Volodyk - Paolini2-Eldest
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«Con tutta l'anima.»
«E lei si fida di te?»
«Sì.»
«Allora assecondala. Tu sei stato allevato come un orfano. Lei è cresciuta credendo di essere l'unico individuo incorrotto della sua intera razza. E adesso ha visto che si sbagliava. Non sorprenderti se ci vorrà qualche mese prima che smetta di tormentare Glaedr e riporti la sua attenzione su di te.»
Eragon si rigirò una mora fra le dita; la fame gli era passata. «Perché gli elfi non mangiano carne?» «Perché dovremmo?» Oromis prese una fragola e la voltò perché la luce colpisse la sua buccia bucherellata e illuminasse la sottile peluria che la rivestiva. «Tutto quello che ci serve lo cantiamo dalle piante, compreso il cibo. Sarebbe barbaro far soffrire gli animali soltanto per avere qualche altra pietanza sulle nostre mense... La nostra scelta ti sarà più chiara ben presto.»
Eragon aggrottò la fronte. Aveva sempre mangiato carne e non lo solleticava la prospettiva di mangiare soltanto frutta e verdura finché restava a Ellesméra. «Non vi manca il gusto?»
«Non ti può mancare qualcosa che non hai mai avuto.» «E Glaedr? Non può vivere soltanto d'erba.» «No, ma non occorre nemmeno infliggere dolore inutile. Ciascuno di noi fa del suo meglio con quanto gli è stato dato. Non puoi ripudiare ciò che sei.»
«E Islanzadi? Il suo mantello era fatto di piume di cigno.» «Piume perdute dagli animali e raccolte nel corso di molti anni. Nessun uccello è stato ucciso per farle da ornamento.» Finirono di mangiare, ed Eragon aiutò Oromis a strofinare dispensa, gli domandò: «Hai fatto il bagno stamattina?» La domanda sconcertò Eragon, che tuttavia rispose che no, non l'aveva fatto. «Ti prego allora di farlo domattina. E per tutti i giorni a venire.»
«Tutti i giorni! L'acqua è troppo fredda. Mi verrà la febbre.»
Oromis lo guardò con occhi strani. «Allora riscaldala.» Fu il turno di Eragon di guardarlo di traverso. «Non sono abbastanza forte da riscaldare un intero torrente con la magia» protestò.
La casa riecheggiò delle risa di Oromis. Fuori, Glaedr voltò la testa verso la finestra per guardare l'elfo, poi riprese la sua posizione. «Immagino che tu abbia ispezionato i tuoi alloggi ieri sera.» Eragon annuì. «E non hai visto quella piccola stanza con una conca nel pavimento?» «Credevo che servisse a lavare i panni.»
«Serve a lavare te. Nella parete accanto alla cavità ci sono due cannelli nascosti. Aprili, e potrai fare il bagno nell'acqua della temperatura che preferisci. Inoltre» aggiunse, facendo un cenno verso il mento di Eragon, «finché sei mio allievo, mi aspetto che tu porti il volto rasato fintantoché non potrai farti crescere una vera barba, se così sceglierai, e non sembrare un albero con metà foglie cadute. Gli elfi non si radono, ma io possiedo un rasoio e uno specchio che ho trovato, e te li manderò.»
Fremendo per l'orgoglio ferito, Eragon annuì. Tornarono fuori, dove Oromis guardò Glaedr e il drago disse: Abbiamo deciso un programma di studi per Saphira e te.
L'elfo disse: «Comincerete...»
... un'ora dopo l'alba, domattina, al tempo del Giglio Rosso. Tornate qui allora.
«E porta la sella che Brom ha fatto per Saphira» continuò Oromis. «Nel frattempo, fai ciò che vuoi. Ellesméra offre molte meraviglie a uno straniero, se desideri vederle.»
«Lo terrò a mente» disse Eragon, con un inchino del capo. «Prima di andare, maestro, vorrei ringraziarti per avermi aiutato a Tronjheim, dopo che ho ucciso Durza. Dubito che ce l'avrei fatta senza il tuo intervento. Sono in debito con te.»
Siamo entrambi in debito, aggiunse Saphira.
Oromis sorrise e chinò il capo.
i piatti con la sabbia. Mentre l'elfo li riponeva in una
La vita segreta delle formiche
Nel momento in cui Oromis e Glaedr non si videro più, Saphira esclamò: Eragon, un altro drago! Ma è magnifico! Lui le diede una pacca sulla spalla. È meraviglioso. Volando alti sulla Du Weldenvarden, l'unico segno di vita che videro nella foresta era un occasionale pennacchio di fumo che risaliva dalla chioma di un albero e presto si dissipava nell'aria.
