Volodyk - Paolini2-Eldest
- Название:Paolini2-Eldest
- Автор:
- Жанр:
- Издательство:неизвестно
- Год:неизвестен
- ISBN:нет данных
- Рейтинг:
- Избранное:Добавить в избранное
-
Отзывы:
-
Ваша оценка:
Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание
Paolini2-Eldest - читать онлайн бесплатно полную версию (весь текст целиком)
Интервал:
Закладка:
Ma non poteva sopportare la vista di quel vassoio.
Ho voglia di carne, borbottò, tornando a capo chino nella sua stanza. Saphira lo guardò dalla sua pedana. Mi andrebbe bene anche del pesce, o del pollo, qualunque cosa invece di questo fiume infinito di verdure. Non mi riempiono lo stomaco. Non sono un cavallo; perché devo mangiare così?
Saphira si alzò e si sporse dall'apertura a goccia che affacciava su Ellesméra, dicendo: Negli ultimi giorni mi è venuta fame. Ti piacerebbe venire con me? Potrai cucinarti quanta carne vorrai e gli elfi non lo sapranno mai. Mi piacerebbe eccome, disse Eragon, illuminandosi. Prendo la sella?
Non andremo lontano.
Eragon fece incetta di sale, erbe e altri condimenti dalle bisacce e poi, attento a non affaticarsi, si arrampicò nello spazio fra le acuminate placche dorsali di Saphira.
Spiccando il volo, Saphira sfruttò una corrente ascensionale per librarsi sulla città, dove abbandonò la corrente calda per virare e seguire un corso d'acqua che si snodava nella Du Weldenvarden fino a un laghetto a poche miglia da Ellesméra. Atterrò e si accucciò sul terreno per far scendere Eragon.
Ci sono dei conigli nell'erba che orla il laghetto, disse. Prova a catturarli. Nel frattempo io vado a caccia di cervi. Che cosa, non vuoi condividere le tue prede con me?
No, non voglio, grugnì lei. Ma lo farò, se quei topi troppo cresciuti ti sfuggono.
Eragon sorrise mentre la dragonessa si levava in volo, poi rivolse la sua attenzione ai ciuffi d'erba e di panace che circondavano lo stagno, e si accinse a procurarsi la cena.
Meno di un minuto dopo, Eragon sollevò una coppia di conigli morti dalla loro tana. Gli era bastato un istante per localizzare i conigli con la mente e poi ucciderli con una delle dodici parole di morte. Quello che aveva imparato da Oromis lo aveva privato della sfida e dell'eccitazione della caccia. Non ho nemmeno dovuto stanarli, pensò, ricordando gli anni passati ad affinare le sue capacità venatorie. Sorrise di amaro divertimento. Finalmente posso cacciare qualunque -preda, e non mi diverto più. Almeno quando ho cacciato con un sasso, insieme a Brom, era ancora una sfida, ma così... così è un massacro.
L'ammonimento della fabbricante di spade, Rhunòn, gli tornò alla mente: "Quando puoi ottenere tutto quello che vuoi pronunciando qualche parola, non ha più importanza la meta, ma il viaggio per raggiungerla."
Avrei dovuto darle ascolto, si disse Eragon.
Con mosse esperte trasse il suo vecchio pugnale da caccia, spellò i conigli e li privò delle interiora - mettendo da parte cuore, polmoni, reni e fegato - e seppellì le viscere perché l'odore non attraesse le bestie. Poi scavò una buca, la riempì di legna e accese un fuoco con la magia, dato che non aveva pensato a portare con sé pietra focaia e acciarino. Badò al fuoco finché non divenne un letto di braci. Tagliando un rametto di sanguinella, lo scortecciò e lo bruciacchiò sui tizzoni perché perdesse l'amara linfa, poi infilzò le carcasse sullo spiedo e lo appoggiò su due rami a forcella conficcati nel terreno. Per le interiora, posò un sasso piatto sulla brace e lo spalmò di grasso perché fungesse da padella. Saphira lo trovò accovacciato accanto al fuoco, intento a rigirare lentamente lo spiedo. Atterrò con un cervo morto che le penzolava dalle fauci e i resti di un secondo stretti fra gli artigli. Adagiando la sua mole sull'erba fragrante, cominciò a mangiare la preda, divorandola intera, compresa la pelle. Le ossa schioccarono fra i suoi denti affilati come rami che si spezzano in una bufera.
Quando i conigli furono pronti, Eragon agitò lo spiedo per farli raffreddare, poi guardò la carne dorata e lucente che emanava un aroma allettante.
