Volodyk - Paolini2-Eldest
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«La saggezza» disse alla fine. «La saggezza è lo strumento più importante per una persona.» «Un buon tentativo, ma ancora non ci siamo. La risposta è la logica. O per meglio dire, la capacità di ragionare in maniera analitica. Applicata a dovere, può compensare qualunque mancanza di saggezza, che si ottiene soltanto con l'età e l'esperienza.» Eragon si accigliò. «Sì, ma avere un cuore puro non è più importante della logica? La sola logica può condurti a conclusioni eticamente sbagliate, mentre se sei una persona retta e giusta non compirai azioni vergognose.» Un sorriso sottile increspò le labbra di Oromis. «Tu confondi la questione. Io voglio sapere qual è lo strumento più utile a una persona, indipendentemente dalla sua natura buona o malvagia. Sono d'accordo che è importante essere di indole virtuosa, ma credo che se dovessi scegliere fra dare a un uomo un'indole nobile e insegnargli a pensare lucidamente, sarebbe di gran lunga preferibile insegnargli a pensare lucidamente. Troppi problemi a questo mondo sono causati da uomini di indole nobile e mente annebbiata.
«La storia è fitta di esempi di soggetti convinti di fare la cosa giusta, mentre commettono crimini proprio per questo. Ricorda, Eragon, che nessuno ritiene di essere cattivo, e pochi prendono decisioni che ritengono sbagliate. Una persona può non apprezzare la propria scelta, ma la sosterrà anche nelle peggiori circostanze, perché crede che sia la migliore possibile in quel momento.
«Di per sé, essere una persona rispettabile non garantisce che si agisca sempre nel modo migliore, il che ci conduce all'unica protezione che abbiamo contro i demagoghi, i mistificatori e la follia del popolo, e la nostra guida più sicura attraverso gli incerti della vita: il pensiero lucido e razionale. La logica non ti tradisce mai, purché tu non sia inconsapevole, né ignori deliberatamente le conseguendo ze delle tue azioni.»
«Se gli elfi sono tanti logici» disse Eragon, «allora vi trovate sempre d'accordo su quello che fate.» «Di rado» sentenziò Oromis. «Come ogni altra razza, anche noi ci atteniamo a una vasta conseguenza spesso arriviamo a conclusioni diverse, anche se in identiche situazioni. aggiungere, hanno un senso logico dal punto di vista di ciascuno. E vorrei che fosse altrimenti, ma non tutti gli elfi hanno allenato la propria mente in maniera adeguata.»
«Come intendi insegnarmi questa logica?»
Il sorriso di Oromis si allargò. «Col metodo più antico ed efficace: il dibattito. Ti farò una domanda, e tu risponderai difendendo la tua posizione.» Attese che Eragon gli riempisse di nuovo la scodella di minestrone. «Per esempio, perché combatti l'Impero?»
L'improvviso cambio di argomento colse Eragon alla sprovvista. Aveva la sensazione che Oromis avesse appena centrato l'obiettivo verso cui lo stava attirando. «Come ho già detto, per aiutare coloro che soffrono sotto il dominio di Galbatorix e, in minor misura, per una vendetta personale.»
«Quindi combatti per ragioni umanitarie?»
«Che cosa vuoi dire?»
«Che combatti per aiutare coloro che subiscono le angherie di Galbatorix e per impedirgli di fare ancora del male.» «Esatto» disse Eragon.
«Ah, ma rispondi a questo, mio giovane Cavaliere. Non è possibile che la tua guerra contro Galbatorix provochi più sofferenze di quante tu ne intenda prevenire? La maggior parte della popolazione dell'Impero conduce una vita normale, produttiva, incontaminata dalla follia del re. Come giustificheresti l'invasione delle loro terre, la distruzione delle loro case, l'uccisione dei loro figli?»
Eragon rimase a bocca aperta, sconcertato da una simile domanda - Galbatorix era il male - e dal fatto di non riuscire a trovare una facile risposta. Sapeva di avere ragione, ma come provarlo? «Tu non credi che Galbatorix debba essere deposto?»
«Non è questo il punto.»
«Ma devi crederci» insistette Eragon. «Guarda che cosa ha fatto ai Cavalieri.»
Chinando il capo sul piatto, Oromis ricominciò a mangiare, lasciando che Eragon schiumasse in silenzio. Quando ebbe finito, si intrecciò le mani in grembo e gli chiese: «Ti ho turbato?»
