Volodyk - Paolini3-Brisingr
- Название:Paolini3-Brisingr
- Автор:
- Жанр:
- Издательство:неизвестно
- Год:неизвестен
- ISBN:нет данных
- Рейтинг:
- Избранное:Добавить в избранное
-
Отзывы:
-
Ваша оценка:
Volodyk - Paolini3-Brisingr краткое содержание
Paolini3-Brisingr - читать онлайн бесплатно полную версию (весь текст целиком)
Интервал:
Закладка:
«Ti sono debitore» rispose Roran, ricambiando il sorriso. «Grazie. Adesso vado a dare la notizia a Katrina, poi faremo il possibile per organizzare il banchetto di nozze. Appena l'avremo decisa, ti farò sapere l'ora esatta.»
«Perfetto.»
Roran si incamminò verso la sua tenda, poi si voltò e lanciò le braccia in alto, come se volesse stringersi al petto il mondo intero. «Eragon, mi sposo!»
Eragon scoppiò a ridere e gli fece un cenno di saluto con la mano. «Muoviti, pazzo che non sei altro. Katrina ti sta aspettando.»
Non appena il cugino fu rientrato nella sua tenda, Eragon si arrampicò su Saphira. «Blödhgarm» chiamò. Silenzioso più di un'ombra, l'elfo scivolò alla luce, gli occhi gialli che brillavano come brace. «Io e Saphira andiamo a fare un voletto. Ci vediamo dopo, da me.»
«Come vuoi, Ammazzaspettri» rispose Blödhgarm, chinando il capo.
Poi Saphira dispiegò le immense ali, fece tre passi di corsa e si lanciò sopra la fila di tende, sferzandole col gran vento sollevato dal battito. I movimenti del suo corpo scossero Eragon, che per non cadere si aggrappò alla punta cervicale della dragonessa. Saphira salì a spirale finché l'accampamento illuminato si ridusse a un insignificante fazzoletto di luce, minuscolo rispetto al paesaggio buio che lo circondava. Rimasero lassù, fluttuando tra terra e cielo, dove tutto era silenzio.
Eragon posò la testa sul collo della dragonessa e guardò la scintillante striscia di polvere che attraversava il cielo.
Riposa, se vuoi, piccolo mio, disse Saphira, non ti lascerò cadere.
Ed Eragon scivolò nel suo sonno vigile, ma fu assalito dalle visioni: una città di pietra, dal perimetro circolare, che sorgeva in mezzo a una pianura infinita, e una bambina che vagava tra i tortuosi vicoli angusti cantando una melodia ossessiva.
La notte si trascinava lenta verso il mattino.
INTRECCIO DI SAGHE
Passata da poco l'alba, Eragon era seduto sulla branda a oliare l'usbergo di maglia, quando uno degli arcieri dei Varden venne a implorarlo di salvare sua moglie, afflitta da un tumore maligno. Benché mancasse meno di un'ora all'appuntamento con Nasuada, Eragon accettò e accompagnò l'uomo alla sua tenda. Trovò la donna molto indebolita dalla crescita della massa tumorale e dovette fare appello a tutti i suoi poteri per estrarre le insidiose propaggini della malattia dalla carne. Per lo sforzo si ritrovò spossato, ma fu felice di essere riuscito a salvare quella donna da una morte lunga e dolorosa.
Poi raggiunse Saphira fuori e rimase con lei qualche minuto, accarezzandole i muscoli vicino alla base del collo. La dragonessa faceva le fusa, ondeggiava la coda sinuosa e torceva la testa e le spalle così che Eragon potesse raggiungere più facilmente la pelle liscia. Mentre eri occupato con l'arciere, altre persone sono venute a chiederti udienza, ma Blödhgarm e i suoi li hanno allontanati perché le loro richieste non erano urgenti, gli disse.
Davvero? Le infilò le dita sotto il bordo di una delle grosse squame che aveva sul collo e grattò con più forza. Forse dovrei fare come Nasuada.
Cioè?
Il sesto giorno di ogni settimana, dal mattino fino a mezzodì, la regina riceve chiunque abbia richieste o dispute da sottoporre alla sua attenzione. Potrei fare la stessa cosa.
Bella idea, rispose Saphira. Solo che dovrai stare attento a non sprecare troppa energia per dar retta alle persone. Dobbiamo essere pronti a combattere contro l'Impero da un momento all'altro. Poi gli spinse il collo contro la mano, facendo ancora più forte le fusa.
