Volodyk - Paolini2-Eldest
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Quando atterrò, fu Glaedr che disse: Ho paura che abbiamo viziato i Cavalieri. Se i nostri discendenti fossero stati costretti a sopravvivere allo stato selvatico, come lo sei stata tu o come lo furono i nostri antenati, forse allora avrebbero posseduto le tue capacità.
«No» ribatte Oromis. «Se anche Saphira fosse stata allevata a Vroengard seguendo i metodi tradizionali, sarebbe stata in ogni caso una volatrice straordinaria. Ho visto di rado un drago così naturalmente adatto al cielo.» Saphira battè le palpebre, poi arruffò le ali e si dedicò alla pulizia di un'unghia in maniera tale da nascondersi il muso. «Avrai modo di migliorare, come tutti noi, ma poco, molto poco.» L'elfo si sedette, con la schiena perfettamente diritta. Per le successive cinque ore, secondo la stima di Eragon, Oromis indagò ogni aspetto delle cognizioni di Eragon e di Saphira, dalla botanica alla lavorazione del legno, dalla metallurgia alla medicina, soffermandosi in particolar modo sulle loro conoscenze di storia e dell'antica lingua. L'interrogazione confortò Eragon, perché gli ricordava come Brom era solito esaminarlo durante i loro lunghi spostamenti verso Teirm e Dras-Leona.
Quando si interruppero per il pranzo, Oromis invitò Eragon in casa, lasciando i due draghi da soli. L'alloggio dell'elfo era spoglio, a parte gli oggetti necessari all'alimentazione, all'igiene e alla vita intellettuale. Due pareti erano disseminate di nicchie che ospitavano centinaia di rotoli di pergamena. Vicino al tavolo erano appesi un fodero dorato - dello stesso colore delle squame di Glaedr - e una spada dalla lama color bronzo iridescente.
Sul riquadro interno della porta, incassato nel cuore del legno, c'era un pannello alto una spanna e largo due, che raffigurava una splendida città ricca di torri, addossata a una scarpata e illuminata dalla luce rossa di una luna nascente. La faccia butterata della luna era tagliata a metà dall'orizzonte e sembrava poggiare sul suolo come una cupola screziata grande quanto una montagna. L'immagine era così nitida e ricca di dettagli che sulle prime Eragon la scambiò per una finestra magica; fu solo quando si accorse che l'immagine era assolutamente statica che riuscì ad accettarla come opera d'arte.
«Che luogo è?» domandò.
I lineamenti affilati di Oromis si contrassero per un istante. «Farai bene a mandare a memoria quel panorama, Eragon, poiché in esso risiede l'origine della tua miseria. Quella che vedi era un tempo la nostra città, Ilirea. Fu bruciata e abbandonata durante la Du Fyrn Skulblaka, e divenne la capitale del regno di Broddring, mentre adesso è la città nera di Urù'baen. Ho fatto questo fairth la notte in cui io e gli altri fummo costretti a fuggire prima dell'arrivo di Galbatorix.» «Tu hai dipinto questo... fairth?»
«No, niente del genere. Un fairth è un'immagine fissata per magia su una lastra di ardesia levigata, preparata in anticipo con strati di pigmenti. Il panorama su quella porta raffigura esattamente com'era Ilirea nel momento in cui pronunciai l'incantesimo.»
«E» disse Eragon, incapace di arrestare il flusso di domande «cos'era il regno di Broddring?»
Oromis sgranò gli occhi, allibito. «Non lo sai?» Eragon fece di no con la testa. «Come fai a non saperlo? Certo, considerando come hai vissuto fino a qualche tempo fa e la paura che Galbatorix incute nella tua gente, posso ben capire che tu sia stato cresciuto nelle tenebre dell'ignoranza della tua cultura. Ma non posso credere che Brom sia stato tanto negligente da trascurare argomenti che persino gli elfi o i nani più giovani conoscono. I bambini dei Varden saprebbero dirmi molte più cose sul passato.»