Non mi sarei mai aspettata di incontrare un altro drago, tranne Shruikan. Magari di sottrarre le nova a Galbatorix, questo sì, ma le mie speranze si limitavano a questo. E invece adesso! La dragonessa fremette di gioia sotto di lui. Glaedr è incredibile, non trovi? È così vecchio e forte, e le sue squame sono così brillanti. Dev'essere due, no, tre volte più grosso di me. Hai visto che artigli? Sono...
Continuò così per lunghi minuti, sperticandosi di lodi per le qualità di Glaedr. Ma più forti delle sue parole erano le emozioni che Eragon percepiva ribollire in lei: frenesia ed entusiasmo, mescolati a qualcosa che si poteva definire soltanto struggente adorazione.
Eragon tentò di raccontare a Saphira quanto aveva appreso da Oromis - poiché sapeva che lei non aveva prestato attenzione - ma scoprì che era impossibile farle cambiare argomento. Rimase seduto in silenzio sul suo dorso, il mondo un oceano di smeraldo, e si sentì la persona più sola dell'universo.
Tornati ai loro alloggi, Eragon decise di non andare a passeggio; era troppo stanco per gli eventi della giornata e le settimane di viaggio. E Saphira era più contenta di accucciarsi nel suo giaciglio e continuare a chiacchierare di Glaedr, mentre lui esplorava i misteri dello stanzino da bagno degli elfi.
Arrivò la mattina, e con essa un pacchetto avvolto in carta velina con il rasoio e lo specchio che Oromis gli aveva promesso. La lama era di fattura elfica, perciò non aveva bisogno di essere affilata. Sorridendo, Eragon prima fece un bagno nell'acqua calda e fumante, poi prese lo specchio e si studiò il volto.
Sembro più vecchio. Più vecchio e più sfibrato. Non era solo quello: i suoi lineamenti si erano fatti più affilati, dandogli un aspetto ascetico, da falco. Non era un elfo, ma nessuno lo avrebbe scambiato per un puro umano se lo avesse ispezionato da vicino. Tirandosi indietro i capelli, portò alla luce le orecchie, che ora terminavano con una leggera punta, ulteriore prova di quanto il suo legame con Saphira lo stesse cambiando. Si toccò un orecchio, seguendo il profilo inconsueto con le dita.
Gli era difficile accettare la trasformazione della carne. Pur sapendo che sarebbe successo - e a volte ne considerava la prospettiva con entusiasmo, come conferma definitiva del suo essere Cavaliere - la realtà del cambiamento lo riempiva di confusione. Si risentiva del fatto di non avere voce in capitolo su come il suo corpo veniva alterato, eppure allo stesso tempo era curioso di scoprire dove lo avrebbe condotto il processo. E poi sapeva di trovarsi nel pieno dell'adolescenza umana, e nel suo regno di misteri e difficoltà.
Quando finalmente capirò chi sono e che cosa sono?
Posò il filo del rasoio sulla guancia, come aveva visto fare a Garrow, e lo fece scorrere sulla pelle. I peli vennero via a chiazze, ma rimasero troppo lunghi in alcuni punti. Cambiò l'angolazione della lama e provò di nuovo, con un po' più di successo.
Quando raggiunse il mento, però, il rasoio gli sfuggì di mano e gli procurò un taglio dall'angolo della bocca fin sotto la mascella. Ululò di dolore e lasciò cadere il rasoio, premendosi la mano sulla ferita, da cui fiottava sangue sul collo. Sibilando le parole a denti stretti, disse: «Waise heill.» Il dolore scemò, mentre la magia gli ricuciva la pelle, anche se il cuore ancora gli batteva per lo shock.
Eragon! gridò Saphira. Infilò a forza la testa e le spalle nel vestibolo e aprì la porta del camerino con il muso, dilatando le narici all'odore del sangue.
Sopravviverò, la rassicurò lui.
Lei scoccò un'occhiata all'acqua tinta di rosso. Devi stare più attento. Ti preferisco con la peluria a chiazze come un cervo in periodo di muta, che non decapitato per una rasatura spinta troppo a fondo.
Anch'io. Adesso vai, sto bene.
Saphira brontolò e si ritrasse a malincuore.
Eragon restò seduto a guardare con odio il rasoio. Alla fine borbottò: «Al diavolo!» e si ricompose, ripassando il suo inventario di parole nell'antica lingua per scegliere quelle che gli servivano. Si fece rotolare sulla lingua l'incantesimo improvvisato, e una debole pioggia di polvere nera gli cadde dalla faccia, mentre la rada peluria svaniva, lasciandogli le guance perfettamente lisce.
Soddisfatto, Eragon andò a sellare Saphira, che subito si alzò in volo, diretta verso la rupe di Tel'naeìr. Atterrarono davanti al capanno dove trovarono Oromis e Glaedr ad attenderli.
