Volodyk - Paolini3-Brisingr
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Le campane raggiunsero un ritmo parossistico; ogni nota strideva con l'altra. A quel punto il giovane tese una mano dietro di sé. Un sacerdote gli depose nel palmo l'elsa di uno strumento bizzarro: un'arma a un solo filo, lunga due piedi e mezzo, con il codolo pieno inserito in due guance saldate, una rudimentale guardia crociata e una larga lama piatta che terminava con una svasatura dentellata, vagamente somigliante a un'ala di drago. Era un'arma disegnata per un unico scopo: trapassare armatura, ossa e tendini con la stessa facilità che avrebbe incontrato davanti a un otre pieno d'acqua.
Il giovane la sollevò puntandola verso il picco più alto dell'Helgrind. Poi si lasciò cadere su un ginocchio e, con un grido incoerente, si amputò la mano destra.
Il sangue sprizzò sulle rocce dietro l'altare.
Eragon fece una smorfia e distolse lo sguardo, ma non poté fare a meno di udire le grida strazianti del giovane. In battaglia aveva assistito a molte amputazioni, ma gli sembrava una follia mutilarsi di proposito quando era così facile restare menomati nella vita di tutti i giorni.
I fili d'erba della duna frusciarono quando Roran spostò il peso del corpo, borbottando qualche imprecazione che si smarrì nel folto della sua barba. Poi fu di nuovo silenzio.
Mentre un sacerdote si prendeva cura della ferita del giovane - arrestando l'emorragia con un incantesimo - un novizio liberò due degli schiavi che portavano la lettiga del Sommo Sacerdote, ma solo per incatenarli di nuovo per le caviglie a un anello di ferro infisso nell'altare. Poi gli accoliti estrassero alcuni fagotti da sotto i mantelli e li accatastarono sul terreno, lontano dalla portata degli schiavi.
Conclusa la cerimonia, i sacerdoti e il resto del corteo imboccarono la strada del ritorno a Dras-Leona, continuando a gemere, a cantilenare e a suonare per tutto il tragitto. Il giovane fanatico, adesso monco, arrancava alle spalle del Sommo Sacerdote.
Un sorriso beato gli illuminava il volto.
«Incredibile» disse Eragon, e liberò un sospiro represso non appena la colonna scomparve oltre una collina distante.
«Incredibile cosa?»
«Ho viaggiato fra i nani e gli elfi, ma nulla di quello che ho visto fare loro è lontanamente paragonabile alle stranezze di queste persone, questi umani.»
«Sono dei mostri, tali e quali ai Ra'zac.» Roran indicò l'Helgrind con un cenno del capo. «Adesso puoi scoprire se Katrina è lì dentro?»
«Ci provo. Ma tienti pronto a scappare.»
Eragon chiuse gli occhi e lentamente dilatò la coscienza verso l'esterno, spostandosi dalla mente di un essere vivente all'altro, come rivoli d'acqua che scorrono nella sabbia. Toccò animate comunità di insetti operosi, lucertole e serpenti che si nascondevano fra le rocce calde, diverse specie di uccelli e svariati piccoli mammiferi. Insetti e animali erano affaccendati in previsione della notte imminente: chi si ritirava al sicuro della propria tana, chi, come i predatori notturni, sbadigliava e si stiracchiava per prepararsi alla caccia.
Come tutti gli altri sensi, anche la capacità di Eragon di toccare i pensieri degli altri esseri diminuiva con la distanza. Quando la sua sonda psichica arrivò ai piedi dell'Helgrind, ormai riusciva a percepire soltanto gli animali più grandi, e comunque in maniera assai debole.
Procedeva con cautela, pronto a battere in ritirata se gli fosse capitato di sfiorare le menti dei loro obiettivi: i Ra'zac e i genitori-cavalcature dei Ra'zac, i giganteschi Lethrblaka. Eragon si esponeva così solo perché i Ra'zac non erano capaci di usare la magia, e non credeva che fossero dei frangisenno, nonmaghi addestrati a combattere con la telepatia. I Ra'zac e i Lethrblaka non avevano bisogno di ricorrere a questi mezzi quando il loro alito bastava a tramortire il più robusto degli uomini.