Quando aprì la bocca per staccare il primo morso, il suo pensiero tornò involontariamente alle meditazioni. Ricordò le escursioni nella mente degli uccelli, degli scoiattoli e dei topi, come li aveva sentiti pieni di energia e come lottavano con vigore per il diritto di esistere davanti al pericolo. E se questa vita è tutto quello che hanno... Con un moto di repulsione, Eragon gettò via la carne, inorridito dal fatto di aver ucciso i conigli come se avesse assassinato due persone. Lo stomaco gli si ribellò e dovette sforzarsi per non vomitare.
Saphira alzò gli occhi dal suo festino per guardarlo preoccupata.
Inspirando a fondo, Eragon si premette i pugni sulle ginocchia nel tentativo di controllarsi e capire che cosa lo sconvolgeva tanto. Per tutta la vita aveva mangiato carne, pesce e pollame. Gli piaceva. E adesso si sentiva male tìsicamente al solo pensiero di mangiare dei conigli. Guardò Saphira. Non posso farlo, le disse.
Il mondo è fatto così: ciascuno mangia qualcun altro. Che senso ha resistere all'ordine delle cose? Lui riflettè sulla domanda. Non condannava coloro che mangiavano carne: sapeva che era l'unico mezzo di sussistenza per molti poveri contadini. Ma lui non poteva più farlo, a meno di non morire di fame. Dopo essere stato dentro un coniglio e aver percepito quel che un coniglio sentiva... mangiarlo sarebbe stato come mangiare una parte di sé. Perché possiamo migliorarci, rispose a Saphira. Dovremmo forse seguire i nostri impulsi di ferire o uccidere qualcuno che ci fa arrabbiare, o prendere quello che vogliamo dai più deboli, e in generale ignorare i sentimenti degli altri? Siamo fatti imperfetti e dobbiamo guardarci dai nostri difetti altrimenti ci distruggeranno. Indicò i conigli. Come ha detto Oromis, perché causare sofferenze inutili?
Vorresti rinunciare a tutti i tuoi desideri, dunque? Soltanto a quelli distruttivi.
Ne sei assolutamente convinto?
Sì.
In questo caso, disse Saphira, avvicinandosi, saranno per me un ottimo dessert. In un batter d'occhio, ingoiò i due conigli e poi leccò la pietra con le interiora, grattandola con la lingua barbata fino a farla luccicare. Io, se non altro, non posso vivere di sole piante... quello è cibo per prede, non per draghi. Mi rifiuto di sentirmi in colpa per come mi nutro. Tutto ha il suo posto al mondo. Perfino un coniglio lo sa.
Non sto cercando di farti sentire in colpa, disse Eragon, dandole una pacca sul fianco. È una decisione personale. Non voglio costringere nessuno ad adottare la mia scelta.
Molto saggio, commentò lei con una punta di sarcasmo.
Uova infrante e nido distrutto
Concentrati, Eragon» disse Oromis, con voce paziente. Eragon battè le palpebre e si strofinò gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco i glifi che decoravano il foglio di pergamena davanti a sé. «Mi dispiace, maestro.» La stanchezza lo rallentava come se avesse dei pesi attaccati alle membra. Aguzzò la vista per osservare i glifi curvi e appuntiti, sollevò il calamo di penna d'oca e cominciò a ricopiarli. Attraverso la finestra alle spalle di Oromis, la distesa erbosa in cima alla rupe di Tel'naeir si andava screziando di ombre per il sole morente. In lontananza, brandelli di nuvole rosa striavano il cielo.
La mano di Eragon si contrasse quando una fitta di dolore gli percorse la gamba, e spezzò la punta del calamo, schizzando inchiostro sulla carta. Dall'altro lato del tavolo, anche Oromis trasalì, stringendosi il braccio destro. Saphira! gridò Eragon. Tentò di raggiungerla con la mente, ma con sua sorpresa si trovò ostacolato da una barriera impenetrabile che lei stessa aveva eretto intorno a sé. A stento la percepiva. Era come tentare di afferrare una sfera di liscio granito coperto d'olio. Lei continuava a sfuggirgli.
Eragon guardò Oromis. «È successo qualcosa, vero?»
«Non lo so. Glaedr sta tornando, ma si rifiuta di parlarmi.» Staccando Naegling, la sua spada, dalla parete, Oromis uscì dal capanno e si fermò sul ciglio della rupe, con la testa alzata, in attesa di veder comparire il drago dorato. Eragon lo raggiunse, pensando a tutto quello che poteva essere accaduto a Saphira, il probabile e l'improbabile. I due draghi si erano alzati in volo a mezzogiorno, diretti a nord, in un luogo chiamato la rocca delle Uova Infrante, dove i draghi selvatici dimoravano nei tempi antichi. Era un viaggio facile. Non possono essere stati gli Urgali; gli elfi non li lasciano entrare nella Du Weldenvarden, si disse.
