Volodyk - Paolini3-Brisingr

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«Ma niente di tutto questo spiega perché non dovrei ordinare a Trianna di abbandonare la negromanzia.»

«L'hai mai vista evocare gli spiriti?»

«No.»

«Appunto. Trianna è con i Varden da sei anni, e in tutto questo tempo ha dimostrato la sua padronanza della stregoneria soltanto una, dico una volta. E solo dopo molte insistenze di Ajihad e molta preoccupazione e preparazione da parte sua. Ha le capacità, non è una ciarlatana, ma evocare gli spiriti è troppo pericoloso, e non ci si avventura in un'impresa simile a cuor leggero.»

Eragon si massaggiò il palmo luccicante con il pollice sinistro. La sfumatura di colore cambiò quando il sangue affluì in superficie, ma i suoi sforzi non servirono a ridurre la quantità di luce irradiata dalla sua mano. Si grattò il gedwëy ignasia con le unghie. Sarà meglio che scompaia nel giro di qualche ora. Non posso risplendere come una lanterna. Mi farei uccidere. Ed è anche ridicolo. Chi ha mai sentito parlare di un Cavaliere dei Draghi con una parte del corpo sfolgorante?

Rifletté su quanto gli aveva detto Brom. «Non sono spiriti umani, vero? E non appartengono nemmeno agli elfi, ai nani, o a nessuna altra creatura. Voglio dire, non sono fantasmi. Non diventiamo come loro, dopo morti.»

«No. E per favore non chiedermelo, perché già so dove vuoi andare a parare. Vuoi sapere che cosa sono, ma è una risposta che dovrai ottenere da Oromis, non da me. Lo studio della negromanzia, se fatto come si deve, è un lavoro lungo e arduo, e dovrebbe essere affrontato con la massima prudenza. Non voglio dire niente che possa interferire con le lezioni che Oromis ha stabilito per te, e di certo non voglio che tu corra il rischio di farti del male cercando di mettere in pratica qualcosa che ti ho detto quando manchi ancora della dovuta istruzione.»

«E quando tornerò a Ellesméra?» chiese lui. «Non posso lasciare di nuovo i Varden, non adesso, non mentre Castigo e Murtagh sono ancora vivi. Finché non sconfiggeremo l'Impero, o l'Impero sconfiggerà noi, io e Saphira dovremo aiutare Nasuada. Se Oromis e Glaedr vogliono davvero completare il nostro addestramento, allora dovrebbero raggiungerci, e addio Galbatorix!»

«Ti prego, Eragon» disse lei. «Questa guerra non finirà presto come credi. L'Impero è vasto, e noi non abbiamo fatto altro che punzecchiargli la pelle. Finché Galbatorix non sa dell'esistenza di Oromis e Glaedr, abbiamo un vantaggio.»

«È un vantaggio il fatto che non si mostrino mai?» mugugnò lui. Arya non rispose e, dopo un istante, Eragon si sentì infantile per essersi lamentato. Oromis e Glaedr volevano distruggere Galbatorix più di chiunque altro, e se avevano scelto di nascondersi a Ellesméra avevano le loro ottime ragioni. Eragon stesso ne conosceva parecchie, compresa la più importante: l'incapacità di Oromis di evocare incantesimi che richiedessero molta energia.

Infreddolito, Eragon si abbassò le maniche fin sulle mani e incrociò le braccia. «Che cos'hai detto allo spirito?»

«Voleva sapere perché abbiamo usato la magia; ecco che cosa li ha attirati. Gliel'ho spiegato, e ho spiegato loro anche che tu eri quello che ha liberato gli spiriti intrappolati dentro Durza. Ne sono stati molto contenti.» Una pausa di silenzio, poi Arya si spostò verso il giglio e lo toccò ancora. «Oh!» esclamò. «Sono stati molto riconoscenti. Naina!»

Al suo comando, una pioggia di luce soffusa illuminò il bivacco. Eragon vide allora che la foglia e lo stelo del giglio erano diventati d'oro massiccio, i petali di un metallo bianco che non conosceva, e il cuore del fiore, come Arya rivelò inclinando la corolla, era fatto di rubini e diamanti. Stupefatto, Eragon fece scorrere un dito sulla foglia ricurva, e la sottile peluria metallica lo solleticò. Proteso in avanti, scorse la stessa collezione di escrescenze, solchi, forellini, venature e altri minuscoli dettagli con cui aveva adornato la versione originale della pianta; con l'unica differenza che adesso erano d'oro.