E sebbene la sua indagine incorporea rischiasse di farli scoprire, Eragon, Roran e Saphira dovevano sapere se i Ra'zac avevano imprigionato Katrina
- la fidanzata di Roran - nell'Helgrind, per decidere se la loro sarebbe stata una missione di salvataggio oppure di cattura e interrogatorio.
Eragon frugò a lungo, solerte, in ogni anfratto. Quando tornò in sé, si accorse che Roran lo fissava con l'espressione di un lupo famelico. I suoi occhi grigi ardevano di un misto di rabbia, speranza e angoscia così violento da far pensare che le sue emozioni sarebbero potute esplodere da un momento all'altro per incenerire qualunque cosa nel suo campo visivo, in una vampa di inimmaginabile intensità, capace di sciogliere persino le rocce.
Eragon lo capiva.
Il padre di Katrina, Sloan il macellaio, aveva tradito Roran rivelando ai Ra'zac dove si nascondeva. Quando non erano riusciti a catturarlo, i Ra'zac avevano rapito Katrina dalla Valle Palancar, lasciando gli abitanti di Carvahall al loro destino di morte o schiavitù per mano dei soldati del re Galbatorix. Non potendo inseguire Katrina, Roran era riuscito - appena in tempo - a convincere i suoi compaesani ad abbandonare le loro case e a seguirlo sulla Grande Dorsale, proseguendo via mare lungo la costa finché non si erano uniti alle forze ribelli dei Varden. Le vicissitudini che avevano patito erano state tante, e terribili, ma per quanto complicato, il viaggio aveva fatto sì che Roran ed Eragon si ritrovassero. Eragon sapeva dove si trovava il covo dei Ra'zac e aveva promesso a Roran di aiutarlo a salvare Katrina.
Roran gli aveva spiegato di essere riuscito nell'impresa perché la forza della sua passione lo aveva spinto ad adottare misure estreme temute ed evitate dagli altri, e questo gli aveva permesso di confondere i nemici.
Lo stesso fervore s'impadronì di Eragon.
Si sarebbe gettato nel fuoco senza alcun riguardo per la propria incolumità se qualcuno a lui caro fosse stato in pericolo. Amava Roran come un fratello e, visto che Roran avrebbe sposato Katrina, aveva esteso il suo concetto di famiglia anche a lei. D'altro canto, Eragon e Roran erano gli ultimi eredi della discendenza, poiché Eragon aveva ripudiato ogni legame con il fratello di sangue, Murtagh, e di conseguenza Roran era il suo unico parente; e adesso c'era anche Katrina.
I nobili sentimenti di fratellanza non erano l'unica forza che spronava i due. Un altro obiettivo li ossessionava: la vendetta! Anche se lo scopo principale era strappare Katrina alle grinfie dei Ra'zac, i due guerrieri - uomo mortale e Cavaliere dei Draghi - avevano intenzione di uccidere i mostruosi servitori del re Galbatorix che avevano torturato a morte Garrow, padre di Roran, come un padre per Eragon.
Ecco perché l'informazione ora in possesso del giovane Cavaliere aveva per lui la stessa importanza che aveva per Roran.
«Credo di averla percepita» disse. «Non ne sono del tutto sicuro, perché siamo molto lontani dall'Helgrind e non ho mai toccato la sua mente prima, ma credo che si trovi in quel picco remoto, segregata da qualche parte proprio vicino alla cima.»
«Sta male? È ferita? Maledizione, Eragon, non mi nascondere niente. Le hanno fatto del male?»
«Al momento non soffre. Più di questo non posso dire, perché ci è voluta tutta la mia forza per individuare appena il bagliore della sua coscienza; non sono riuscito a comunicare con lei.» Eragon evitò di dire che aveva percepito anche una seconda persona, sulla cui identità nutriva qualche sospetto e la cui presenza, se confermata, lo preoccupava moltissimo. «Quello che non ho trovato sono i Ra'zac e i Lethrblaka. Può darsi che i Ra'zac mi siano sfuggiti, ma i genitori sono così enormi che la loro energia vitale dovrebbe risplendere con la forza di mille lanterne, come accade con Saphira. A parte Katrina e qualche altro puntino di luce, l'Helgrind è invece nero come un pozzo senza fondo.»
