Volodyk - Paolini3-Brisingr
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«Cinque a quattro» mormorò Eragon a Orik quando il nano tornò a sedersi. «E non a nostro favore.»
Orik grugnì. «So contare, Eragon.»
Eragon appoggiò i gomiti sulle ginocchia, gli occhi che correvano da un nano all'altro. La smania di agire lo divorava come un tarlo. Non sapeva che fare, ma con una posta in gioco così alta, avvertiva l'urgenza di trovare un modo per garantire a Orik la vittoria, e di conseguenza assicurare ai Varden l'aiuto dei nani nella lotta contro l'Impero. Malgrado i suoi sforzi, però, non riuscì a pensare a niente di meglio che starsene seduto ad aspettare.
Poi toccò a Havard del Dûrgrimst Fanghur. Il mento sul petto, Havard spinse in fuori le labbra, tamburellando sul tavolo con le due dita che gli restavano nella mano destra, con aria pensierosa. Eragon si protese appena di un soffio dalla sedia, col cuore che gli batteva. Rispetterà il patto con Orik? si domandò.
Havard tamburellò sul tavolo ancora una volta, poi lo colpì con il palmo della mano e, alzando il mento, disse: «A nome del mio clan, io voto Grimstborith Orik come nostro nuovo re.»
Per Eragon fu una grande soddisfazione vedere Nado sgranare gli occhi e digrignare i denti, un muscolo della guancia contratto in uno spasmo involontario. «Ha!» mormorò Orik. «Questo sì che gli ha fatto annodare la barba!»
Gli unici due capi clan che dovevano ancora votare erano Reidamar e Íorûnn. Reidamar, il massiccio, muscoloso grimstborith degli Urzhad, sembrava a disagio, mentre Íorûnn - la nana a capo del Dûrgrimst Vrenshrrgn, i Lupi da Guerra - si accarezzò la cicatrice a mezzaluna sullo zigomo sinistro con la punta di un'unghia affilata e sorrise, sorniona come una gatta.
Eragon trattenne il fiato mentre aspettava di sentire che cosa avrebbero detto. Se Íorûnn vota per sé, pensò, e se Reidamar le resta fedele, allora si andrà a un secondo turno di elezioni. Però non c'è motivo che lo faccia, se non per ritardare gli eventi, e a quanto ne so non ne trarrebbe alcun vantaggio. A questo punto non ha alcuna speranza di diventare regina; il suo nome verrebbe scartato prima dell'inizio del secondo turno, e dubito che sarebbe tanto sciocca da sprecare il potere che possiede in questo momento soltanto per vantarsi con i nipoti di essere stata candidata al trono. Ma se anche Reidamar votasse di testa sua, si andrebbe al secondo turno... Ah! Se solo potessi divinare il futuro! E se Orik perde? In quel caso dovrei forse prendere il controllo del raduno? Potrei sigillare la sala affinché nessuno possa entrare né uscire, e allora... Ma no, sarebbe... Íorûnn interruppe il corso dei suoi pensieri facendo un cenno a Reidamar per poi fissare il suo sguardo su Eragon, che si sentì sotto esame come un bove da competizione. Reidamar si alzò, con un tintinnio metallico della cotta di maglia, e disse: «A nome del mio clan, io voto Grimstborith Orik come nostro nuovo re.»
Eragon sentì un groppo in gola.
Le labbra rosse arricciate in una smorfia divertita, Íorûnn si alzò dalla sedia con un movimento sinuoso e a voce bassa e roca disse: «A quanto pare, toccherà a me decidere l'esito dell'incontro odierno. Ho ascoltato con molta attenzione le tue argomentazioni, Nado, e anche le tue, Orik. Anche se condivido la maggior parte degli argomenti espressi da entrambi, il problema principale resta decidere se vogliamo impegnarci nella battaglia dei Varden contro l'Impero. Se la loro fosse soltanto una guerra fra due clan rivali, non m'importerebbe chi vince o chi perde, e di certo non metterei a repentaglio la vita dei nostri guerrieri per il bene degli stranieri. Ma non è così. Anzi, le cose sono molto diverse. Se Galbatorix esce trionfante da questa guerra, nemmeno i Monti Beor ci proteggeranno dalla sua collera. Se il nostro regno vuole sopravvivere, dobbiamo vedere la sconfitta di Galbatorix. E mi sembra indecente che una razza antica e potente come la nostra resti nascosta nelle sue grotte e gallerie mentre altri decidono il destino di Alagaësia. Quando saranno scritte le cronache di questa era, si dirà che abbiamo combattuto a fianco degli umani e degli elfi, come gli eroi di un tempo, o che ci siamo rintanati nelle nostre case al pari di contadini spauriti mentre la battaglia infuriava fuori delle nostre porte? Per conto mio, conosco la risposta.» Íorûnn gettò indietro i capelli e disse: «A nome del mio clan, voto Grimstborith Orik come nostro nuove re!»