Alla fine scorsero Glaedr come un puntolino nero fra le nubi violette. Mentre scendeva, Eragon vide una ferita sulla zampa anteriore destra del drago, una lacerazione fra le sue squame sovrapposte, grande quanto la mano di Eragon. Sangue scarlatto scorreva nei solchi fra le squame adiacenti.
Nel momento in cui Glaedr toccò terra, Oromis corse verso di lui, ma si fermò quando il drago gli ringhiò contro. Saltellando sulla zampa ferita, Glaedr si rifugiò ai margini della foresta, dove si accovacciò sotto la volta di rami, dando la schiena a Eragon, per leccarsi la ferita.
Oromis si avvicinò e s'inginocchiò sull'erba accanto a Glaedr, tenendosi a distanza con serena pazienza. Era ovvio che avrebbe aspettato tutto il tempo necessario. Eragon si innervosiva sempre di più col passare dei minuti. Alla fine, senza alcun segnale evidente, Glaedr permise a Oromis di avvicinarsi e di ispezionargli la zampa. La magia fluì dal gedwéy ignasia di Oromis quando appoggiò la mano sullo squarcio di Glaedr.
«Come sta?» chiese Eragon, quando Oromis si ritirò.
«Sembra una ferita terribile, ma non è che un graffio per uno come Glaedr.»
«E Saphira? Non riesco ancora a entrare in contatto con lei.»
«Devi andare tu da lei» disse Oromis. «È ferita, ma non soltanto nel fisico. Glaedr mi ha raccontato poco di quanto è successo, ma io ho intuito molto, e ti consiglio di affrettarti.»
Eragon si guardò intorno in cerca di un mezzo di trasporto, e gemette di angoscia nel vedere che non ce n'erano. «Come faccio a raggiungerla? È troppo lontana, non c'è un sentiero, e non posso...»
«Calmati, Eragon. Come si chiamava lo stallone che ti ha portato qui da Silthrim?»
Eragon ci mise qualche istante per ricordare. «Folkvir.»
«Allora chiamalo con la magia. Pronuncia il suo nome e trasmettigli la fretta che hai, nel più potente dei linguaggi, e lui verrà ad aiutarti.»
Lasciando che la magia gli pervadesse la voce, Eragon invocò Folkvir, facendo riecheggiare la sua implorazione fra le colline boscose fino a Ellesméra, con tutta l'urgenza che riuscì a evocare. Oromis annuì, compiaciuto. «Ben fatto.» Una decina di minuti più tardi, Folkvir emerse dai recessi ombrosi della foresta come un fantasma argenteo, scuotendo la criniera e sbuffando di eccitazione. I fianchi dello stallone ansimavano per quanto aveva corso. Saltando in groppa al piccolo cavallo elfico, Eragon disse: «Tornerò appena posso.»
«Fa' quel che devi» rispose Oromis.
Poi Eragon piantò i talloni nei fianchi dello stallone e gridò: «Corri, Folkvir! Corri!» Il cavallo partì al galoppo, addentrandosi nella Du Weldenvarden e facendosi strada con incredibile destrezza fra i pini contorti. Eragon lo guidava verso Saphira con immagini mentali.
In mancanza di una pista nel sottobosco, un cavallo come Fiammabianca avrebbe impiegato tre o quattro ore per raggiungere la rocca delle Uova Infrante. Folkvir coprì la distanza in poco più di un'ora.
Ai piedi del monolito di basalto, che emergeva dalla foresta come un pilastro verde screziato e superava gli alberi di ben oltre cento piedi, Eragon mormorò: «Fermo» poi smontò a terra. Guardò la cima distante della rocca delle Uova Infrante. Saphira era seduta lì.
Camminò intorno al perimetro, in cerca di un modo per scalare il pinnacolo, ma invano, perché la roccia era liscia e inaccessibile: non c'erano fenditure, crepe o altri appigli.
Sarà un problema, pensò.
«Resta qui» disse a Folkvir. Il cavallo lo guardò con i suoi occhi intelligenti. «Pascola, se vuoi, ma resta qui, intesi?» Folkvir nitrì e, col suo muso vellutato, spinse il braccio di Eragon. «Sì, sei stato molto bravo.»
Читать дальшеИнтервал:
Закладка: