Volodyk - Paolini3-Brisingr

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«Contaci» promise Eragon.

Con un grugnito di soddisfazione, Horst estrasse metà sbarra dalla brace per valutare meglio la colorazione dell'acciaio, poi la ricacciò nel fuoco e fece un cenno con il mento a Albriech. «Su, pompa un po' d'aria. È quasi pronta.» Mentre il figlio azionava il mantice di cuoio, Horst fece un gran sorriso a Eragon. «Quando ho detto ai Varden che lavoro facevo, erano felici come se fossi stato anch'io un Cavaliere dei Draghi. Sai, qui i fabbri scarseggiano. E mi hanno perfino procurato gli attrezzi che mi mancavano, compresa quell'incudine. Quando lasciammo Carvahall, piansi all'idea che non avrei più potuto esercitare il mio mestiere. Non sono in grado di forgiare spade, ma qui... ah, qui c'è abbastanza lavoro da tenere me, Albriech e Baldor occupati per i prossimi cinquant'anni. La paga è quella che è, ma almeno non siamo appesi a testa in giù nei sotterranei di Galbatorix.»

«E nemmeno mangiucchiati dai Ra'zac» osservò Baldor.

«Giusto, ben detto.» Horst fece cenno ai figli di riprendere le mazze e poi, portandosi il tappo di feltro accanto all'orecchio sinistro, disse: «Ti serve altro, Eragon? L'acciaio è pronto, non posso lasciarlo nel fuoco un secondo di più, altrimenti si piega.»

«Sai dov'è Gedric?»

«Gedric?» La ruga tra le sopracciglia di Horst si fece più profonda. «Credo che si stia esercitando con spada e lancia insieme agli altri uomini, laggiù, a circa un quarto di miglio da qui.» Gli indicò la direzione con il pollice.

Eragon lo ringraziò e si avviò. Il ripetitivo clangore metallico riprese, chiaro quanto i rintocchi di una campana, acuto e penetrante come un ago di vetro che fende l'aria. Eragon si tappò le orecchie e sorrise. Lo confortava che la determinazione di Horst non fosse venuta meno, anche se aveva perso casa e ricchezza, e che fosse rimasto quello di prima. Per certi versi la coerenza e la determinazione del fabbro rinnovarono la sua fiducia nel fatto che, se fossero riusciti a detronizzare Galbatorix, alla fine sarebbe tornato tutto al suo posto, e la sua vita e quella degli altri abitanti del villaggio avrebbe riacquistato una parvenza di normalità.

Poco dopo arrivò al campo dove gli uomini di Carvahall si stavano esercitando con le nuove armi. Gedric era lì, come aveva immaginato Horst, e combatteva con Fisk, Darmmen e Morn. Bastò un veloce scambio di battute con il veterano monco di un braccio che conduceva l'addestramento perché Gedric ne fosse dispensato.

Il conciatore gli corse incontro e gli si parò davanti, lo sguardo rivolto a terra. Era basso e scuro di carnagione; aveva la mascella di un mastino e folte sopracciglia, e a furia di mescolare il contenuto delle botti maleodoranti in cui conciava le pelli, le braccia gli erano diventate forti e nodose. Benché fosse tutt'altro che bello, Eragon sapeva che era un uomo gentile e onesto.

«Posso fare qualcosa per te, Ammazzaspettri?» bofonchiò.

«L'hai già fatto. E sono venuto a ringraziarti e ricompensarti.»

«Io? E in che modo ti avrei aiutato, sentiamo?» Parlava piano, con cautela, come temendo che Eragon gli stesse tendendo una trappola.

«Subito dopo la mia fuga da Carvahall, hai scoperto che qualcuno ti aveva rubato tre pelli di vacca dalla casupola in cui le metti ad asciugare, vicino alle botti. Giusto?»

Per l'imbarazzo, Gedric si adombrò e prese a sfregare i piedi per terra. «Ah... be', non l'avevo chiusa a chiave. Chiunque poteva intrufolarsi dentro e portare via quelle pelli. E considerato cos'è successo poi, non capisco che differenza fa. Ho distrutto quasi tutte le pelli prima di marciare sulla Grande Dorsale per evitare che l'Impero e quegli schifosi dei Ra'zac mettessero gli artigli su qualcosa di utile. Chiunque le ha prese mi ha solo risparmiato la fatica di doverne distruggere altre tre. Ormai quel che è stato è stato.»

«Forse» rispose Eragon, «ma il mio senso dell'onore mi spinge a confessarti che il colpevole sono io.»

A quel punto Gedric alzò la testa e lo guardò come se fosse una persona qualunque, senza paura, timore o reverenza, quasi il conciatore stesse rivalutando l'opinione che aveva di lui.

«Le ho rubate io e non ne vado fiero, ma mi servivano. Senza di esse dubito che sarei sopravvissuto abbastanza a lungo da raggiungere gli elfi nella Du Weldenvarden. Ho sempre preferito pensare di averle prese in prestito, ma la verità è che le ho rubate, perché non avevo alcuna intenzione di restituirle. Quindi accetta le mie scuse. E poiché le pelli le ho ancora io, perlomeno ciò che ne resta, pagartele mi sembra il minimo.» Eragon prese dalla cintola una delle tre sfere d'oro - dure, rotonde e intiepidite dal calore della sua pelle - e la consegnò a Gedric.

L'uomo fissò la scintillante perla di metallo: aveva l'enorme mascella serrata e rughe dure e inflessibili attorno alle labbra sottili. Non mancò di rispetto a Eragon soppesando l'oro o mordendolo, ma non appena riacquistò il dono della parola disse: «Non posso accettarla. Un tempo ero un bravo conciatore, ma le mie pelli non valevano tanto. La tua generosità ti rende merito, ma se accettassi quest'oro non sarei in pace con me stesso. Sarebbe come se non me lo fossi guadagnato.»

Per nulla sorpreso, Eragon rispose: «Non negheresti a qualcuno la possibilità di contrattare un prezzo più onesto, vero?»

«No.»

«Bene. Io non faccio eccezione, dunque. Di solito si gioca al ribasso, ma diciamo che in questo caso ho scelto di puntare al rialzo. Contratterò comunque con impegno, come se volessi risparmiare una manciata di monete. Per me le tue pelli valgono quell'oro fino all'ultima oncia, e non ti pagherò un solo soldo di meno, nemmeno se mi puntassi un coltello alla gola.»

Gedric strinse le dita massicce attorno alla sfera d'oro. «Visto che insisti, non sarò così villano da continuare a rifiutare. Nessuno può dire che Gedric Ostvensson si è lasciato sfuggire una fortuna perché era troppo occupato ad affermare il proprio scarso valore. Ti ringrazio, Ammazzaspettri.» Avvolse la sfera in una pezza di lana perché non si graffiasse e la ripose in una sacca che teneva legata alla cintola. «Garrow ha fatto un buon lavoro con te, Eragon. Anche con Roran. Sarà stato anche aspro come l'aceto e duro e secco come una rapa invernale, ma vi ha tirati su bene. Sono sicuro che sarebbe stato orgoglioso di voi.»

Eragon sentì un'inaspettata emozione stringergli il petto.

Gedric si voltò per raggiungere i compagni, poi ebbe un ripensamento. «Posso chiederti perché quelle tre pelli valevano tanto per te, Eragon? Che cosa ne hai fatto?»

Eragon ridacchiò. «Che cosa ne ho fatto? Con l'aiuto di Brom ho confezionato una sella per Saphira. Non la mette più spesso come prima, almeno non da quando gli elfi ce ne hanno data una apposta per draghi, ma si è rivelata utilissima in più di un combattimento e in parecchie situazioni pericolose, perfino nella battaglia del Farthen Dûr.»

Sbalordito, Gedric inarcò le sopracciglia, lasciando intravvedere uno strato di pelle chiara che di solito restava nascosto tra le rughe profonde. Come un taglio netto in un masso di granito grigio-azzurro, gli si dipinse sul viso squadrato un largo sorriso, che ne trasformò i lineamenti. «Una sella!» esclamò senza fiato. «Ma te lo immagini? Ho conciato la pelle per la sella di un Cavaliere dei Draghi! E nemmeno lo sapevo! No, non di un Cavaliere, del Cavaliere. Colui che alla fine sconfiggerà il nero tiranno! Se solo mio padre potesse vedermi ora!» Poi prese a scalciare, sollevando i talloni, e improvvisò una giga. Senza smettere di sorridere, fece un inchino a Eragon e tornò trotterellando dagli abitanti del villaggio, poi cominciò a raccontare la sua storia a chiunque fosse a portata d'orecchio.