Mi serve una spada, le disse Eragon.
E allora trovane una.
Mmm...
Eragon continuò a coccolarla finché Saphira non si scostò e disse: Se non ti sbrighi, arriverai in ritardo all'appuntamento con Nasuada.
Si avviarono verso il centro dell'accampamento e il padiglione rosso. Non era molto distante, così la dragonessa decise di camminare insieme a lui invece di librarsi tra le nuvole.
A un centinaio di metri dal padiglione si imbatterono in Angela l'erborista. Era inginocchiata tra due tende e indicava un quadrato di pelle disteso su una roccia bassa e piatta su cui giaceva un mucchio disordinato di ossi lunghi un dito, ogni lato marchiato con un simbolo diverso: erano gli ossi di zampa di drago con cui gli aveva predetto il futuro a Teirm.
Di fronte a lei c'era una donna alta e con le spalle larghe, la pelle abbronzata e segnata dalle intemperie, i capelli neri raccolti in una lunga e folta treccia che le ricadeva sulla schiena, il viso ancora grazioso nonostante le profonde rughe che gli anni le avevano scolpito intorno alla bocca. Indossava un abito rosso scuro che le stava piccolo, tanto che le maniche erano corte e le lasciavano scoperta gran parte degli avambracci. Attorno a ogni polso aveva una benda di tela nera, ma quella sul sinistro si era allentata, e le era scivolata fino al gomito; Eragon poté così scorgere spessi strati di cicatrici, provocate di sicuro dal continuo sfregamento di un paio di manette. Intuì che doveva essere stata rapita dai nemici e che si era ribellata, lacerandosi i polsi fino all'osso. Si domandò se era una criminale o una schiava, e al pensiero che qualcuno potesse essere così crudele da permettere a un prigioniero sotto la propria custodia di ferirsi a quel modo, benché da solo, si incupì.
Accanto alla donna c'era una ragazza dall'aria seria, la cui bellezza da adolescente stava sbocciando in un'avvenenza più matura. I muscoli degli avambracci erano insolitamente sviluppati, come se fosse stata l'apprendista di un fabbro o di uno spadaccino, cosa piuttosto improbabile per una ragazza, per quanto forte potesse essere.
Angela aveva appena finito di dire loro qualcosa quando Eragon e Saphira si fermarono dietro la strega dai capelli ricci. Con un solo gesto, Angela raccolse gli ossi nel lembo di pelle e li ripose sotto la fascia gialla che aveva in vita. Si rialzò e rivolse ai due un sorriso radioso. «Però, che tempismo impeccabile! A quanto pare, arrivate sempre quando il pendolo del destino comincia a muoversi.»
«Il pendolo del destino?» domandò Eragon.
Angela fece spallucce. «Be', allora? Non è che mi possa inventare sempre chissà quale novità.» Indicò con un cenno le due sconosciute, che nel frattempo si erano alzate, e disse: «Eragon, concederai loro la tua benedizione? Hanno affrontato molti pericoli e davanti a loro si apre un cammino irto di difficoltà. Sono certa che ti saranno grate per qualunque protezione riceveranno da un Cavaliere dei Draghi come te.»
Eragon esitò. Sapeva che di rado Angela leggeva gli ossi di drago a chi richiedeva i suoi servigi - di solito solo a coloro con cui Solembum si degnava di parlare - perché una previsione di quel genere non era un numero di magia da ciarlatani ma una predizione in piena regola, in grado di svelare i misteri del futuro. Che avesse deciso di farlo per la bella donna con le cicatrici ai polsi e per la ragazza con gli avambracci da schermidore gli fece capire che erano due persone di spicco, che avevano o avrebbero avuto un ruolo importante nella costruzione della futura Alagaësia. A conferma dei suoi sospetti, scorse Solembum nella forma di un gattone con enormi orecchie pelose nascosto dietro una tenda vicina, intento a osservare la scena con enigmatici occhi gialli. Tuttavia Eragon era titubante, perseguitato dal ricordo della prima e unica benedizione che aveva impartito: a causa della sua scarsa familiarità con l'antica lingua aveva deviato il normale corso della vita di una bambina innocente.
Saphira, chiamò.