«Brom era più preoccupato di salvarmi la vita che di insegnarmi cose su gente ormai morta» ribattè Eragon. Dopo qualche istante di profondo silenzio, Oromis disse: «Perdonami. Non era mia intenzione dubitare del giudizio di Brom. Le mie parole sono state dettate dall'impazienza; abbiamo così poco tempo, e più cose nuove devi imparare, meno occasioni avremo di approfondire le altre durante la tua permanenza qui.» Aprì una serie di credenze, celate nella parete curva, e prese alcuni panini dolci e una ciotola di frutta. Posò il cibo sul tavolo e fece una breve pausa a occhi chiusi prima di cominciare a mangiare. «Il regno di Broddring era il paese degli umani prima della caduta dei Cavalieri. Dopo aver ucciso Vreal, Galbatorix volò a Ilirea con i Rinnegati e depose il re Angrenost, impadronendosi del trono e dei titoli. Il regno di Broddring formò quindi il nucleo delle conquiste di Galbatorix. In seguito, annesse Vroengard e le altre terre a est e a sud, creando l'impero che tu conosci. Tecnicamente, il regno di Broddring ancora esiste, anche se, a questo punto, dubito che rappresenti più di un nome sui decreti reali.»
Temendo di infastidire l'elfo con altre domande, Eragon si concentrò sul cibo. Il suo volto però dovette tradirlo, perché Oromis disse: «Mi ricordi Brom quando lo scelsi come mio apprendista. Era più giovane di te, aveva appena dieci anni, ma la sua curiosità era altrettanto grande. Per un anno non sentii altro da lui se non come, cosa, quando, e soprattutto, perché. Non trattenerti dal chiedere quel che il tuo cuore ti suggerisce.»
«Sono tante le cose che vorrei sapere» mormorò Eragon. «Chi sei? Da dove vieni? Da dove veniva Brom? Com'era Morzan? Come, cosa, quando, perché? E vorrei sapere tutto su Vroengard e sui Cavalieri. Forse allora avrò più chiaro il mio cammino.»
Calò il silenzio mentre Oromis piluccava una mora, staccandone un pallino succoso alla volta. Quando l'ultimo granello sparì fra le sue labbra tinte di viola, si strofinò le mani - o "si lucido i palmi", per usare le parole di Garrow e disse: «Su di me sappi questo: sono nato qualche secolo fa nella città di Luthìvira, che si trova nei boschi che orlano il lago Tùdosten. All'età di vent'anni, come tutti i bambini elfici, fui condotto davanti alle uova che i draghi avevano dato ai Cavalieri, e Glaedr nacque per me. Fummo addestrati, e per quasi un secolo viaggiammo per il mondo, facendo la volontà di Vrael. Alla fine arrivò il giorno in cui fu opportuno per noi ritirarci, per tramandare la nostra esperienza alla nuova generazione, e ci stabilimmo a Ilirea per insegnare ai nuovi Cavalieri, uno o due alla volta, finché Galbatorix non ci distrusse.»
«E Brom?»
«Brom veniva da una famiglia di miniaturisti di Kuasta. Sua madre si chiamava Nelda e suo padre Holcomb. La Grande Dorsale isolava così tanto Kuasta dal resto di Alagaésia che la città era diventata un luogo molto particolare, pieno di strane usanze e superstizioni. Pensa che quando Brom era ancora nuovo di Ilirea, bussava per tre volte sullo stipite di una porta prima di entrare o uscire da una stanza. Gli studenti umani lo deridevano per queste sue abitudini, finché non smise di farlo, insieme ad altre cose.
«Morzan fu il mio più grande fallimento. Brom lo idolatrava. Lo seguiva come un'ombra, non lo contraddiceva mai, e non credeva di poterlo mai superare in nessuna impresa. Morzan - mi vergogno ad ammetterlo, perché avrei potuto impedirlo - ne era consapevole e sfruttava la devozione di Brom in cento modi diversi. Divenne così arrogante e crudele che pensai di separarlo da Brom. Ma prima di poterlo fare, Morzan aiutò Galbatorix a rubare un cucciolo di drago, Shruikan, per rimpiazzare quello che aveva perso, e a ucciderne il Cavaliere. Morzan e Galbatorix allora fuggirono insieme, segnando la nostra condanna.
«Non puoi nemmeno lontanamente immaginare gli effetti del tradimento di Morzan su Brom se prima non comprendi quando profondo fosse il suo attaccamento a lui. E quando alla fine Galbatorix rivelò le sue intenzioni e i Rinnegati uccisero il drago di Brom, lui concentrò tutta la sua rabbia e il suo dolore su colui che riteneva responsabile della distruzione del suo mondo: Morzan.»
Oromis fece una pausa, con espressione grave. «Sai perché perdere il tuo drago, o viceversa, di solito uccide quello che sopravvive?»
«Posso immaginarlo» disse Eragon, tremando al solo pensiero.