Il più anziano dei cinque magistrati disposti lungo la parete circolare si fece avanti e, battendo il bastone levigato sul pavimento di pietra, proclamò: «Salutiamo tutti re Orik, quarantatreesimo re di Tronjheim, del Farthen Dûr, e di ogni knurla sopra e sotto i Monti Beor!»
«Evviva re Orik!» ruggirono i presenti. I capiclan si alzarono dal tavolo in un sonoro fruscio di vesti e clangore di armature. Inebetito, Eragon imitò gli altri, conscio di trovarsi al cospetto di un re. Scoccò un'occhiata a Nado, ma il volto del nano era una maschera impenetrabile.
Il magistrato dalla barba bianca batté di nuovo il bastone sul pavimento. «Che gli scribi annotino subito la decisione presa in questo raduno, e che la notizia raggiunga ogni angolo del regno. Araldi! Informate i maghi con i loro specchi divinatori di quanto è accaduto qui oggi e poi andate dai guardiani della montagna e dite loro: "Quattro colpi di tamburo. Quattro colpi, e fate roteare le mazze come mai prima d'ora, perché abbiamo un nuovo re. Quattro colpi di una tale forza che tutto il Farthen Dûr dovrà riecheggiare della notizia." Dite loro così, questo è il mio incarico per voi. Andate!»
Dopo che gli araldi si furono allontanati, Orik si alzò e rimase in piedi a guardare i nani che lo circondavano. A Eragon parve in qualche modo stupito, come se non si fosse davvero aspettato di vincere la votazione. «Per questa grande responsabilità» disse «vi ringrazio.» Fece una pausa, poi riprese. «Il mio unico pensiero sarà il progresso della nostra nazione, e perseguirò questo scopo senza esitare, fino al giorno che tornerò alla pietra.»
I capiclan si fecero avanti, uno alla volta, e s'inginocchiarono davanti a Orik per giurargli lealtà come sudditi fedeli. Quando venne il turno di Nado, il nano non lasciò trapelare alcuna emozione, ma recitò le frasi del giuramento senza inflessioni, le parole che gli cadevano dalla bocca come barre di piombo. Quando ebbe finito, un palpabile senso di sollievo si sparse fra i membri dell'assemblea.
Conclusi i giuramenti, Orik decretò che la sua incoronazione avrebbe avuto luogo il mattino dopo, e poi lui e il suo seguito si ritirarono in una stanza adiacente. Una volta lì, Eragon guardò Orik, e Orik guardò Eragon, ma nessuno dei due aprì bocca finché un ampio sorriso non comparve sul viso di Orik, che scoppiò a ridere, con le guance rosse. Ridendo con lui, Eragon lo tirò per la manica e lo abbracciò forte. Le guardie e i consiglieri di Orik gli si strinsero intorno, dandogli pacche sulle spalle ed esprimendo sincere congratulazioni.
Eragon lo lasciò andare dicendo: «Non pensavo che Íorûnn ci avrebbe appoggiati.»
«Già. Sono felice che l'abbia fatto, ma questo complica le cose.» Orik fece una smorfia. «Immagino che dovrò ricompensarla, almeno dandole un posto nel mio consiglio.»
«Sarà un'ottima scelta!» esclamò Eragon ad alta voce per superare il frastuono. «Se i Vrenshrrgn sono all'altezza del loro nome, ci saranno molto utili sulla strada che ci porterà alle porte di Urû'baen.»
Orik stava per rispondere, ma poi una nota bassa d'inaudita potenza riverberò dal pavimento al soffitto della sala, facendo tremare le ossa di Eragon. «Ascoltate!» gridò Orik alzando una mano. Il gruppo tacque.