La dragonessa fece schioccare la coda. Non essere così restio. Hai imparato la lezione dai tuoi errori, non ne commetterai altri. Perché trattenerti dall'elargire la tua benedizione a chi potrebbe trarne vantaggio? Fallo, e stavolta fallo come si deve.
«Come vi chiamate?» domandò Eragon.
«Se non ti dispiace, Ammazzaspettri, i nomi hanno un potere, e preferiremmo che i nostri restassero segreti» rispose la donna alta e bruna, con un lieve accento di cui lui non riconobbe la provenienza. Teneva lo sguardo appena inclinato verso il basso, ma il tono di voce era fermo e inflessibile. La ragazza trattenne il respiro, sconvolta da tanta sfacciataggine.
Eragon annuì, né turbato né sorpreso, benché la reticenza della donna avesse solleticato ancora di più la sua curiosità. Gli sarebbe piaciuto sapere come si chiamavano, ma non era indispensabile. Si levò il guanto destro e posò il palmo sulla fronte calda della donna, che al contatto trasalì, ma non si ritrasse. Le si dilatarono le narici, gli angoli della bocca si assottigliarono e aggrottò le sopracciglia. Eragon la sentì tremare, come se il suo tocco le provocasse dolore e stesse combattendo contro l'istinto di scansargli il braccio. Eragon avvertì che Blödhgarm si stava avvicinando furtivo, pronto ad avventarsi sulla donna nel caso che si fosse rivelata ostile.
Sconcertato da quella reazione, Eragon fece breccia nella barriera della propria mente, si immerse nel flusso di magia e, con il potere dell'antica lingua, disse: «Atra guliä un ilian tauthr ono un atra ono waíse sköliro fra rauthr.» Infondendo energia alla frase, come se fossero le parole di un incantesimo, era certo che avrebbe modificato il corso degli eventi e di conseguenza migliorato il destino della donna. Fece attenzione a limitare la quantità di energia trasferita nella benedizione, perché altrimenti un incantesimo di quel genere gli avrebbe consumato il corpo fino a prosciugarne tutta la vitalità, lasciando solo un involucro vuoto. Nonostante la cautela, dissipò molte più energie del previsto; gli si annebbiò la vista e le gambe presero a tremare, minacciando di cedere.
Un momento dopo si riprese.
Fu con un senso di sollievo che tolse la mano dalla fronte della donna, e gli parve che lei ne fosse altrettanto felice, perché indietreggiò e si strofinò le braccia. Ebbe l'impressione che cercasse di ripulirsi da qualche sudicia sostanza.
Poi Eragon ripeté il procedimento con la ragazza. Mentre l'incantesimo veniva pronunciato, le si distese il viso come se sentisse la sua forza diventare parte del proprio corpo. Alla fine gli fece un inchino. «Grazie, Ammazzaspettri. Ti siamo debitrici. Spero che tu riesca a sconfiggere Galbatorix e l'Impero.»
Poi si voltò e fece per andarsene, ma si fermò non appena Saphira grugnì e protese la testa oltre Eragon e Angela, soffermandosi su di lei e sulla compagna. La dragonessa piegò il collo, alitò prima sul viso della donna e poi su quello della ragazza e, proiettando i propri pensieri con tanta forza da superare ogni barriera salvo le più solide - lei ed Eragon, infatti, avevano notato che la donna aveva una mente difficile da penetrare - disse: Buona caccia, creature della foresta. Possa il vento sospingere le vostre ali, possa il sole splendere sempre alle vostre spalle e possiate catturare le vostre prede cogliendole alla sprovvista. E tu, Occhi di Lupo, spero che quando troverai colui che ti ha mozzato le zampe nelle sue trappole tu non lo uccida subito.
Non appena Saphira cominciò a parlare, entrambe le donne si irrigidirono. Poi la più anziana si batté un pugno sul petto e disse: «Non accadrà, o Leggiadra Cacciatrice.» Infine si inchinò ad Angela e le disse: «Lavora sodo, colpisci per prima, Veggente.»
«Salute, Cantalama.»
Con un fruscio di sottane, le due donne si allontanarono e presto sparirono nel dedalo delle tende grigie.
Stavolta niente segni sulla fronte? chiese Eragon a Saphira.
Elva è un'eccezione. Non marchierò più nessuno così. Ciò che accadde nel Farthen Dûr... be', ormai è acqua passata. È stato l'istinto a guidarmi. Più di questo non posso spiegarti.
Читать дальшеИнтервал:
Закладка: