Volodyk - Paolini3-Brisingr
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Giusto. Ma adesso possiamo abbandonare questa noiosa conversazione? Negli ultimi giorni mi sono sfinito a furia di pensare al destino, al futuro, alla giustizia e ad altri cupi argomenti di questo genere. Secondo me le domande filosofiche servono più a confondersi e deprimersi che a migliorare le proprie condizioni di vita. Voltando la testa da una parte e dall'altra, Eragon scrutò la pianura e il cielo, in cerca del familiare scintillio azzurro delle squame di Saphira. Dove sei? Ti sento vicina, ma non ti vedo.
Proprio sopra di te!
Con un ruggito di gioia, Saphira sbucò da una grossa nuvola a diverse centinaia di iarde di altezza e scese in picchiata tenendo le ali aderenti al corpo. Aprì le fauci possenti e sprigionò una vampa di fuoco, che le risalì lungo la testa e il collo come una criniera fiammeggiante. Eragon rise e le tese le braccia. I cavalli della pattuglia che galoppavano verso lui e Arya s'impennarono quando videro e udirono Saphira e sfrecciarono nella direzione opposta mentre i cavalieri cercavano di trattenerli tirandoli per le redini.
«Avevo sperato di poter arrivare all'accampamento senza destare troppa attenzione» disse Arya, «ma avrei dovuto sapere che non si può passare inosservati quando c'è Saphira nei paraggi. Un drago è difficile da ignorare.»
Ti ho sentito, disse Saphira, dispiegando le ali e atterrando con un tonfo poderoso. I muscoli delle cosce e delle spalle s'incresparono di onde mentre assorbivano la potenza dell'impatto. Una forte corrente d'aria investì Eragon, e il terreno gli tremò sotto i piedi. Il giovane Cavaliere fletté le ginocchia per mantenere l'equilibrio. Ripiegando le ali sul dorso, la dragonessa disse: Posso passare inosservata, se voglio. Poi allungò il muso e batté le palpebre, frustrando l'aria con la coda. Ma oggi non voglio passare inosservata! Oggi sono un drago, non un piccione timoroso che cerca di non farsi vedere da un falco.
Quand'è che non sei un drago? chiese Eragon correndo verso di lei. Leggero come una piuma, le balzò sulla zampa per risalire fino alla spalla e poi nell'incavo alla base del collo, il suo rifugio abituale. Si mise a cavalcioni e l'abbracciò, sentendo i muscoli che si alzavano e si abbassavano accompagnando il suo respiro. Sorrise ancora, pervaso da un profondo senso di soddisfazione. Il mio posto è questo: qui con te. Le sue gambe vibrarono quando Saphira mugolò di compiacimento, un rombo profondo seguito da una strana, sottile melodia che lui non conosceva.
«Salute a te, Saphira» disse Arya, ruotando il polso e portando la mano al petto, nel consueto gesto di saluto degli elfi.
Appiattita sul ventre, allungando il collo, Saphira sfiorò Arya sulla fronte con la punta del muso, come aveva fatto quando aveva benedetto Elva nel Farthen Dûr, e disse: Salute a te, älfa-kona. Benvenuta, e che il vento ti accompagni soffiando sotto le tue ali. La dragonessa si rivolse ad Arya con lo stesso tono affettuoso che fino a quel momento aveva usato soltanto con Eragon, come se ormai considerasse l'elfa parte della loro piccola famiglia e Arya meritasse lo stesso rispetto e la stessa intimità che già condividevano loro due. Il suo gesto sorprese Eragon, ma dopo un'iniziale fitta di gelosia, il giovane approvò l'iniziativa del drago. Saphira continuò a parlare. Ti sono riconoscente per aver aiutato Eragon a tornare illeso. Se fosse stato catturato, non so che cosa avrei fatto!
«La tua gratitudine significa molto per me» disse Arya, e s'inchinò. «Quanto a ciò che avresti fatto se Galbatorix avesse catturato Eragon, be', saresti andata a salvarlo, e io ti avrei accompagnata, fosse stato anche nel cuore di Urû'baen!»