La bassa nota risuonò quattro volte, e ogni volta scosse la stanza come se un gigante stesse battendo il pugno contro le mura di Tronjheim. Alla fine Orik disse: «Non avrei mai creduto di poter sentire i Tamburi di Derva annunciare la mia investitura.»
«Quanto sono grandi i tamburi?» chiese Eragon, ammirato.
«Circa cinquanta piedi, se la memoria non m'inganna.»
Eragon pensò che i nani, pur essendo la razza più piccola di Alagaësia, curiosamente costruivano le strutture più grandi. Forse, rifletté, realizzare cose enormi li fa sentire meno piccoli. Era sul punto di esporre la propria teoria a Orik, ma all'ultimo istante si trattenne per timore di offenderlo.
Gli assistenti di Orik si assieparono attorno a lui e cominciarono a consultarsi nella lingua dei nani, le voci concitate che si sovrapponevano. Eragon, che stava per rivolgere un'altra domanda a Orik, si trovò relegato in un angolo. Aspettò paziente una pausa nella conversazione, ma dopo qualche minuto capì che i nani non avrebbero smesso tanto presto di assillare Orik con domande e consigli, dato che questa gli sembrava la natura dei loro discorsi.
Allora disse: «Orik Könungr» e pronunciò la parola re nell'antica lingua con veemenza, in modo da catturare l'attenzione di tutti i presenti. Nella stanza scese il silenzio, e Orik guardò Eragon inarcando un sopracciglio. «Maestà, vorrei avere il permesso di ritirarmi. C'è una certa... questione di cui dovrei occuparmi, se non è già troppo tardi.»
Negli occhi di Orik brillò un lampo di comprensione. «Ma sicuro, sbrigati! A ogni modo, non c'è bisogno che mi chiami maestà, Eragon, né sire, né con qualche altro titolo altisonante. Siamo amici e fratelli adottivi, dopotutto.»
«È vero, maestà» rispose Eragon «ma per il momento credo sia più giusto da parte mia dimostrarti lo stesso ossequio degli altri. Sei il re della tua razza, adesso, e anche il mio re, dato che sono un membro del Dûrgrimst Ingeitum, un fatto che non posso ignorare.»
Orik lo studiò per un momento, come se lo guardasse da molto lontano, e disse: «Come desideri, Ammazzaspettri.»
Eragon s'inchinò e lasciò la stanza. Accompagnato dalle sue quattro guardie, attraversò le gallerie e salì le scale che conducevano al pianterreno di Tronjheim. Una volta arrivato nel ramo meridionale dei quattro corridoi principali che dividevano la città-montagna, Eragon si rivolse a Thrand, il capitano delle guardie e disse: «Ho intenzione di fare il resto della strada di corsa. Siccome non sareste in grado di stare al mio passo, vi suggerisco di fermarvi quando raggiungerete il cancello sud della città e di aspettare lì il mio ritorno.»
«Argetlam, ti prego» disse Thrand, «non dovresti andare da solo. Posso convincerti a rallentare in modo che possiamo accompagnarti? Non siamo veloci come gli elfi, certo, ma siamo capaci di correre dall'alba al tramonto anche con l'armatura addosso.»
«Apprezzo la tua premura» disse Eragon «ma non voglio perdere nemmeno un minuto, anche se sapessi che c'è un sicario appostato dietro ciascun pilastro. Arrivederci!»
Detto questo, si precipitò lungo l'ampio corridoio, aggirando i nani che gli sbarravano il passo.
DI NUOVO INSIEME
Quando Eragon cominciò a correre, quasi un miglio lo separava dal cancello sud di Tronjheim. Coprì la distanza in pochi minuti, i passi che rimbombavano sul pavimento di pietra. Mentre correva, colse immagini fugaci dei ricchi arazzi appesi sugli archi che immettevano nei corridoi laterali e delle statue grottesche di bestie e mostri annidate fra i pilastri di diaspro rosso sangue che costeggiavano il viale dalla volta a botte. La strada, fiancheggiata da quattro ordini di archi, era così larga che Eragon non faticò a evitare i nani che la popolavano, anche se a un certo punto, una fila di Knurlacarathn gli si parò davanti e dovette superarli con un salto. I nani abbassarono la testa, lanciando esclamazioni sorprese. Eragon si divertì nell'incrociare i loro sguardi stupiti.
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