Volodyk - Paolini3-Brisingr
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Eragon e Saphira partono da Ellesméra insieme a Orik, dopo aver promesso a Oromis e Glaedr di tornare appena possibile per completare l'addestramento.
Nel frattempo anche Roran, il cugino di Eragon, vive una serie di mirabolanti avventure. Galbatorix ha mandato a Carvahall i Ra'zac e una legione di soldati imperiali per catturarlo al fine di usarlo contro Eragon, ma Roran riesce a fuggire sulla Grande Dorsale. Insieme agli altri abitanti del villaggio cerca di mettere in fuga i soldati, ma parecchi uomini muoiono nel tentativo. Quando Sloan il macellaio - che odia Roran e si oppone al fidanzamento del giovane con sua figlia Katrina - lo tradisce rivelando ai Ra'zac il suo nascondiglio, di notte le ripugnanti creature attaccano il giovane nella sua camera da letto. Con una fuga rocambolesca Roran riesce a mettersi in salvo, ma i Ra'zac rapiscono Katrina.
Roran convince gli abitanti di Carvahall a lasciare il villaggio per cercare asilo dai Varden nel Surda. Si mettono in viaggio verso ovest per raggiungere la costa, dove sperano di poter trovare una nave che li porti nel Surda. Con grande tenacia e coraggio, Roran guida la popolazione oltre il valico della Grande Dorsale fino a Teirm, sulla costa. Nella città portuale incontrano Jeod, che rivela a Roran che Eragon è un Cavaliere e che l'obiettivo della prima missione dei Ra'zac a Carvahall era Saphira. Jeod si offre di aiutare Roran e i suoi compaesani a raggiungere il Surda, dove, una volta al sicuro fra i Varden, Roran potrà contare su Eragon per salvare Katrina. Jeod e gli abitanti di Carvahall si impadroniscono di una nave e fanno vela per il Surda.
Eragon e Saphira arrivano dai Varden, che si stanno preparando alla battaglia. Eragon viene a sapere che l'orfanella a cui ha inflitto il fardello della sua benedizione si chiama Elva e che, sebbene sia ancora molto piccola, ha l'aspetto di una bambina di quattro anni e la voce e il modo di fare di un'adulta. L'incantesimo di Eragon la condanna a sentire il dolore di tutte le persone che vede e la costringe a proteggerle; se si oppone all'impulso, lei stessa ne soffre.
Eragon, Saphira e i Varden si apprestano a combattere le truppe imperiali sulle Pianure Ardenti, una vasta distesa di terra da cui si levano fumi e bagliori dovuti a fuochi di torba sotterranei. La comparsa di un altro Cavaliere in groppa a un drago rosso lascia tutti sgomenti. Il nuovo Cavaliere uccide Rothgar, il re dei nani, e poi ingaggia un selvaggio duello con Eragon e Saphira. Quando Eragon riesce a strappargli via l'elmo, scopre sbigottito che si tratta di Murtagh.
Murtagh non era morto nell'agguato degli Urgali sotto il Farthen Dûr. Erano stati gli infidi Gemelli a ordire la trappola per uccidere Ajihad e catturare Murtagh per portarlo da Galbatorix. Il re ha costretto Murtagh a giurargli fedeltà nell'antica lingua, e ora Murtagh e il suo giovane drago, Castigo, sono schiavi di Galbatorix. Murtagh dichiara che il giuramento non gli permetterà mai di disobbedire al re, anche se Eragon lo implora di abbandonare Galbatorix e di unirsi ai Varden.
Murtagh riesce a sopraffare Eragon e Saphira con una prova di forza inspiegabile, ma alla fine decide di lasciarli liberi in nome della vecchia amicizia. Prima di andarsene, strappa Zar'roc dalle mani di Eragon, sostenendo che gli spetta di diritto in qualità di primogenito di Morzan. Non contento, rivela a Eragon di non essere l'unico figlio di Morzan: Eragon e Murtagh sono fratelli, entrambi figli di Selena, la sposa di Morzan. I Gemelli avevano scoperto la verità scrutando i ricordi di Eragon il giorno stesso che era arrivato nel Farthen Dûr.
Ancora sconvolto per la rivelazione di Murtagh sulle sue origini, Eragon si ritira con Saphira e si unisce a Roran e agli abitanti di Carvahall, giunti sulle Pianure Ardenti appena in tempo per aiutare i Varden a vincere la battaglia. Roran combatte da eroe e uccide i Gemelli.