Sì, mi piace pensare che ti avrei salvato, Eragon, disse Saphira, voltandosi a guardarlo, ma temo che avrei dovuto consegnarmi all'Impero per farlo, senza pensare alle conseguenze su Alagaësia. Poi scosse la testa e rivoltò un po' di terra con gli artigli. Ah, ma queste sono riflessioni inutili. Sei qui, sano e salvo, ed è questa la realtà. Sprecare la giornata a riflettere sui mali che avrebbero potuto accaderci avvelena la felicità di cui godiamo in questo momento...
Proprio allora una pattuglia si avvicinò al galoppo. Si fermò a trenta iarde di distanza perché i cavalli erano nervosi e i soldati chiesero se potevano scortarli tutti e tre da Nasuada. Uno degli uomini smontò da cavallo per cedere lo stallone ad Arya, e poi tutti insieme si avviarono verso il mare di tende a sud-ovest. Saphira teneva una gradevole andatura dondolante che permise a lei e a Eragon di godere della compagnia reciproca prima di immergersi nel rumore e nel caos che li avrebbero investiti non appena si fossero avvicinati all'accampamento.
Eragon chiese notizie di Roran e Katrina, poi disse: Hai mangiato abbastanza fiori di epilobio? Hai l'alito più forte del solito.
Certo che ne ho mangiati abbastanza. L'hai notato solo perché sei stato via tanti giorni. Il mio odore è proprio quello che deve avere un drago, e ti sarei grata se non facessi più commenti sgradevoli sull'argomento, a meno che tu non voglia ritrovarti per terra. E poi voi umani avete poco da vantarvi, cosini sudati, unti e puzzolenti che non siete altro. Le uniche creature della natura con un odore simile al vostro sono i caproni e gli orsi ibernati. In confronto a quello che vi portate dietro voi, l'odore di un drago è un profumo delizioso come un prato fiorito.
Andiamo, non esagerare. Anche se, disse Eragon, arricciando il naso, dal giorno dell'Agaetí Blödhren ho notato che gli umani tendono a essere un tantino maleodoranti. Ma non puoi mettermi nel mucchio, perché io non sono più del tutto umano.
Può darsi, ma comunque un bel bagno non ti farebbe male!
Mentre attraversavano la pianura, una folla sempre più numerosa si andava radunando intorno a Eragon e Saphira, trasformandosi in una superflua ma impressionante scorta d'onore. Dopo aver passato tanto tempo nelle lande desolate di Alagaësia, la pressione dei corpi, il frastuono delle voci, la tempesta di pensieri ed emozioni non schermati e il confuso movimento di braccia che sventolavano e cavalli che s'impennavano diedero a Eragon l'impressione di essere finito in una marea travolgente.
Il giovane si ritrasse in se stesso, dove il coro dissonante di rumori si ridusse a un remoto sciabordio. Nonostante gli strati protettivi di barriere magiche, percepì l'approssimarsi di dodici elfi che correvano in formazione dall'altra parte dell'accampamento, veloci e agili come linci dagli occhi gialli. Desideroso di fare una buona impressione, Eragon si passò le dita fra i capelli e raddrizzò le spalle, ma irrobustì anche le difese mentali perché nessuno, oltre a Saphira, potesse sentire i suoi pensieri. Gli elfi erano venuti per proteggere lui e Saphira, ma erano prima di tutto fedeli alla regina Islanzadi. Per quanto fosse contento della loro presenza, e dubitasse che la loro innata cortesia consentisse loro di sbirciare nella sua coscienza, Eragon non voleva dare alla regina degli elfi alcuna opportunità di apprendere i segreti dei Varden o di esercitare pressioni su di lui. Se Islanzadi avesse potuto strapparlo a Nasuada, lo avrebbe fatto. Gli elfi non si fidavano degli umani, non dopo il tradimento di Galbatorix, e per questa e altre ragioni era sicuro che la regina avrebbe preferito avere lui e Saphira sotto il suo diretto comando. E di tutti i sovrani e i capi militari che aveva conosciuto, Islanzadi era quella di cui Eragon si fidava meno. Era troppo autoritaria ed elusiva.
