Volodyk - Paolini2-Eldest

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Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание

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«Sloan odia la Grande Dorsale. Non vorrà avere niente a che fare con me.»

«Ma devi provarci lo stesso» insistette Elain con foga. «Se anche respingesse le tue scuse, almeno nessuno ti potrà accusare di non aver provato. Se ami Katrina, manda giù l'orgoglio e fa' quel che è giusto per lei. Non farla soffrire per i tuoi errori.» Finì di bere il sidro, usò un cappuccio di latta per spegnere le candele e lasciò Roran seduto nell'oscurità. Passarono lunghi minuti prima che Roran trovasse la forza di alzarsi. Tese una mano e seguì il bordo del piano di lavoro fino a tastare la soglia, poi salì di sopra, continuando a far scorrere le dita sulle pareti per trovare la strada. Nella sua stanza, si spogliò e si gettò sul letto.

Con la braccia strette intorno al cuscino, ascoltò i deboli suoni che echeggiavano nella casa di notte: il raspio di un topo in soffitta e i suoi squittii intermittenti, i gemiti del legno che si raffreddava di notte, il sussurro del vento negli interstizi della finestra, e... e un fruscìo di pantofole nel corridòio davanti alla sua stanza.

Guardò il paletto della sua porta sollevarsi dal gancio, poi la porta si socchiuse con uno scricchiolio di protesta. Silenzio. Una sagoma scura entrò nella stanza, la porta si chiuse, e Roran sentì una pioggia di capelli di seta sfiorargli il viso, poi due labbra delicate come petali di rosa. Sospirò.

Katrina.

Un boato fragoroso strappò Roran dal sonno.

Una luce violenta lo investì mentre cercava di riprendere coscienza, come un tuffatore disperato che tenta di risalire in superficie. Aprì gli occhi e vide uno squarcio nella porta. Sette soldati entrarono dal varco, seguiti dai due Ra'zac, che sembravano riempire la stanza con la loro presenza spettrale. La punta di una spada si posò sulla gola di Roran. Al suo fianco, Katrina gridò e strinse a sé le coperte.

«Alzati!» ordinò un Ra'zac. Roran si mise in piedi lentamente. Il cuore gli batteva tanto da esplodergli nel petto. «Legategli le mani e portatelo via.»

Quando un soldato si avvicinò a Roran con una corda, Katrina gridò di nuovo e si avventò sugli uomini, mordendo e graffiando con furia inaudita. Le sue unghie affilate penetrarono nella carne, lasciando lunghi solchi sanguinanti che accecarono gli uomini.

Roran s'inginocchiò di colpo e afferrò il martello da sotto il letto, poi si rialzò fulmineo e roteò l'arma sopra la testa, ruggendo come un orso. I soldati si gettarono su di lui nel tentativo di bloccarlo, ma invano: Katrina era in pericolo, e lui era invincibile. Gli scudi e gli elmi si deformavano sotto i suoi colpi, le cotte di maglia e le brigantine si frantumavano sotto la sua arma spietata. Due uomini rimasero feriti, e altri tre caddero per non rialzarsi più.

Il trambusto aveva svegliato la casa; Roran udì vagamente Horst e i suoi figli che gridavano in corridòio. I Ra'zac sibilarono, poi si avventarono su Katrina e la sollevarono di peso, dileguandosi in un batter d'occhio. «Roran!» gridò la ragazza.

Facendo appello a tutte le sue energie, Roran caricò i due uomini rimasti per imboccare la porta. Piombò in corridòio e vide i Ra'zac scavalcare una finestra. Roran si precipitò verso di loro e colpì l'ultimo Ra'zac proprio mentre stava per saltare dal davanzale. Con uno scatto repentino, il Ra'zac afferrò il polso di Roran a mezz'aria e trillò di gusto, soffiandogli il suo alito fetido sul viso. «Sssì! Tu ssei quello che vogliamo!»

Roran tentò di liberare il braccio, ma il Ra'zac non mollava. Con la mano libera, tempestò di pugni la testa e le spalle della creatura, che erano dure come ferro. Disperato e furibondo, afferrò l'orlo del cappuccio del Ra'zac e tirò, scoprendogli il volto.

Vide una faccia raccapricciante e deforme che gli gridava addosso. La pelle era nera e lucida come il carapace di uno scarafaggio. La testa era calva. Gli occhi privi di palpebre erano grandi quanto il suo pugno e scintillavano come sfere di lucida ematite; non avevano né iridi né pupille. Al posto del naso, della bocca e del mento sporgeva un becco adunco che terminava con una punta aguzza che schioccava su un'ispida lingua violacea.

Roran strillò e piantò i piedi contro i lati della finestra, lottando per liberarsi da quella mostruosità, ma il Ra'zac lo trascinava inesorabile fuori della casa. Roran vide Katrina in basso, che urlava e si divincolava.

Proprio mentre le ginocchia gli cedevano, comparve Horst alle sue spalle, che lo cinse con le braccia, tenendolo fermo. «Qualcuno prenda una lancia!» gridò il fabbro. Sbuffava come un mantice, le vene del collo gonfie per lo sforzo di reggere Roran. «Ci vorrà ben altro che questa feccia infernale per fermarci!»

Il Ra'zac provò con uno strattone finale a tirare giù Roran, ma vedendo che era inutile, allungò il becco e disse: «Sssei nossstro!» Scattò in avanti con rapidità sorprendente e Roran ululò quando sentì il becco del Ra'zac che gli affondava nel muscolo della spalla destra. Nello stesso momento il suo polso si spezzò. Con una perversa risata gracchiante, il Ra'zac lo lasciò andare e si lasciò cadere, inghiottito dall'oscurità.

Roran e Horst caddero l'uno addosso all'altro nel corridòio. «Hanno preso Katrina» ringhiò Roran. La vista gli si offuscò e nel buio esplosero mille puntini luminosi quando tentò di rialzarsi facendo leva sulla mano sinistra. La destra penzolava inerte. Albriech e Baldor emersero dalla sua stanza, macchiati di sangue. Dietro di loro non restavano che cadaveri. Ora ne ho uccisi otto. Roran recuperò il martello e si avviò barcollante per il corridòio per trovarsi la strada sbarrata da Elain, in camicia da notte bianca.

Lei lo guardò con gli occhi sgranati, poi gli prese il braccio e lo fece sedere su un baùle di legno addossato alla parete. «Devi farti vedere da Gertrude.»

«Ma...»

«Se continui a sanguinare così, morirai.»

Roran si guardò il fianco destro: era inzuppato di sangue. «Dobbiamo salvare Katrina prima...» strinse i denti per il dolore straziante, «... prima che le facciano del male.»

«Ha ragione. Non possiamo aspettare» disse Horst, torreggiando su di loro. «Fascialo come meglio puoi, poi andremo.» Elain serrò le labbra, e corse all'armadio della biancheria. Tornò con diversi pezzi di stoffa che avvolse stretti intorno alla spalla lacerata di Roran e al polso fratturato. Nel frattempo Albriech e Baldor sottrassero armature e spade ai soldati morti. Horst si accontentò di una lancia.

Elain appoggiò le mani al torace del marito e disse: «Siate prudenti.» Guardò i figli. «Tutti voi.»

«Andrà tutto bene, mamma» promise Albriech. Elain abbozzò un sorriso forzato e li baciò sulle guance. Uscirono di corsa dalla casa e puntarono ai margini di Carvahall, dove scoprirono che lo sbarramento di alberi era stato aperto e l'uomo di guardia, Byrd, ucciso. Baldor s'inginocchiò per esaminare il corpo, e con voce strozzata disse: «È stato pugnalato alle spalle.» Roran lo udì a stento, con il fragore del sangue che gli pompava nelle orecchie. In preda alle vertigini, si appoggiò a una casa e ansimò.

«Altolà! Chi siete?»

Dalle loro postazioni lungo il perimetro di Carvahall, le altre sentinelle si radunarono intorno al compagno ucciso, formando un capannello di lanterne schermate. Sottovoce, Horst raccontò loro dell'attacco e del rapimento di Katrina. «Chi viene con noi?» domandò. Dopo un breve scambio di frasi, cinque uomini acconsentirono ad accompagnarli; il resto sarebbe rimasto a sorvegliare la breccia aperta nello sbarramento e a svegliare il villaggio.

Con una spinta, Roran si scostò dal muro della casa e raggiunse la testa del gruppo, che si incamminò furtivo attraverso i campi e giù per la valle, verso l'accampamento dei Ra'zac. Ogni passo era un tormento, ma non gl'importava; niente aveva importanza, tranne Katrina. Inciampò, e Horst lo prese al volo per il gomito, senza dire una parola.

A mezzo miglio di distanza da Carvahall, Ivor individuò una sentinella su una bassa collinetta, che li costrinse a una lunga deviazione. Un centinaio di iarde più avanti il rosso bagliore delle torce si fece visibile. Roran alzò il braccio sano per rallentare l'avanzata, poi si chinò e cominciò a strisciare acquattato nell'erba alta, spaventando una lepre. Gli uomini lo imitarono e lo seguirono fino ai margini di un boschetto di stiance, dove Roran si fermò e separò la cortina di steli per osservare gli ultimi tredici soldati.

Lei dov'è?

Al contrario di quando erano arrivati la prima volta, i soldati erano laceri ed esausti, le armi graffiate e le corazze ammaccate. Quasi tutti ostentavano bende macchiate di bruno sangue rappreso. Gli uomini erano ammassati insieme, di fronte ai due Ra'zac - entrambi incappucciati intorno a un falò da campo.

Uno stava gridando: «... più della metà di noi uccisi da un branco di bifolchi pidocchiosi che non sanno distinguere una picca da una scure, o trovare la punta di una spada nemmeno se ce l'hanno piantata nelle budella, perché voi non avete nemmeno un'oncia del cervello del mio scudiero! Non m'importa se Galbatorix in persona vi lustra gli stivali con la lingua, noi non muoveremo più un dito se non avremo un nuovo comandante.» Gli uomini annuirono. «Uno che sia umano.»

«Sssul ssserio?» sibilò piano un Ra'zac.

«Ne abbiamo abbastanza di prendere ordini da due storpi come voi, con tutti i vostri schiocchi e fischi e sibili... ci date la nausea! E non so cosa avete fatto a Sardson, ma se resterete un'altra notte, vi pianteremo l'acciaio in corpo per vedere se sanguinate come noi. Ma potete lasciare la ragazza, che...»

L'uomo non ebbe possibilità di proseguire, perché il Ra'zac più grosso gli saltò addosso volando sul fuoco, come un corvo gigantesco. Urlando, il soldato crollò sotto il suo peso. Tentò di sguainare la spada, ma il Ra'zac lo colpì due volte alla gola con il becco nascosto, e l'uomo giacque immobile.

«Dobbiamo combattere con quelli?» mormorò Ivor alle spalle di Roran.

I soldati rimasero impietriti dallo spavento, mentre i Ra'zac si abbeveravano al collo del cadavere. Quando le nere creature si alzarono, si strofinarono le mani, e dissero: «Sssì. Ce ne andremo. Voi ressstate, ssse volete. I rinforzi arriveranno a giorni.» I Ra'zac reclinarono indietro la testa e cominciarono a gridare al cielo, uno strido sempre più acuto fino a superare la soglia dell'udito.

Roran alzò lo sguardo. Lì per lì non vide niente, ma poi un terrore senza nome lo afferrò nello scorgere due ombre frastagliate comparire sulla Grande Dorsale, eclissando le stelle. Avanzavano rapide, diventando sempre più grosse fino a oscurare metà del cielo con la loro lugubre presenza. Un vento rancido spazzò la terra, portando con sé miasmi sulfurei che fecero tossire Roran fino a farsi venire i conati.

I soldati ne furono altrettanto ammorbati; le loro maledizioni riecheggiarono nella notte, mentre si premevano maniche e sciarpe sul naso.

Sopra di loro, le ombre si fermarono e cominciarono a discendere a spirale, chiudendo l'accampamento sotto una volta di tenebre minacciose. Le torce languenti tremolarono e rischiarono di spegnersi, ma illuminarono ugualmente le due bestie che atterravano fra le tende.

I loro corpi erano nudi e glabri, come di topi appena nati, la pelle grigia e coriacea, tesa sui toraci e sui ventri nervati. Nell'aspetto ricordavano due cani smunti e affamati, ma le zampe posteriori erano dotate di muscoli possenti in grado di schiantare un macigno. Le teste oblunghe recavano sulla nuca una cresta sottile, cui faceva da contraltare un lungo e diritto becco nero, adatto a infilzare le prede, su cui spiccavano un paio di gelidi occhi bulbosi identici a quelli dei Ra'zac. Dalle spalle e dai dorsi partivano enormi ali che facevano gemere l'aria con i loro battiti imperiosi. Gettandosi a terra, i soldati si strinsero gli uni agli altri, nascondendosi il volto per non vedere i mostri. Una terribile, aliena intelligenza emanava da quelle creature, narrando di una razza molto più antica e molto più potente di quella umana. All'improvviso Roran ebbe paura che la missione potesse fallire. Dietro di lui, Horst sussurrò agli uomini di restare immobili e nascosti, o sarebbero stati uccisi.

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