«Il dolore è un colpo già abbastanza forte, anche se non sempre determinante, ma il vero danno è provocato dalla perdita di parte della tua mente. Parte della tua identità muore. Quando questo accadde a Brom, temetti che perdesse il senno. Poi fui catturato, ma riuscii a fuggire, e allora portai Brom a Ellesméra per sicurezza, ma lui si rifiutò di rimanere, e volle marciare con il nostro esercito nelle pianure di Ilirea, dove re Evandar fu ucciso.
«Il caos era indescrivibile. Galbatorix era impegnato a consolidare il suo potere, i nani erano in ritirata, il sudest era sconvolto dalla guerra mentre gli umani si ribellavano e combattevano per creare il Surda, e noi avevamo appena perso il nostro re. Spinto dal desiderio di vendetta, Brom cercò di sfruttare la confusione a proprio vantaggio. Riunì molti di coloro che erano stati esiliati, liberò alcuni che erano stati imprigionati, e con loro formò i Varden. Li guidò lui stesso per diversi anni, poi affidò l'incarico a un altro per essere libero di perseguire il proprio vero obiettivo, la distruzione di Morzan. Brom uccise personalmente tre Rinnegati, compreso Morzan, e fu responsabile della morte di altri cinque. Non ha avuto una vita facile o felice, ma era un buon Cavaliere e un buon uomo, e io sono onorato di averlo conosciuto.» «Non ho mai sentito il suo nome collegato alla morte dei Rinnegati» obiettò Eragon.
«Galbatorix non voleva rendere pubblico il fatto che esisteva ancora qualcuno in grado di sconfiggere i suoi servi. Gran parte del suo potere risiede nell'apparenza di invulnerabilità.»
Ancora una volta, Eragon si trovò costretto a rivedere l'idea che aveva di Brom: dal cantastorie di paese che Eragon aveva conosciuto da bambino al guerriero e stregone con cui aveva viaggiato al Cavaliere che aveva scoperto essere in realtà, e infine adesso l'agitatore di masse, la guida rivoluzionaria e l'assassino. Era difficile conciliare tanti ruoli diversi. Ho come la sensazione di non averlo conosciuto affatto. Vorrei tanto aver avuto il tempo di parlare con lui di tutto questo almeno una volta. «Era un buon uomo» convenne Eragon.
Guardò fuori da una delle finestre rotonde che si affacciavano sull'orlo della rocca e consentivano al calore pomeridiano di diffondersi nella stanza. Osservò Saphira, notando come si comportava con Glaedr, timida e vezzosa al tempo stesso. Un attimo prima si girava per esaminare le caratteristiche della radura, quello dopo arruffava le ali e faceva piccoli gesti per stuzzicare il drago, come dondolare la testa da un lato e dall'altro, o far guizzare la punta della coda quasi fosse pronta a balzare su un cervo. A Eragon sembrava una gattinà che cerchi di convincere un vecchio gatto a giocare con lei. Ma Glaedr restava impassibile.
Saphira, la chiamò. Lei rispose con un distratto baluginio di pensiero, senza quasi riconoscerlo. Saphira, rispondimi. Che cosa c'è?
So che sei eccitata, ma non renderti ridicola.
Tu ti sei reso ridicolo un sacco di volte, ribatte lei.
La sua risposta fu così inaspettata che lo lasciò di stucco.
Era quel tipo di crudele commento che usavano spesso gli umani, ma non si sarebbe mai aspettato di sentirlo da lei. Alla fine riuscì a dire: Già, ma questo non cambia le cose. Lei grugnì e gli chiuse la mente, anche se Eragon percepiva ancora strascichi di emozioni.
Il giovane tornò in sé per scoprire gli occhi grigi di Oromis fissi su di lui. Erano così perspicaci che Eragon era sicuro che Oromis avesse capìto che cosa era successo. Abbozzò un sorriso e fece un cenno verso Saphira. «Anche se siamo intimamente legati, non so mai predire cosa farà. Più imparo a conoscerla, più mi rendo conto di quanto siamo diversi.» Allora Oromis pronunciò una frase che colpì Eragon in tutta la sua straordinaria saggezza. «Coloro che amiamo spesso ci sono più estranei degli altri.» L'elfo fece una pausa. «Saphira è molto giovane, come te. A me e Glaedr ci sono voluti decenni per capirci a vicenda. Il legame di un Cavaliere con il suo drago è come qualunque altra relazione... ossia, un progresso continuo. Ti fidi di lei?»
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