I dodici elfi si fermarono davanti a Saphira. S'inchinarono e fecero con la mano il loro tipico gesto di cortesia, poi, uno per uno, si presentarono con la tradizionale frase iniziale del saluto elfico; Eragon rispose con la consueta formula. Quello che doveva essere il capo, un elfo alto e affascinante, con il corpo ricoperto da una pelliccia blu notte, annunciò lo scopo della loro missione davanti a tutti i presenti e chiese formalmente a Eragon e Saphira se potevano assumere l'incarico.
«Concesso» disse Eragon.
Concesso, disse Saphira.
Eragon domandò: «Blödhgarm-vodhr, ci siamo per caso già visti all'Agaetí Blödhren?» Ricordava infatti di aver visto un elfo con una pelliccia simile danzare fra gli alberi durante i festeggiamenti.
Blödhgarm sorrise, mostrando una chiostra di zanne ferine. «Credo che tu abbia visto mia cugina Liotha. Abbiamo molti tratti in comune, anche se la sua pelliccia è marrone e screziata, mentre la mia è blu scuro.»
«Avrei giurato che eri tu.»
«Purtroppo in quei giorni ero impegnato e non ho potuto prendere parte alla cerimonia. Forse ne avrò l'opportunità la prossima volta, fra cento anni.»
Non ti sembra, disse Saphira a Eragon, che abbia un buonissimo odore?
Eragon fiutò l'aria. Non sento niente. E lo sentirei, se ci fosse qualcosa di particolare.
Strano. La dragonessa gli trasmise tutta la gamma di aromi che aveva percepito, e all'improvviso Eragon capì che cosa intendeva. Un forte odore muscoso lo avvolse come una nuvola densa e inebriante, un tiepido aroma di fumo che conteneva tracce di ginepro frantumato e che faceva fremere le narici di Saphira. Tutte le donne dei Varden sembrano invaghite di lui, disse la dragonessa. Lo seguono ovunque vada, smaniose di parlargli, ma sono così timide che quando lui le guarda non riescono a far altro che squittire.
Magari soltanto le femmine riescono a sentire il suo odore. Eragon scoccò un'occhiata preoccupata ad Arya. Su di lei però non sembra avere effetto.
Arya è protetta dalle influenze magiche.
Lo spero... Credi che dovremmo fermare Blödhgarm? Il suo è un sotterfugio subdolo per conquistare il cuore di una donna.
Più subdolo che adornarsi di abiti eleganti per attirare lo sguardo dell'amato? Blödhgarm non si è approfittato delle donne che ha ammaliato, e mi sembra improbabile che abbia composto le note del suo profumo per attirare le donne umane in particolare. Credo invece che sia una conseguenza involontaria e che il suo aroma abbia tutto un altro scopo. A meno che non superi i limiti della decenza, credo che non dovremmo interferire.
E Nasuada? Non è vulnerabile al suo influsso?
Nasuada è una donna saggia e accorta. Si è fatta circondare da un incantesimo di difesa evocato da Trianna per non soccombere al fascino di Blödhgarm.
Bene.
Quando arrivarono alle tende, la folla crebbe a tal punto da dare l'impressione che mezza popolazione Varden si fosse radunata intorno a Saphira. Eragon alzò la mano verso la folla che lo acclamava: «Argetlam!» e «Ammazzaspettri!», mentre altri gridavano: «Dove sei stato, Ammazzaspettri? Raccontaci le tue avventure!» Altri ancora lo chiamarono Sterminatore di Ra'zac, e l'appellativo gli piacque a tal punto che lo ripeté quattro volte sottovoce. La gente invocava benedizioni sulla sua salute e quella di Saphira, lo invitava a cena, gli offriva oro e gioielli, e qualcuno gli fece particolari richieste di aiuto: guarire un figlio nato cieco, rimuovere un tumore che stava uccidendo una moglie, sanare la zampa rotta di un cavallo o addirittura riparare una spada piegata al grido di: «Era di mio nonno!» Due volte una voce di donna si levò dalla folla dicendo: «Ammazzaspettri, vuoi sposarmi?» Eragon si guardò intorno, ma non riuscì a capire chi aveva parlato.
In quel delirio, i dodici elfi restavano impassibili. Sapere che stavano guardando quello che lui non poteva vedere e ascoltando quello che lui non poteva sentire era un conforto, e gli consentiva di intrattenersi con i Varden ammassati con una tranquillità di cui in passato non aveva mai goduto.
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