Roran sollevò il martello e lo porse a Edric. Poi si slacciò la cintura, da dove pendevano la spada e il pugnale, e consegnò a Edric anche quella. «Non ho altre armi» dichiarò.
Edric annuì, scuro in volto, poi si gettò il cinturone su una spalla. «Roran Fortemartello, con questo ti sollevo dal comando. Ho la tua parola d'onore che non cercherai di fuggire?»
«Sì.»
«Allora ti renderai utile dove ci sarà bisogno di te, ma per il resto considerati un prigioniero.» Edric si guardò intorno e indicò un altro guerriero. «Fuller, assumerai tu l'incarico di Roran fino a quando non ci congiungeremo con il resto dei Varden e Nasuada deciderà sul da farsi.»
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