Roran aggrottò la fronte, strinse i pugni e fissò torvo la montagna rocciosa, che cominciava a confondersi con le ombre violacee del crepuscolo. Con voce bassa e atona, come se stesse parlando da solo, disse: «Tanto non ha importanza se hai ragione o se ti sbagli.»
«Come mai?»
«Stanotte non attaccheremo comunque: la notte è il momento in cui i Ra'zac sono più forti, e se per caso si trovano da queste parti, sarebbe da stupidi affrontarli mentre siamo in svantaggio. Giusto?»
«Giusto.»
«Perciò aspettiamo l'alba.» Roran indicò gli schiavi incatenati all'altare insanguinato. «Se allora quei poveri disgraziati saranno scomparsi, sapremo che i Ra'zac sono qui e proseguiremo col nostro piano. Altrimenti malediremo la sfortuna di non averli incontrati, libereremo gli schiavi, salveremo Katrina e torneremo dai Varden con lei prima che Murtagh ci rintracci. In un modo o nell'altro, dubito che i Ra'zac lasceranno a lungo Katrina senza sorveglianza, non se Galbatorix vuole lasciarla in vita per poterla usare contro di me.»
Eragon annuì. Avrebbe voluto liberare subito gli schiavi, ma quel gesto avrebbe messo in allarme i loro nemici. E se i Ra'zac fossero venuti a prendersi la cena, lui e Saphira non sarebbero potuti intervenire comunque. Una battaglia in campo aperto fra un drago e i Lethrblaka avrebbe attirato l'attenzione di ogni uomo, donna e bambino nel raggio di molte leghe. Ed Eragon non credeva che lui, Saphira o Roran sarebbero sopravvissuti se Galbatorix avesse saputo che si trovavano da soli entro i confini del suo impero.
Distolse lo sguardo dai due derelitti. Per il loro bene, spero che i Ra'zac si trovino all'altro capo di Alagaësia o che almeno stanotte non abbiano fame.
Dopo essersi scambiati un tacito cenno, Eragon e Roran cominciarono a strisciare all'indietro dal crinale della duna dove si erano nascosti. Una volta in fondo, si alzarono, si volsero e si misero a correre tenendosi il più chini possibile, tra due file di colline. La leggera depressione si fece sempre più profonda, fino a diventare una stretta gola scavata dalle inondazioni, fiancheggiata da lastre di ardesia.
Mentre procedevano a zigzag fra gli alberi di ginepro che costellavano la gola, Eragon alzò lo sguardo e, tra il folto degli aghi, intravide le prime costellazioni brillare nel cielo notturno, fredde e affilate come schegge di ghiaccio su un drappo di velluto. Poi tornò a guardare il terreno per non inciampare e continuò a correre con Roran verso il loro bivacco più a sud.
INTORNO AL FALÒ
Il piccolo cumulo di braci pulsava come il cuore di una bestia gigantesca. Di tanto in tanto, una venatura di scintille dorate serpeggiava lungo la superficie del legno per poi svanire in una fessura incandescente.
I resti morenti del falò che Eragon e Roran avevano acceso proiettavano una fievole luce rossastra che illuminava un tratto di suolo roccioso, qualche cespuglio grigio piombo, l'indistinta massa di un ginepro poco distante e nient'altro.
Eragon sedeva con i piedi nudi rivolti alle braci per godersi il piacevole calore, la schiena contro le ruvide squame della muscolosa zampa di Saphira. Di fronte, Roran era seduto a cavalcioni su di un vecchio tronco cavo, indurito e sbiancato dal sole e dalle intemperie. Ogni volta che si muoveva, il tronco emetteva un acuto scricchiolio che feriva le orecchie di Eragon.
Nella conca regnava il silenzio. Perfino la brace ardeva senza rumore. Roran aveva raccolto soltanto rami secchi senza nemmeno una bolla di umidità per evitare qualsiasi filo di fumo che occhi indiscreti potessero individuare.
Eragon aveva appena finito di raccontare a Saphira com'era andata la giornata. In genere non aveva bisogno di dirle ciò che aveva fatto, giacché i pensieri, i sentimenti e le altre emozioni fluivano tra di loro come acqua fra le sponde di un lago. Ma in quella circostanza si era reso necessario, dato che Eragon aveva accuratamente schermato la propria mente durante la missione di ricognizione, tranne quando l'aveva usata per esplorare il covo dei Ra'zac.
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