Volodyk - Paolini2-Eldest

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Insieme si addormentarono profondamente nel cuore di Ellesméra.

Brandelli di memoria

Eragon si destò all'alba, fresco e riposato. Battè piano la mano sulle costole di Saphira, e lei sollevò l'ala. Eragon si passò una mano tra i capelli e si alzò per dirigersi all'apertura nella parete, dove si appoggiò a uno stipite, sentendo la corteccia ruvida contro la sua spalla. Sotto di lui, la foresta scintillava come un campo di diamanti, mentre ogni albero rifletteva la luce del mattino con milioni di goccioline di rugiada.

Trasalì di sorpresa quando Saphira lo superò di slancio, tuffandosi verso le chiome degli alberi, avvitandosi su se stessa come una trivella, prima di risalire e tracciare cerchi in aria, ruggendo di gioia. Buongiorno, piccolo mio. Lui sorrise, felice che lei fosse felice.

Eragon aprì la porta scorrevole della camera da letto e trovò due vassoi di cibo - perlopiù frutta - che erano stati lasciati sulla soglia durante la notte. Vicino ai vassoi c'era un cumulo di indumenti, con sopra un biglietto. Eragon ebbe difficoltà a decifrare la scrittura fluente, dato che era oltre un mese che non leggeva e aveva dimenticato alcune lettere, ma alla fine riuscì a capire.

Salute a voi, Saphira Bjartskular ed Eragon Ammazzaspettri.

Io, Bellaen del Casato di Miolandra, mi prostro e chiedo venia a te, Saphira, per questo misero pasto. Gli elfi non cacciano, e non si trova carne a Ellesméra, come in nessuna delle nostre città. Se desideri, potrai fare come facevano i draghi di un tempo, e andare a caccia nella Du Weldenvarden. Ti chiediamo soltanto di utilizzare le tue capacità predatorie nella foresta, affinchè la nostra aria e la nostra acqua restino incontaminate dal sangue. Eragon, questi abiti sono per te. Sono stati tessuti da Niduen della casa di Islanzadi, e sono il suo regalo per te. Che la fortuna vi assista,

che la pace regni nei vostri cuori,

e che le stelle vi proteggano.

Bellaen du Hljddhr

Quando Eragon riferì il messaggio a Saphira, lei disse: Non importa; non avrò bisogno di mangiare per parecchio tempo dopo la cena di ieri. Tuttavia divorò un paio di torte ai semi aromatici. Tanto per non sembrare scortese, spiegò. Dopo che Eragon ebbe finito di fare colazione, issò il fagotto di indumenti sul letto e lo aprì: scoprì due lunghe tuniche color ruggine bordate di verde acido, un paio di gambali color crema da legarsi ai polpacci, e tre paia di calze così morbide che quando se le fece scorrere fra le dita parvero liquide. La qualità dei tessuti era tale da far impallidire le filatrici di Carvahall e da far sembrare rozzi gli abiti dei nani che indossava.

Eragon fu contento dei nuovi vestiti. La sua tunica e i suoi calzoni erano logorati dal viaggio e dall'esposizione alla pioggia e al sole. S'infilò una delle lussuose tuniche e ne assaporò la serica leggerezza.

Si era appena allacciato gli stivali quando qualcuno bussò alla porta. «Avanti» disse, allungando una mano verso Zar'roc.

Orik fece capolino nella stanza, poi entrò con cautela, saggiando il pavimento a ogni passo. Alzò lo sguardo al soffitto. «Una grotta mi ci vuole, altro che questo nido di uccelli. Come hai passato la notte, Eragon? E tu, Saphira?» «Abbastanza bene. E tu?» disse Eragon.

«Ho dormito come un sasso.» Il nano ridacchiò tra sé, poi abbassò il mento e giocherellò con la testa della sua ascia. «Vedo che avete mangiato, perciò vi chiedo di accompagnarmi. Arya, la regina e un certo numero di elfi vi aspettano ai piedi dell'albero.» Scrutò Eragon con uno sguardo stizzito. «C'è qualcosa che bolle in pentola. Non ci hanno ancora detto tutto. Non so cosa vogliono da voi, ma dev'essere importante. Islanzadi è tesa come un lupo in trappola... ho pensato fosse il caso di avvisarti.»

