Volodyk - Paolini3-Brisingr

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Il Cavaliere incrociò le braccia e camminò fino a un albero, poi a quello dopo, infine tornò indietro. «Se lo faccio, gli altri clan si potrebbero rivoltare contro di te. Stai per chiedere al tuo popolo di allearsi con i Varden e in più di accettare fra loro un Cavaliere dei Draghi, cosa che non hanno mai tollerato prima e dubito vogliano fare proprio adesso.»

«Sì, qualcuno potrebbe ribellarsi, ma potrei anche ottenere altri voti. Lascia che sia io a giudicare. Desidero solo sapere se mi appoggerai. Perché tanta esitazione?»

Eragon fissò una radice ritorta che spuntava dal granito accanto ai suoi piedi, evitando di incrociare lo sguardo di Orik. «Tu hai a cuore il bene del tuo popolo, e a ragione. Ma io ho preoccupazioni più grandi, che comprendono il bene dei Varden e degli elfi e di chiunque si opponga a Galbatorix. Se le probabilità che tu vinca sono limitate e se c'è un altro capoclan più favorito, e non ostile ai Varden...»

«Ma non esiste un grimstborith più solidale con la loro causa di me!»

«Non sto mettendo in dubbio la tua amicizia» protestò Eragon. «Ma se le cose dovessero prendere la piega di cui parlavo, e il mio sostegno potesse garantire a un altro capoclan di ottenere il trono, per il bene del tuo popolo e per il bene di tutta Alagaësia non dovrei appoggiare il nano che ha le maggiori probabilità di vittoria?»

Con voce tombale, Orik rispose: «Hai prestato un giuramento di sangue sul Knurlnien, Eragon. Secondo la legge del nostro regno, per quanto gli altri possano contestarlo, sei un membro del Dûrgrimst Ingeitum. Ciò che ha fatto Rothgar adottandoti non ha precedenti nella nostra storia e non può essere cancellato a meno che, in qualità di capoclan, io non ti bandisca. Se ti ribelli a me, Eragon, mi umilierai di fronte alla nostra razza e nessuno si fiderà mai più della mia autorità. Inoltre confermerai ai tuoi detrattori che non ci si può fidare di un Cavaliere dei Draghi. I membri di un clan non si schierano a tradimento con quelli di un altro. Non si fa, a meno che tu non voglia svegliarti una notte con un pugnale nel cuore.»

«Mi stai minacciando?» gli chiese Eragon, con la stessa calma.

Orik imprecò e abbatté di nuovo l'ascia contro il granito. «No! Non alzerei mai una mano contro di te! Sei mio fratello adottivo, sei l'unico Cavaliere immune all'influenza di Galbatorix, e che io sia maledetto se non mi sono affezionato a te durante i nostri viaggi insieme. Ma ciò non significa che gli altri membri dell'Ingeitum sarebbero altrettanto indulgenti. La mia non è una minaccia; è un dato di fatto. Devi capirlo, Eragon. Se al nostro clan giunge voce che hai dato il tuo sostegno a un altro, potrei anche non riuscire a fermarli. Benché tu sia nostro ospite e le regole dell'ospitalità ti proteggano, se dici una sola parola contro l'Ingeitum il clan ti considererà un traditore, e non è nostra abitudine accogliere tra noi un traditore. Mi capisci, Eragon?»

«Che cosa ti aspetti che faccia?» gridò il giovane. Allargo le braccia e prese a camminare avanti e indietro di fronte a Orik. «Ho prestato giuramento a Nasuada, e questi sono gli ordini che mi ha dato.»

«Ma ti sei impegnato anche con il Dûrgrimst Ingeitum!» ruggì Orik.

Eragon si fermò e fissò il nano. «Vuoi che condanni l'intera Alagaësia solo perché tu possa mantenere la tua posizione?»

«Non insultarmi!»

«E tu non chiedermi l'impossibile! Ti appoggerò se avrai buone possibilità di salire al trono, altrimenti no. Come tu ti preoccupi del Dûrgrimst Ingeitum e della tua razza, io devo preoccuparmi di Alagaësia.» Eragon si accasciò contro il gelido tronco di un albero. «Ma non posso nemmeno permettermi di offendere te e il tuo - anzi, il nostro - clan o il regno dei nani.»