«Sì.»
«Bene. Allora continua a riflettere sulla domanda finché non troverai una risposta. E mi aspetto che sia una risposta convincente.»
gamma di principi, e di Conclusioni che, vorrei
Il convolvolo nero
Riordinarono la tavola e portarono fuori i piatti per strofinarli con la sabbia. Oromis sbriciolò gli avanzi di pane intorno alla casa per sfamare gli uccelli, poi tornarono dentro.
Oromis prese calami e inchiostro per Eragon, e ricominciarono le lezioni di Liduen Kvaedhi, la scrittura dell'antica lingua, che era molto più elegante delle rune dei nani e degli umani. Eragon si smarrì negli arcani glifi, lieto di avere un compito che non richiedesse nulla di più arduo che una memoria meccanica.
Dopo ore trascorse chino sui fogli, Oromis gli fece un cenno con la mano e disse: «Basta così. Continueremo domattina.» Eragon inarcò la schiena e si sciolse le spalle, mentre Oromis sceglieva cinque rotoli di pergamena dalle loro nicchie nella parete. «Due di questi sono nell'antica lingua, tre nella tua lingua madre. Ti aiuteranno a destreggiarti con entrambi gli alfabeti, e ti forniranno preziose informazioni che per me sarebbe troppo tedioso vocare.» «Vocare?»
Con precisione infallibile, la mano di Oromis saettò verso la parete, da cui estrasse un sesto rotolo, che aggiunse alla piramide fra le braccia di Eragon. «Questo è un dizionario. Dubito che ci riuscirai, ma prova a leggerlo tutto.» Quando l'elfo aprì la porta per farlo uscire, Eragon gli disse: «Maestro.»
«Sì, Eragon?»
«Quando cominceremo a lavorare con la magia?»
Oromis si appoggiò con un braccio allo stipite della porta, come se non avesse più la forza di restare in piedi. Poi sospirò e disse: «Devi fidarti di come conduco la tua istruzione, Eragon. Tuttavia immagino sarebbe sciocco da parte mia indugiare oltre. Vieni, lascia i rotoli sul tavolo, e andiamo a esplorare i misteri della negromanzia.» Sul prato davanti alla casa, Oromis si fermò a contemplare il panorama dalla rupe di Tel'naeir, le spalle rivolte a Eragon, i piedi divaricati, le mani intrecciate dietro la schiena. Senza voltarsi, chiese: «Cos'è la magia?»
«La manipolazione di energia mediante l'uso dell'antica lingua.»
Ci fu una lunga pausa prima della risposta di Oromis. «Tecnicamente hai ragione, e molti stregoni non sono mai andati più in là di così. Ma la tua descrizione non riesce a catturare l'essenza della magia. La magia è l'arte del pensare, e non riguarda soltanto la forza o il linguaggio. Anche tu sai che un vocabolario limitato non rappresenta un ostacolo all'impiego della magia. Come tutte le altre cose che andrai a imparare, la magia si basa su un intelletto disciplinato. «Brom ha sorvolato sul normale regime di addestramento e ha ignorato le sottigliezze della negromanzia per assicurarsi che tu avessi le capacità che ti servivano per sopravvivere. Anch'io dovrò deviare dal normale corso di addestramento per concentrarci sulle capacità che più ti serviranno nella guerra incombente. Ma mentre Brom ti ha insegnato la nuda meccanica della magia, io ti insegnerò le sue più sottili applicazioni, i segreti che erano riservati ai Cavalieri più saggi: come uccidere muovendo appena un dito, come trasportare istantaneamente un oggetto da un luogo all'altro, una formula che ti consenta di individuare i veleni nel cibo o nelle bevande, una variazione della cristallomanzia che ti farà ascoltare, oltre che vedere, il mondo per estrarre energia dall'ambiente circostante per preservare la tua, e come sfruttare al massimo la tua forza in ogni situazione.
«Queste tecniche sono così potenti e pericolose che non sono mai state insegnate a un Cavaliere novizio come te, ma le circostanze mi impongono di rivelartele e di confidare nel fatto che non ne abuserai.» Alzando il braccio destro, la mano chiusa ad artiglio, Oromis esclamò: «Adurna!»