«È una copia perfetta!» commentò.

«Ed e ancora vivo.»

«È impossibile!» Eragon si concentrò per cercare qualche debole traccia di calore e movimento che gli confermasse che il giglio non era soltanto un oggetto inanimato. Ne trovò diverse, intense come sempre in una pianta durante le ore notturne. Accarezzando di nuovo la foglia, disse: «Questo va al di là di ogni mia conoscenza della magia. Secondo ogni logica, questo fiore dovrebbe essere morto. Invece è vivo e vegeto. Non so nemmeno immaginare che cosa sia necessario per trasformare una pianta in metallo vivente. Forse Saphira potrebbe farlo, ma non sarebbe mai capace di insegnare l'incantesimo a qualcun altro.»

«La vera domanda» disse Arya «è se questo fiore produrrà semi fertili.»

«Può riprodursi?»

«Non mi sorprenderebbe. In tutta Alagaësia esistono numerosi esempi di magia autoperpetrante, come il cristallo flottante sull'isola di Eoam e il pozzo dei sogni nelle Grotte di Mani. Quello a cui abbiamo appena assistito non sarebbe un fenomeno più improbabile di questi altri due.»

«Purtroppo se qualcuno scoprisse questo fiore o i suoi discendenti li coglierebbe tutti. Ogni cercatore di tesori del paese verrebbe qui a sradicare i gigli d'oro.»

«Non credo che siano tanto facili da distruggere, ma soltanto il tempo potrà dirlo.»

All'improvviso Eragon si sentì travolgere da un accesso d'ilarità. Contenendo a stento la risata, disse: «Avevo sentito l'espressione "indorare il giglio" quando uno vuol dire che si sciupa qualcosa con ornamenti inutili, ma gli spiriti l'hanno fatto davvero! Hanno indorato il giglio!» E scoppiò a ridere, lasciando che la sua voce rimbombasse in tutta la pianura.

Arya arricciò le labbra. «Be', le loro intenzioni erano nobili. Non possiamo incolparli di non conoscere i modi di dire umani.»

«No, ma... oh, ha, ha, ha!»

Arya fece schioccare le dita e la pioggia di luce svanì. «Abbiamo parlato quasi tutta la notte. È ora di riposare. L'alba è vicina, e dobbiamo partire al sorgere del sole.»

Eragon si distese su una macchia di terra priva di sassi e continuò a ridere mentre scivolava in un sonno vigile.

UN BAGNO DI FOLLA

Era metà pomeriggio quando finalmente arrivarono in vista dei Varden. Eragon e Arya si fermarono sulla cresta di una bassa collina e studiarono l'immensa città di tende grigie che si estendeva davanti a loro, brulicante di migliaia di uomini, cavalli e falò accesi. A ovest delle tende serpeggiava il fiume Jiet, fiancheggiato di alberi. A mezzo miglio verso est c'era un altro accampamento più piccolo, simile a un'isoletta appena al largo del continente da cui si è staccata, che ospitava gli Urgali guidati da Nar Garzhvog. Nel raggio di parecchie miglia intorno si muovevano numerosi gruppi di uomini a cavallo. Erano pattuglie di vigilanti, messaggeri con i vessilli, squadre di incursori che partivano o tornavano da una missione. Due delle pattuglie individuarono Eragon e Arya e, dopo aver suonato i corni di segnalazione, si lanciarono verso di loro al galoppo sfrenato.

Il volto di Eragon s'illuminò di un sorriso trionfante, e il giovane Cavaliere si mise a ridere, sollevato. «Ce l'abbiamo fatta!» esclamò. «Murtagh, Castigo, centinaia di soldati, combriccole di stregoni, i Ra'zac... nessuno è riuscito a prenderci. Ha! Che bello scherzetto per il re. Gli si arriccerà la barba quando lo verrà a sapere.»

«Allora diventerà due volte più pericoloso» lo ammonì Arya. «Lo so» disse lui, con uno ghigno sempre più ampio. «Magari si arrabbierà tanto da dimenticare di pagare le truppe, i suoi soldati getteranno l'uniforme alle ortiche e si uniranno ai Varden.»

«Sei di ottimo umore, oggi.»