Alla fine Eragon e Roran fanno pace - Roran riteneva il cugino responsabile indiretto della morte di Garrow - ed Eragon gli giura che lo aiuterà a salvare Katrina dai Ra'zac.
I CANCELLI DELLA MORTE
Eragon scrutava l'oscura torre di pietra, nascondiglio dei mostri che avevano ucciso suo zio Garrow. Era immobile, disteso sul ventre, dietro il crinale di una duna sabbiosa disseminata di fili d'erba, cespugli di rovi e piccoli cactus simili a boccioli di rosa. Gli steli secchi dell'anno prima gli punsero i palmi quando prese a strisciare lento sui gomiti per ottenere una visuale migliore dell'Helgrind, che svettava sulla pianura come un pugnale nero estratto dalle viscere della terra.
Il sole morente proiettava lunghe ombre sinuose sulle basse colline e - a ovest, in lontananza - illuminava la superficie del lago di Leona, trasformando l'orizzonte in una tremolante fascia d'oro.
Eragon sentiva il respiro regolare di suo cugino Roran, disteso al suo fianco, ma l'emissione d'aria, che di norma sarebbe stata impercettibile, risuonava straordinariamente amplificata al suo sviluppatissimo udito, uno dei molti cambiamenti che aveva subito durante l'Agaetí Blödhren, la Celebrazione del Giuramento di Sangue degli elfi.
D'un tratto la sua attenzione fu catturata da una colonna di gente che marciava lenta verso la base dell'Helgrind, con tutta probabilità proveniente da Dras-Leona, a diverse miglia di distanza. In testa alla colonna c'era un drappello di ventiquattro individui fra uomini e donne, coperti da pesanti indumenti di pelle. I componenti del gruppo si muovevano in modo strano, con differenti andature: chi zoppicava, chi si trascinava, chi camminava gobbo, chi si contorceva; alcuni saltellavano sulle grucce o usavano le braccia per spingersi avanti su gambe troppo corte. Eragon notò che a ciascuno dei ventiquattro individui mancava un braccio, o una gamba, o in certi casi tutt'e due le cose. Il capo sedeva impettito su una lettiga portata in spalla da sei schiavi unti d'olio. Un'impresa eccezionale, pensò Eragon, visto che l'uomo o la donna - impossibile distinguere - altro non era che un torso e una testa, su cui poggiava un'ornata cresta di cuoio alta tre piedi.
«I sacerdoti dell'Helgrind» mormorò rivolto a Roran.
«Sanno usare la magia?»
«Può darsi. Non voglio rischiare di esplorare l'Helgrind con la mente finché non se ne vanno, perché se ci sono degli stregoni sentiranno il mio tocco, per quanto leggero, e capiranno che siamo qui.»
Dietro i sacerdoti procedeva una doppia fila di giovani uomini ammantati di stoffe dorate. Ciascuno portava un'intelaiatura di metallo rettangolare suddivisa in dodici barre orizzontali da cui pendevano campane di ferro grosse quanto una rapa. Metà dei giovani scuotevano con vigore lo strumento quando avanzavano col piede destro, generando una straziante cacofonia di note, mentre gli altri lo scuotevano quando avanzavano col piede sinistro, in un clangore di lingue di ferro contro gole di ferro che riecheggiava lugubre per le colline. Gli accoliti accompagnavano i rintocchi delle campane con grida, lamenti e ululati in un'estasi di passione.
Nelle retrovie di quella grottesca processione arrancava una coda di abitanti di Dras-Leona: nobili, mercanti, commercianti, esponenti dei ranghi militari più elevati, e una variegata moltitudine di operai, mendicanti e soldati semplici.
Eragon si domandò se fra di loro ci fosse anche il governatore di DrasLeona, Marcus Tàbor.
I sacerdoti si fermarono sul margine del cumulo di pietrisco franato che orlava l'Helgrind e si disposero su entrambi i lati di un masso color ruggine dalla sommità levigata. Quando tutta la colonna si fu radunata davanti all'altare grezzo, la creatura sulla lettiga si mosse e cominciò a cantilenare con una voce disarmonica quanto i luttuosi rintocchi delle campane. Le declamazioni dello sciamano giungevano spezzate dalle raffiche di vento, ma Eragon colse qualche frase nell'antica lingua - pronunciata in maniera approssimativa o alterata - inframmezzata da parole nella lingua dei nani e in quella degli Urgali, il tutto tenuto insieme da un arcaico dialetto della lingua madre di Eragon. Quel poco che riuscì a capire lo fece rabbrividire, perché il sermone parlava di cose che sarebbe stato meglio lasciare sepolte, di un odio perverso covato per secoli negli oscuri recessi del cuore degli uomini per essere riesumato dopo la scomparsa dei Cavalieri, di sangue e di follia, e di orridi rituali compiuti sotto una luna nera.
Al termine della depravata orazione, due dei sacerdoti di rango inferiore corsero a sollevare dalla lettiga il loro signore - o signora, chi poteva saperlo - per depositarlo sull'altare. A quel punto il Sommo Sacerdote impartì un secco ordine. Due spade gemelle d'acciaio scintillarono come stelle quando si levarono per poi calare di colpo. Un fiotto di sangue sgorgò da ciascuna spalla del Sommo Sacerdote, colò sul torso fasciato di cuoio e inondò il masso prima di spargersi sulla ghiaia.
Altri due sacerdoti si affrettarono a raccogliere il sangue in diversi calici che, riempiti fino all'orlo, distribuirono fra i membri della congregazione, che bevvero avidi.
«Puah!» commentò Roran sottovoce. «Non mi avevi detto che questi stupidi idolatri esaltati e sanguinari erano cannibali.»
«Non è proprio così. Non mangiano la carne.»
Quando tutti si furono bagnati la gola, i servili novizi riportarono il Sommo Sacerdote sulla lettiga e fasciarono le spalle della creatura con bende di lino candido. Grandi corolle rosse sbocciarono sulla stoffa immacolata.
Il Sommo Sacerdote non pareva affatto indebolito dalle ferite, poiché si rivolse ai fedeli dalle labbra lorde di sangue ed esclamò: «Ora siete veramente i miei Fratelli e le mie Sorelle, poiché avete gustato la linfa delle mie vene, qui, all'ombra dell'onnipotente Helgrind. Sangue chiama sangue, e se mai la vostra Famiglia dovesse aver bisogno di aiuto, fate il possibile per la Chiesa e per tutti coloro che riconoscono il potere del nostro Temuto Signore... Per affermare e confermare la nostra devozione al Triumvirato, recitate con me i Nove Giuramenti... In nome di Gorm, Ilda e Angvara il Crudele, giuriamo di rendere omaggio almeno tre volte al mese, nell'ora che precede il crepuscolo, e di offrire parte di noi stessi per soddisfare la fame perenne del nostro Grande e Terribile Signore... Giuriamo di osservare i comandamenti del libro di Tosk... Giuriamo di portare sempre il Bregnir sul nostro corpo e di astenerci dal dodicesimo dei dodici e dal tocco di una corda annodata, affinché non corrompa...»
Il ruggito più forte del vento coprì le parole del Sommo Sacerdote. Poi Eragon vide gli astanti prendere un piccolo coltello ricurvo e incidersi a turno l'incavo del gomito per bagnare l'altare con il proprio sangue.
Qualche minuto dopo, il vento calò ed Eragon udì ancora il sacerdote. «... e le cose che desiderate e bramate vi saranno concesse come ricompensa per la vostra obbedienza... Il rito è concluso. Tuttavia, se fra di voi c'è qualcuno tanto audace da dimostrare la vera forza della sua fede, che si mostri!»
I devoti s'irrigidirono, protesi in avanti con espressioni rapite, come se fosse proprio quello che stavano aspettando.
Per lunghi istanti di silenzio parve che le loro aspettative sarebbero andate deluse, ma poi uno degli accoliti ruppe le righe e gridò: «Eccomi!» Con un ruggito di esultanza, i confratelli presero a scuotere i campanacci a un ritmo così selvaggio e incalzante che la folla cadde preda di una frenesia irresistibile, e tutti cominciarono a saltare e a gridare come forsennati. La musica ossessiva accese una scintilla di eccitazione nel cuore di Eragon
- malgrado la sua repulsione per la scena - risvegliando la sua parte più primitiva e brutale.
Spogliatosi delle vesti dorate fino a restare soltanto con un paio di braghe di pelle, il giovane dai capelli neri balzò in piedi sull'altare, sollevando un ventaglio di gocce cremisi. Con il viso rivolto verso l'Helgrind, cominciò a tremare, come colto da un attacco epilettico, gli spasmi a tempo con i rintocchi crudeli delle campane di ferro. La testa gli ciondolava dal collo, gli angoli della bocca schiumavano, le braccia si agitavano come serpenti irritati. I muscoli gli si ricoprirono di sudore finché non scintillò come una statua di bronzo negli ultimi bagliori del tramonto.
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