Eragon guardò una sfera d'acqua levarsi dal ruscello che scorreva vicino al capanno, e fluttuare nell'aria fino a restare sospesa fra le dita aperte di Oromis.
Il ruscello era scuro e fangoso sotto il fogliame della foresta, ma la sfera estratta da esso era incolore come il vetro. Frammenti di muschio, terriccio e altri detriti galleggiavano nel globo trasparente.
Con lo sguardo ancora rivolto all'orizzonte, Oromis disse: «Prendi.» Scagliò la sfera all'indietro verso Eragon. Eragon cercò di afferrare la palla, ma non appena toccò la sua pelle, l'acqua perse coesione e gli schizzò sul petto. «Prendila con la magia» disse Oromis. Poi di nuovo gridò: «Adurna!» e una sfera d'acqua si materializzò sulla superficie del ruscello e volò sulla sua mano come un falco addestrato obbedisce al suo padrone. Questa volta Oromis scagliò il globo senza preavviso. Tuttavia Eragon era preparato, e disse: «Reisa du adurna» mentre allungava la mano. La sfera rallentò fino a fermarsi a un soffio dalla sua pelle.
«Una pessima scelta di parole» disse Oromis, «ma tuttavia accettabile.»
Eragon sorrise e mormorò: «Thrysta.»
La sfera invertì la rotta e sfrecciò verso la nuca argentata di Oromis, ma invece di finire dove Eragon avrebbe voluto, oltrepassò l'elfo, gli girò intorno e tornò da Eragon a velocità raddoppiata.
L'acqua rimase solida come il marmo quando urtò il cranio di Eragon, con un tonfo sordo. Il colpo lo mandò riverso sull'erba, dove rimase intontito, battendo le palpebre, mentre sciami di puntini luminosi gli danzavano davanti agli occhi.
«Già» disse Oromis. «Sarebbe stato meglio dire letta o kodthr.» Finalmente si volse per guardare Eragon e inarcò un sopracciglio con evidente sorpresa. «Che cosa stai facendo? Alzati. Non possiamo restare qui tutto il giorno.» «Sì, maestro» borbottò Eragon.
Quando si fu rimesso in piedi, Oromis gli fece manipolare l'acqua in diversi modi - fare dei nodi, cambiare il colore della luce che assorbiva o rifletteva, congelarla secondo una sequenza precisa - nessuno dei quali si rivelò difficile per lui. Gli esercizi continuarono così a lungo che l'iniziale interesse di Eragon cominciò a sfumare, rimpiazzato da impazienza e sconcerto. Non voleva rischiare di offendere Oromis, ma non capiva il punto di quello che stava facendo l'elfo; era come se Oromis stesse evitando qualunque incantesimo che richiedesse un minimo di impegno in più da parte sua. Ho sempre dimostrato la portata delle mie capacità. Perché insiste a farmi ripassare questi trucchetti da principiante? Ad alta voce, disse: «Maestro, queste cose le so già. Non possiamo fare qualcos'altro?»
I muscoli del collo di Oromis si tesero, e le sue spalle divennero di granito; persino il respiro dell'elfo si fermò, prima che esclamasse, indignato: «Non imparerai mai il rispetto, Eragon-vodhr? E sia!» Pronunciò quattro parole nell'antica lingua a voce così bassa che Eragon non riuscì a capirle.
Il giovane lanciò un grido allarmato quando le sue gambe subirono una pressione che gli strizzava i polpacci tanto da rendergli impossibile camminare. Le cosce e il torso erano liberi di muoversi, ma per il resto era come avviluppato in un blocco di malta rappresa.
«Liberati» disse Oromis.
Era una sfida con cui Eragon non si era mai cimentato prima: reagire all'incantesimo di un altro. C'erano due modi per recidere gli invisibili legacci che lo paralizzavano. Il più efficace sarebbe stato sapere come Oromis lo aveva immobilizzato - se agendo direttamente sul suo corpo o usando una fonte esterna - perché in questo modo avrebbe potuto indirizzare l'elemento o la forza per disperdere il potere di Oromis. Oppure poteva usare un incantesimo vago e generico per bloccare qualunque cosa Oromis stesse facendo. Lo svantaggio di questa tattica era che avrebbe portato a uno scontro diretto di potenza fra di loro. Doveva succedere, prima o poi, pensò Eragon. Non aveva alcuna speranza di prevalere su un elfo.
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