Volodyk - Paolini3-Brisingr
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Lo fece fermare di fronte a una tenda. Dentro risplendeva la luce di mille candele e risuonava una moltitudine di voci incomprensibili. «È giunto il momento di rituffarci nel pantano della politica. Preparati.»
Quando Nasuada scostò il lembo di stoffa all'ingresso, una folla di persone gridò: «Sorpresa!» ed Eragon ebbe un sussulto. In mezzo alla tenda dominava un ampio tavolo sostenuto da cavalletti e traboccante di cibo, a cui erano seduti Roran, Katrina e una ventina di abitanti di Carvahall, tra cui Horst e la sua famiglia, Angela l'erborista, Jeod e la moglie Helen e diverse altre persone che Eragon non conosceva ma che avevano tutta l'aria di essere marinai. Cinque o sei bambini che stavano giocando per terra accanto al tavolo si bloccarono di colpo e fissarono Eragon e Nasuada a bocca aperta, quasi incapaci di decidere quale tra le due strane figure meritasse di più la loro attenzione.
Sopraffatto, Eragon fece un gran sorriso. Prima che gli venisse in mente qualcosa da dire, Angela levò il boccale e lo invitò: «Be', non startene lì impalato! Vieni a sederti. Muoio di fame!»
Scoppiarono a ridere tutti e Nasuada trascinò Eragon verso le due sedie libere vicino a Roran. Eragon la aiutò a prendere posto, poi si sedette e le chiese: «Hai organizzato tu tutto questo?»
«Roran mi ha suggerito chi invitare, ma... sì, è stata un'idea mia. Come puoi vedere ho aggiunto di mia iniziativa qualche nome alla lista degli ospiti.»
«Grazie» rispose umilmente Eragon. «Grazie davvero.»
Vide Elva seduta a gambe incrociate in fondo alla tenda, sulla sinistra, con un piatto in grembo. Gli altri bambini la evitavano - non che avessero molto in comune, si disse - e nemmeno gli adulti, tranne Angela, sembravano a proprio agio in sua presenza. La bambina minuta con le spalle spioventi alzò il capo e lo guardò da dietro la frangetta nera con quei suoi terribili occhi viola, poi scandì due mute parole, forse: "Salve, Ammazzaspettri."
"Salve, Veggente" rispose lui allo stesso modo muto. Le piccole labbra rosa di Elva si distesero in un sorriso che sarebbe stato affascinante non fosse stato per le feroci orbite ardenti che lo sovrastavano.
All'improvviso il tavolo tremò, i piatti presero a tintinnare e le pareti della tenda si gonfiarono. Eragon si aggrappò ai braccioli della sedia. Contro la parete di fondo si profilò uno strano rigonfiamento, poi fece capolino Saphira. Carne! esclamò. Sento odore di carne!
Nelle ore che seguirono, Eragon si smarrì in un vortice confuso di cibo e bevande, e godette il piacere della buona compagnia. Gli sembrava di essere tornato a casa. Il vino scorreva a fiumi, e dopo averne scolate un paio di coppe gli abitanti del villaggio dimenticarono ogni deferenza e lo trattarono come uno di loro, il dono più grande che potessero fargli. Si dimostrarono altrettanto generosi con Nasuada, ma si trattennero dal rivolgerle battute di spirito, come invece facevano a volte con Eragon. Via via che le candele si consumavano, un pallido fumo colmò la tenda. Accanto a sé, Eragon sentiva risuonare all'infinito la fragorosa risata di Roran; dall'altra parte del tavolo Horst rideva anche più forte. Angela borbottò un incantesimo e con grande divertimento dei presenti fece danzare un omino che aveva modellato con la crosta di una pagnotta. A poco a poco i bambini vinsero la paura per Saphira e osarono avvicinarsi e accarezzarla sul muso. Dopo appena una manciata di minuti, cominciarono ad arrampicarsi sul collo della dragonessa, a dondolarsi sulle sue punte cervicali e a tirarle le creste sopra gli occhi. Eragon li guardava e rideva. Jeod intrattenne i presenti con una canzone che aveva letto in un libro molto tempo prima. Tara ballò una giga. Ogni volta che Nasuada gettava la testa all'indietro, i suoi denti bianchi risplendevano. Dietro le insistenze dei presenti, Eragon narrò molte delle sue avventure, compresa una dettagliata descrizione della sua fuga da Carvahall insieme a Brom, che suscitò un particolare interesse nel pubblico.
«Ma ve lo immaginate? Avevamo una dragonessa nella nostra vallata e non ce ne siamo mai accorti» disse Gertrude, la guaritrice dal viso rubicondo, aggiustandosi lo scialle. Poi sfilò dalle maniche un paio di ferri da calza e li puntò contro Eragon. «E pensare che ti ho curato io quando ti sei graffiato le gambe volando con Saphira, ma non ho mai sospettato niente.» Scosse la testa e schioccò la lingua, poi intrecciò punti con la lana marrone e cominciò a sferruzzare con la velocità di chi vanta un'esperienza decennale.
Esausta per l'avanzata gravidanza, Elain fu la prima ad abbandonare la festa, accompagnata da uno dei figli, Baldor. Mezz'ora dopo anche Nasuada si alzò per tornare al padiglione rosso, spiegando che la sua posizione le impediva di trattenersi fino a quando avrebbe desiderato; augurò a tutti salute e felicità, aggiungendo che sperava che avrebbero continuato a sostenerla nella lotta contro l'Impero.
Mentre si allontanava dal tavolo fece un cenno a Eragon, che la raggiunse all'ingresso. Dando le spalle ai convenuti, gli disse: «So che hai bisogno di tempo per riprenderti dal viaggio e che hai delle faccende personali da sbrigare. Domani e dopodomani potrai fare ciò che vuoi. Ma la mattina del terzo giorno presentati al mio padiglione: dobbiamo parlare del tuo futuro. Ho un'importantissima missione da affidarti.»
«Certo, mia signora.» Poi aggiunse: «Porti Elva con te dappertutto, non è vero?»
«Sì, mi protegge da qualsiasi pericolo dovesse sfuggire ai Falchineri. E poi la sua capacità di prevedere ciò che affligge le persone si è rivelata di grande aiuto. È molto più facile ottenere la collaborazione di qualcuno quando ne conosci le più segrete afflizioni.»
«Sei disposta a rinunciare a lei?»
Nasuada lo trafisse con lo sguardo. «Intendi davvero annullare la maledizione di Elva?»
«Voglio provare. Ricordi? Gliel'avevo promesso.»
«Sì, c'ero anch'io.» Lo schianto di una sedia caduta la distrasse per un istante, poi continuò: «Le tue promesse saranno la nostra morte... Elva è insostituibile; nessun altro ha il suo dono. E l'aiuto che mi dà - negli ultimi giorni ne ho avuto la prova - vale più di una montagna d'oro. Ho pensato addirittura che tra tutti noi sia l'unica che possa sconfiggere Galbatorix. Sarebbe in grado di anticiparne ogni mossa e grazie al tuo incantesimo saprebbe come contrattaccare e uscirne comunque vincitrice, purché questo non le costi la vita... Per il bene dei Varden, Eragon, per il bene di tutta Alagaësia, non potresti solo fingere di guarirla?»
«No» rispose lui, sputando la risposta come risentito. «Non lo farei nemmeno se potessi. Sarebbe sbagliato. Se costringiamo Elva a restare com'è, ci si rivolterà contro, e non voglio averla come nemica.» Si interruppe, poi, vedendo l'espressione di Nasuada, aggiunse: «E ci sono ottime possibilità che io fallisca. Nella migliore delle ipotesi, rimuovere un incantesimo pronunciato in termini tanto vaghi è una cosa molto difficile... Posso darti un consiglio?»
«Prego.»
«Sii sincera con Elva. Spiegale quanto è importante per i Varden e chiedile se vuole continuare a portare questo fardello per il bene di tutte le persone libere. Potrebbe anche rifiutare, ne ha ogni diritto, e in quel caso non potremmo più contare su di lei. Se accetta, invece, sarà stata una sua scelta.»
Aggrottando appena la fronte, Nasuada annuì. «Le parlerò domani. Dovrai essere presente anche tu per aiutarmi a convincerla e, se dovessimo fallire, annullare la maledizione. Vieni nel mio padiglione tre ore dopo l'alba.» Poi si incamminò nella notte illuminata dalle torce.
Molto più tardi, quando le candele brillavano fioche sui loro sostegni e gli abitanti del villaggio cominciavano a disperdersi in gruppi di due o tre, Roran afferrò Eragon per il gomito e lo trascinò fuori dalla tenda, per poi fermarsi vicino a Saphira, dove gli altri non avrebbero sentito. «Ciò che hai detto prima dell'Helgrind era tutto vero?» gli domandò. Gli stringeva il braccio a tal punto che a Eragon parve di avere un paio di tenaglie di ferro conficcate nella carne. Aveva lo sguardo duro e interrogativo, e anche insolitamente vulnerabile.