Ansioso di darsela a gambe prima di ritrovarsi circondato, Eragon scivolò via tra le file di tende, soddisfatto. Forse ci metto un po' più del dovuto, pensò, ma li saldo sempre, i miei debiti.

Ben presto si ritrovò davanti a un'altra tenda, vicina all'estremità orientale dell'accampamento, e bussò al palo d'ingresso.

Sentì un sonoro fruscio, poi i due lembi di stoffa si aprirono di scatto e comparve Helen, la moglie di Jeod, che guardò Eragon con espressione gelida. «Sei venuto per parlare con lui, suppongo.»

«Se c'è...» Eragon sapeva benissimo che l'avrebbe trovato, perché riusciva a leggere nel pensiero di entrambi con la stessa facilità.

Per un momento pensò che la donna avrebbe negato la presenza del marito, poi però Helen si strinse nelle spalle e si fece da parte. «Allora entra pure.»

Eragon trovò Jeod seduto su uno sgabello, immerso in un assortimento di pergamene, libri e fasci di fogli sparsi ammucchiati su una branda senza coperte. Una sottile ciocca di capelli gli pendeva dalla fronte, seguendo il profilo della cicatrice che serpeggiava fino alla tempia sinistra.

«Eragon!» gridò non appena lo vide, e le rughe di concentrazione che gli si erano formate sul volto si spianarono. «Benvenuto, benvenuto!» Gli strinse la mano e poi gli offrì lo sgabello. «Siediti, io mi metterò su un angolo del letto. No, ti prego, sei nostro ospite. Vuoi qualcosa da bere o da mangiare? Nasuada ci dà una razione extra, dunque non fare complimenti, non patiremo la fame per causa tua. È un ben misero pasto rispetto a quello che ti abbiamo servito a Teirm, ma nessuno, nemmeno un re, dovrebbe andare in guerra e aspettarsi di mangiare bene.»

«Una tazza di tè la berrei volentieri» rispose Eragon.

«Vada per tè e biscotti, allora.» Jeod scoccò un'occhiata a Helen.

Stizzita, la donna raccolse il bollitore da terra e se lo appoggiò su un fianco, poi ci infilò il beccuccio di una borraccia di pelle e la premette. Il bollitore echeggiò con un suono basso e continuo man mano che si riempiva. Helen strinse le dita attorno al collo della borraccia, limitando il getto d'acqua a un languoroso gocciolio. Rimase così, con lo sguardo assente di chi sta svolgendo un compito ingrato, mentre le gocce d'acqua continuavano a produrre quel rumore irritante.

Sul viso di Jeod balenò un sorriso di scuse. In attesa che Helen terminasse, fissò un frammento di carta che aveva accanto al ginocchio. Eragon, invece, esaminò una piega su un lato della tenda.

Il pomposo gocciolio continuò per più di tre minuti.

Una volta riempito il bollitore, Helen appese la borraccia ormai vuota a un gancio sul palo centrale della tenda e uscì come una furia.

Eragon guardò Jeod alzando un sopracciglio.

Lui allargò le braccia. «La posizione che occupo tra i Varden non è così importante come sperava, e lei ne dà la colpa a me. Ha acconsentito a fuggire da Teirm convinta che Nasuada mi avrebbe accolto nella cerchia più ristretta dei suoi consiglieri e concesso terre e ricchezze degne di un nobile signore o chissà quale altra generosa ricompensa per aver aiutato a rubare l'uovo di Saphira tanti anni fa, o almeno così credo io, ma non aveva fatto i conti con la vita poco affascinante di un semplice soldato: dormire in una tenda, procurarsi il cibo, fare il bucato e via discorrendo. Non che ricchezza e prestigio siano le sue uniche preoccupazioni, ma devi capirla: in fondo apparteneva a una delle più ricche famiglie di commercianti di Teirm e da quando siamo sposati ho avuto ben poca fortuna. Non è avvezza a certe privazioni, deve ancora abituarsi a questa vita.» Alzò appena le spalle, poi le lasciò ricadere. «Io speravo tanto che questa avventura - sempre che meriti una definizione così romantica - avrebbe colmato la voragine che si era aperta tra noi negli ultimi anni, ma le cose sono sempre più complicate di quanto sembrano.»

«Ma tu ritieni che i Varden avrebbero dovuto mostrarti maggiore considerazione?» gli chiese Eragon.

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