Oromis esaminò la sella di Saphira. Seguì ogni cinghia con le dita, soffermandosi sulle cuciture e sulle fibbie, e poi lo dichiarò un lavoro discreto, considerato come e quando era stato eseguito. «Brom è sempre stato bravo con le mani. Usa questa sella quando vuoi viaggiare a gran velocità. Ma quando vuoi stare comodo...» rientrò nel capanno e ricomparve con una grossa sella ricurva, decorata da incisioni dorate sul sedile e sugli alloggiamenti per le gambe, «... usa questa. È stata fatta a Vroengard e dotata di potenti incantesimi perché non ti tradisca mai nel momento del bisogno.»
Eragon barcollò sotto il peso della sella ricevuta da Oromis. Per forma era simile a quella di Brom, con una serie di fibbie che servivano a immobilizzargli le gambe. Il cuoio del sedile era sagomato per consentirgli di volare per ore senza stancarsi, sia seduto eretto che proteso sul collo di Saphira. Inoltre le corregge che cingevano il petto di Saphira erano dotate di passanti e nodi per poterle allungare e adattarsi alla sua crescita. Una serie di lunghi legacci ai lati del pomo della sella catturarono l'attenzione di Eragon. Ne chiese lo scopo.
Glaedr borbottò: Servono a legarti i polsi e le braccia per non farti morire come un topo sballottato quando Saphira esegue una manovra complessa.
Oromis aiutò Eragon a liberare Saphira dalla sella. «Saphira, oggi tu andrai con Glaedr, mentre io lavorerò qui con Eragon.»
Come desideri, disse lei, vibrante di eccitazione. Sollevando la mole dorata dal suolo, Glaedr prese il volo verso nord, seguito a ruota da Saphira.
Oromis non diede tempo a Eragon di riflettere sull'eccessivo entusiasmo di Saphira, e lo condusse in un recinto quadrato di terra compatta, sotto un salice dall'altro lato della radura. Parandosi davanti a lui, Oromis disse: «Sto per mostrarti la Rimgar, la Danza del Serpente e della Gru. Si tratta di una serie di pose che sviluppammo per preparare i nostri guerrieri al combattimento, anche se adesso gli elfi la usano per mantenere la salute e la forma fisica. La Rimgar consiste in quattro livelli, ognuno più difficile del precedente. Cominceremo dal primo.»
L'apprensione per il compito che lo aspettava fece venire a Eragon una tale nausea che quasi non riusciva a muoversi. Strinse i pugni e incurvò le spalle, con la cicatrice che gli tirava la pelle della schiena, tenendo lo sguardo fisso a terra. «Rilassati» lo ammonì Oromis. Eragon aprì le mani e le lasciò pendere dalle braccia rigide. «Ti ho chiesto di rilassarti, Eragon. Non puoi eseguire la Rimgar se resti rigido come un ciocco di legno.»
«Sì, maestro.» Eragon fece una smorfia e a malincuore sciolse i muscoli e le articolazioni, anche se gli rimaneva un nodo di tensione nello stomaco.
«Tieni i piedi uniti e paralleli, e le braccia lungo i fianchi. Guarda dritto avanti a te. Ora fai un respiro profondo e alza le braccia sopra la testa, unendo i palmi... Sì, così. Espira e flettiti in avanti il più possibile, toccando il terreno con le mani. Fai un altro respiro... e torna indietro. Bene. Inspira, inarca il busto all'indietro e guarda verso il cielo... ed espira, alzando il bacino fino a formare un triangolo. Inspira con la gola... ed espira. Inspira... ed espira. Inspira...» Con sommo sollievo di Eragon, gli esercizi si dimostrarono abbastanza agevoli da non innescare il dolore alla schiena, pur essendo abbastanza difficili da farlo sudare e ansimare. Si ritrovò a sorridere di gioia. Svanita ogni traccia di diffidenza, Eragon passò fluidamente da una posizione all'altra - molte delle quali mettevano a dura prova la sua flessibilità - con più energia e sicurezza che prima della battaglia del Farthen Dùr. Forse sono guarito! Oromis eseguì la Rimgar insieme a lui, mostrando un livello di forza e flessibilità che sbalordì Eragon, soprattutto pensando all'età del maestro. L'elfo riusciva a toccarsi la punta dei piedi con la fronte. Durante tutta la seduta di allenamento, rimase impeccabile e composto, come se stesse facendo una semplice passeggiata nei prati. Impartiva gli ordini con più calma e pazienza di Brom, ma con inflessibile rigore. Non permetteva alcuna distrazione. «Laviamoci il sudore» disse Oromis, quando ebbero terminato.
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