Eragon lo fissò. «Se ti fidi di me, Roran, non chiedermelo mai più. Non sono cose che ti riguardano.» Perfino mentre parlava, Eragon avvertiva una profonda sensazione di disagio per il fatto di dover nascondere a Roran e Katrina che Sloan era ancora vivo. Sapeva che l'inganno era necessario, tuttavia mentire alla sua famiglia lo metteva in difficoltà. Per un momento prese in considerazione l'ipotesi di dire loro la verità, poi però gli tornarono in mente tutte le ragioni per cui aveva deciso di non farlo e tenne a freno la lingua.
Roran esitò, turbato, poi serrò la mascella e gli lasciò andare il braccio. «Sì, mi fido di te. Dopotutto, si fa così in una famiglia, no? Ci si fida.»
«E ci si uccide.»
Roran rise e si strofinò il naso con il pollice. «Già, si fa anche quello.» Fece roteare le massicce spalle curve e massaggiò quella destra, un'abitudine che gli era rimasta da quando il Ra'zac l'aveva morso. «Ho un'altra domanda.»
«Dimmi.»
«Mi serve una benedizione... un favore.» Un sorriso astuto gli si dipinse sulle labbra, poi si strinse nelle spalle. «Mai avrei pensato di parlarne proprio con te, Eragon. In fondo sei più giovane di me, da poco hai raggiunto la maggiore età e per giunta sei mio cugino.»
«Parlare? E di cosa? Vieni al punto.»
«Di matrimonio» rispose Roran, e levò il mento. «Vuoi celebrare il matrimonio tra me e Katrina? Mi farebbe molto piacere, e anche se non le ho voluto anticipare niente prima di avere la tua risposta, so che lei sarebbe altrettanto onorata se tu accettassi.»
Eragon, sbalordito, rimase senza parole. Alla fine riuscì a balbettare: «Io?» Poi si affrettò a dire: «Ne sarei felice, ovvio, ma... io? Sei sicuro di volere che sia io a farlo? Sono certo che Nasuada accetterebbe di sposarvi... Oppure potreste chiederlo a re Orrin, lui è un vero re! Se ciò lo aiutasse a conquistarsi i miei favori, farebbe salti di gioia all'idea di presiedere la cerimonia.»
«Voglio che sia tu a farlo, Eragon» rispose Roran, dandogli una pacca sulla spalla. «Sei un Cavaliere, e poi sei l'unica persona ancora in vita nelle cui vene scorre il mio stesso sangue; Murtagh non conta. Non mi viene in mente nessun altro che potrebbe legare il mio polso a quello di Katrina.»
«Allora d'accordo» rispose Eragon. Roran lo abbracciò, stringendolo con tutta la sua forza prodigiosa, e lo lasciò senza fiato. Quando alla fine lo lasciò, Eragon ci mise un po' a riprendersi, poi gli domandò: «Quando? Nasuada ha una missione da affidarmi. Non conosco ancora i dettagli, ma immagino che mi terrà occupato per un bel po'. Dunque... che ne dici del mese prossimo, se la situazione lo permetterà?»
Roran incassò il collo nelle spalle e scosse la testa come un toro che strofina le corna in un cespuglio di rovi. «Dopodomani?»
«Così presto? Non state correndo un po' troppo? Non c'è nemmeno il tempo per i preparativi. La considereranno tutti una cosa inopportuna.»
Roran drizzò le spalle; gli si gonfiarono le vene delle mani mentre apriva e stringeva i pugni. «Non posso aspettare. Se non ci sposiamo subito, le vecchie comari avranno qualcosa di ben più interessante della mia impazienza di cui sparlare. Ci siamo capiti?»
A Eragon ci volle un momento per afferrare il significato di quelle parole, ma poi non riuscì a evitare che gli si stampasse sulla faccia un gran sorriso. Roran diventerà padre! pensò. Ancora sorridendo, gli disse: «Credo di sì. E sia, vada per dopodomani.» Grugnì quando Roran lo abbracciò di nuovo, dandogli una pacca sulla schiena, ma riuscì a liberarsi, seppur con qualche difficoltà.
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