Eragon lo ringraziò, poi i due scesero per le scale, mentre Saphira planava sul terreno sottostante. Furono accolti da Islanzadi, avvolta in un mantello di piume di cigno che la faceva assomigliare a un uccello cardinale sepolto dalla neve. Lei li salutò e disse: «Seguitemi.»

Il suo passo imperioso li condusse ai margini di Ellesméra, dove le case erano rade e i sentieri poco battuti. Ai piedi di un poggio alberato, Islanzadi si fermò e pronunciò con voce terribile: «Prima di proseguire oltre, voi tre dovrete giurare nell'antica lingua che non parlerete mai a estraneo di quanto state per vedere, non senza il permesso della sottoscritta, o di mia figlia, o di chiunque possa succederci al trono.»

«Perché dovrei giurare?» chiese Orik.

Già, perché? fece Saphira. Non ti fidi di noi?

«Qui non si tratta di fiducia, ma di sicurezza. Dobbiamo proteggere i nostri segreti a tutti i costi. È il nostro maggiore vantaggio su Galbatorix. Se sarete vincolati dall'antica lingua, non rivelerete mai volontariamente il nostro segreto. Tu sei venuto ad assistere all'addestramento di Eragon, Orik-vodhr, ma se non mi dai la tua parola adesso, sarà meglio che torni nel Farthen Dùr.»

Alla fine Orik disse: «Sono convinto che non hai cattive intenzioni contro i nani o i Varden, altrimenti non acconsentirei mai. E confido nell'onore del tuo casato e del tuo popolo, sapendo che questo non è un imbroglio per ingannarci. Dimmi cosa vuoi che dica.»

Mentre la regina insegnava a Orik la corretta pronuncia della frase desiderata, Eragon chiese a Saphira: Devo farlo? Abbiamo scelta? Eragon rammentò che Arya aveva detto la stessa cosa il giorno prima, e finalmente cominciò a capire che cosa aveva voluto dire: la regina non lasciava spazio a manovre diversive.

Quando Orik ebbe finito, Islanzadi rivolse un'occhiata interrogativa a Eragon. Lui esitò, poi pronunciò il giuramento, come anche Saphira. «Vi ringrazio» disse Islanzadi. «Ora possiamo proseguire.»

In cima al poggio, gli alberi lasciavano il posto a un tappeto di trifoglio rosso che si stendeva per diverse iarde fino ai margini di una rupe rocciosa. La rupe era larga una lega e precipitava per mille piedi nella foresta sottostante, che si allargava fino a raggiungere l'orizzonte. Si aveva la sensazione di trovarsi ai confini del mondo, affacciati su una sconfinata distesa di foresta.

Conosco questo posto, si disse Eragon, ripescando nella memoria brandelli della sua visione di Togira Ikonoka. Thud. L'aria fu scossa dal riverbero di un tonfo. Thud. Un altro colpo sordo fece battere i denti di Eragon. Thud. Si infilò le dita nelle orecchie, cercando di proteggerle dalle fitte procurate dalla pressione. Gli elfi restavano immobili. Thud. Il trifoglio ondeggiò sotto un improvviso refolo di vento.

Thud. Dall'orlo della rupe comparve un enorme drago dorato, con un Cavaliere sul dorso.

Persuasione

Roran guardò Horst con ferocia. Si trovavano nella stanza di Baldor. Roran era seduto sul letto, e ascoltava il fabbro che diceva: «Cosa ti aspettavi che facessi? Non potevamo più attaccare, dal momento che eri svenuto. E comunque gli uomini non se la sentivano di combattere. Non puoi biasimarli. Per poco non ci restavo secco, quando ho visto quei mostri.» Horst scosse la selvaggia massa di capelli. «Siamo stati catapultati in una di quelle vecchie leggende, Roran, e non mi piace per niente.» Roran mantenne l'espressione furente. «Senti, puoi uccidere i soldati, se ti va, ma devi prima recuperare le forze. Non ti mancheranno i volontari; la gente si fida di te in battaglia, specie dopo quanto ha visto la scorsa notte.» Quando Roran continuò nel suo ostinato silenzio, Horst sospirò e gli batte la mano sulla spalla sana. Poi uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

Roran non battè ciglio. Fino a quel momento, soltanto tre cose avevano contato per lui: la sua famiglia, la sua casa nella Valle Palancar e Katrina. La sua famiglia era stata decimata l'anno prima. La fattoria distrutta e bruciata, anche se gli restava sempre la terra.

E adesso aveva perso Katrina.

Un singhiozzo soffocato sfuggì dalla morsa di ferro che gli serrava la gola. Si trovava ad affrontare un dilemma che gli dilaniava l'anima: l'unico modo per salvare Katrina era inseguire i Ra'zac e lasciare la Valle Palancar, ma non potèva abbandonare Carvahall ai soldati. E non poteva dimenticare Katrina.

Il mio cuore o la mia casa, pensò amareggiato. Nessuno aveva valore senza l'altro. Uccidere i soldati sarebbe servito soltanto a non far tornare i Ra'zac, e quindi Katrina. E comunque il massacro sarebbe stato inutile se stavano arrivando i rinforzi, perché avrebbe significato in ogni caso la fine di Carvahall.

Roran strinse i denti quando lo trafisse un nuovo accesso di dolore alla spalla. Chiuse gli occhi. Spero che divorino Sloan come hanno fatto con Quimby. Nessun destino era abbastanza orribile per quel traditore. Roran lo maledisse augurandogli le peggiori sciagure che conosceva.

Se anche fossi lìbero di lasciare Carvahall, come farei a trovare i Ra'zac? Chi può sapere dove vivono? Chi oserebbe dare informazioni sui servi di Galbatorix? La disperazione prese il sopravvento mentre cercava una soluzione al problema. Immaginò di trovarsi in una delle grandi città dell'Impero, alla vana ricerca, fra edifici sporchi e orde di stranieri, di un barlume, un anelito, un assaggio del suo amore.

Un fiume di lacrime gli sgorgò dagli occhi, mentre si piegava in due, gemendo per la sofferenza e la paura. Si dondolava avanti e indietro, cieco a tutto, se non alla desolazione del mondo...

Un incalcolabile periodo di tempo ridusse i singhiozzi di Roran a deboli rantoli di protesta. Si asciugò gli occhi e si costrinse a trarre un lungo, tremante respiro. Fece una smorfia. Aveva la sensazione che i suoi polmoni fossero pieni di schegge di vetro.

Devo pensare, si disse.

Si appoggiò alla parete, e a poco a poco - per pura forza di volontà - cominciò a domare le sue selvagge emozioni per sottometterle all'unica cosa che poteva salvarlo dalla pazzia: la ragione. Il collo e le spalle gli dolevano per la violenza dello sforzo.

Una volta recuperato il controllo, Roran mise ordine fra i suoi pensieri, come un abile artigiano che dispone con cura i suoi strumenti. Dev'esserci una soluzione nascosta fra le cose che so, se soltanto riuscirò ad avere abbastanza immaginazione.

Non poteva inseguire i Ra'zac per aria, e questo era un dato di fatto. Qualcuno avrebbe dovuto dirgli dove rintracciarli, e fra tutte le persone a cui avrebbe potuto chiedere, i Varden probabilmente erano quelli che ne sapevano di più. Il problema era che trovarli sarebbe stato difficile quanto trovare i profanatori, e lui non poteva perdere tempo a cercarli. Anche se... Una vocina nella sua mente insisteva a ricordargli le storie che raccontavano i cacciatori di pellicce e i mercanti sul fatto che il Surda appoggiava in segreto i Varden.

Il Surda. Il paese si trovava a sud dell'Impero, o almeno così aveva sentito dire, dato che Roran non aveva mai visto una mappa di Alagaésia. In condizioni ideali, ci sarebbero volute parecchie settimane per raggiungerlo a cavallo, molte di più se avesse dovuto evitare i soldati. Ovviamente sarebbe stato più rapido navigare lungo la costa verso sud, ma questo avrebbe significato raggiungere il fiume Toark per proseguire fino a Teirm e trovare una nave. Ci sarebbe voluto troppo tempo. E restava sempre il problema dei soldati.

«Quanti sarebbe, avrebbe, potrebbe...» mormorò, aprendo e chiudendo più volte il pugno sinistro. A nord di Teirm, l'unico porto che conosceva era Narda, ma per raggiungerlo avrebbe dovuto valicare l'intera Grande Dorsale, un'impresa mai compiuta, nemmeno dai cacciatori di pellicce.

Roran imprecò sottovoce. Il progetto era irrealizzabile. Dovrei cercare di salvare Carvahall, non di abbandonarla. Il problema era che, in cuor suo, il villaggio e tutti i suoi abitanti erano già condannati. Di nuovo gli spuntarono le lacrime. Tutti i suoi abitanti...

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