«E perché non dovrei?» ribatté lui. Alzandosi in punta di piedi, spalancò la mente il più possibile e con tutte le sue forze gridò Saphira!, scagliando il pensiero sulla pianura come una lancia.

La risposta non si fece attendere.

Eragon!

Si abbracciarono con la mente, accarezzandosi con ondate di affetto, gioia e premura. Si scambiarono ricordi del periodo trascorso separati, e Saphira consolò Eragon per i soldati che aveva ucciso, purificandolo dal dolore e dalla rabbia accumulati dal giorno dello scontro. Eragon sorrise. Con Saphira così vicina, tutto nel mondo gli sembrava tornare al suo posto.

Mi sei mancata, disse.

Anche tu, piccolo mio, disse lei. Poi gli inviò un'immagine dei soldati che lui e Arya avevano combattuto e aggiunse: Ogni volta che ti lascio ti cacci nei guai. Sempre! Detesto quando siamo costretti a separarci perché ho sempre paura che ti succeda qualcosa nel momento stesso in cui ti tolgo gli occhi di dosso.

Sii giusta: mi ritrovo in un mare di guai anche quando sono con te. Non mi succede soltanto se rimango solo. Siamo come calamite che attirano eventi imprevisti.

No, tu sei una calamita per eventi imprevisti, sbuffò lei. A me non succede niente di straordinario quando sto da sola. Ma tu attiri duelli, agguati, nemici immortali, creature oscure come i Ra'zac, membri della famiglia da tempo perduti e misteriosi incantesimi, quasi fossero lupi affamati e tu un coniglio che si aggira davanti alla loro tana.

E il tempo che hai trascorso nelle grinfie di Galbatorix? Anche quello è stato un evento normale?

Non ero ancora nata, obiettò lei. Quello non vale. La differenza fra te e me è che a te le cose succedono, mentre io le faccio succedere.

Può darsi, ma è perché sto ancora imparando. Dammi qualche anno e diventerò bravo quanto Brom, ci scommetti? Non puoi dire che non ho preso l'iniziativa con Sloan.

Mmh. Di questo dobbiamo ancora parlare. Se mi cogli di sorpresa a quel modo un'altra volta, ti inchiodo per terra e ti lecco dalla testa ai piedi.

Eragon rabbrividì. La lingua di Saphira era ricoperta di barbigli uncinati che avrebbero potuto strappare a un cervo peli, pelle e carne con una sola passata. Lo so, ma non sapevo nemmeno io se avrei ucciso Sloan o se lo avrei lasciato libero fino a quando non me lo sono trovato davanti. Per di più, se ti avessi detto che volevo restare, avresti cercato di fermarmi.

Eragon percepì un ringhio potente tuonare nel petto della dragonessa. Saphira disse: Avresti dovuto fidarti di me. Se non possiamo parlare apertamente, come possiamo essere davvero drago e Cavaliere?

E quindi la cosa giusta da fare era che tu mi trascinassi via dall'Helgrind senza badare ai miei desideri?

No, forse no, rispose lei, sulla difensiva.

Eragon sorrise. Comunque hai ragione. Avrei dovuto discutere il mio piano con te. Mi dispiace. Da adesso in poi ti prometto che ti consulterò prima di fare qualunque cosa. D'accordo?

Solo se riguarda armi, magia, re o familiari, rispose lei.

O fiori.

O fiori, convenne lei. Non ho bisogno di sapere se decidi di mangiare pane e formaggio nel cuore della notte.

A meno che non ci sia un uomo con un lungo coltello che mi aspetta fuori dalla tenda.

Se non riuscissi a difenderti da un uomo solo con un lungo coltello, allora saresti proprio un ben misero Cavaliere.

Per non dire un Cavaliere morto.

Be'...

Secondo i tuoi ragionamenti, dovrei sentirmi sollevato al pensiero che pur attirando su di me le peggiori sventure sono perfettamente capace di sfuggire a situazioni in cui la maggior parte della gente soccomberebbe.

Anche i guerrieri più valorosi possono cadere sotto i colpi della sfortuna, disse la dragonessa. Ricordi il re dei nani Kaiga, che fu ucciso da un novellino... un nanovellino... quando inciampò su un sasso? Dovresti sempre essere prudente perché per quanto tu sia valoroso non puoi anticipare e prevenire ogni fatalità che il destino ti riserva.

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