In tono più gentile, Orik rispose: «Un'alternativa c'è. Ti complicherebbe le cose, ma almeno così risolveresti il tuo dilemma.»

«E quale sarebbe, questa miracolosa soluzione?»

Infilando di nuovo l'ascia nella cintura, Orik lo raggiunse, lo afferrò per gli avambracci e lo fissò da sotto le sopracciglia cespugliose. «Fidati di me, farò la cosa giusta, Eragon Ammazzaspettri. Concedimi la tua lealtà come se fossi davvero nato nel Dûrgrimst Ingeitum. Chi risponde a me non dovrebbe mai avere la sfrontatezza di parlare contro il proprio capo e a favore di un altro. Se un grimstborith commette un errore, la responsabilità è solo sua, ma non significa che io sia insensibile al tuo dilemma.» Abbassò lo sguardo per un momento, poi proseguì: «Fidati: se non posso essere re, non mi lascerò accecare dalla prospettiva del potere al punto da non accorgermi che il mio tentativo è destinato a fallire. In quel caso - ma so che non accadrà - darò il mio sostegno a uno degli altri candidati di mia spontanea volontà, perché desidero meno di te veder eleggere un capoclan ostile ai Varden. E se dovessi aiutare a promuovere la vittoria di un altro, la posizione e il prestigio che metterò al servizio di quel capoclan dovrà, per sua propria natura, includere anche te, poiché fai parte dell'Ingeitum. Hai fiducia in me, Eragon? Mi accetterai come grimstborith al pari degli altri miei sudditi che mi hanno giurato fedeltà?»

Eragon sospirò, appoggiò la testa contro il ruvido albero e guardò i rami contorti e bianchi come ossa avvolti nella foschia sopra di sé. Fiducia. Tra tutte le cose che avrebbe potuto chiedergli Orik, era la più difficile da concedere. Gli voleva bene, ma sottomettersi all'autorità del nano quando la posta in gioco era così alta significava privarsi della propria libertà, una prospettiva che aborriva. E poi avrebbe dovuto rinunciare a parte della propria responsabilità per il destino di Alagaësia. Si sentiva sull'orlo di un precipizio, e anche se Orik gli stava dicendo che il salto che lo attendeva era di pochi piedi, Eragon non riusciva a mollare la presa per paura di cadere e di firmare così la propria condanna.

«Non sarò uno stupido servitore da comandare a bacchetta. Se si tratta del Dûrgrimst Ingeitum, ti cedo volentieri il campo, ma per tutto il resto non avrai alcun ascendente su di me» precisò rivolto a Orik.

Il nano annuì, serio. «Non è la missione che ti ha affidato Nasuada e nemmeno chi potresti uccidere nella lotta contro l'Impero a preoccuparmi. No, ciò che mi tiene sveglio la notte quando invece dovrei dormire profondamente come Arghen nella sua caverna è immaginarti mentre tenti di influenzare la votazione dei clan. Le tue intenzioni sono nobili, lo so, ma non sei un esperto della nostra politica, per quanto Nasuada possa averti istruito. Questo riguarda me, Eragon. Lascia che organizzi io le cose nella maniera che riterrò più opportuna. È ciò a cui mi ha preparato Rothgar per tutta la vita.»

Eragon sospirò e, con la netta sensazione di essere caduto nel precipizio, replicò: «Benissimo, allora. Per la successione farò ciò che vuoi, Grimstborith Orik.»

Sul volto del nano si dipinse un largo sorriso. Strinse con più forza gli avambracci di Eragon e poi lo lasciò andare. «Grazie. Non sai che cosa significa per me. Sei molto gentile, davvero, non lo dimenticherò, nemmeno se vivrò fino a duecento anni e avrò una barba così lunga che striscerà per terra.»

Suo malgrado, Eragon ridacchiò. «Be', spero che non diventi tanto lunga, altrimenti non faresti che inciampare!»

«Chi lo sa» rispose Orik, ridendo. «E poi credo che Vedra me la taglierebbe se solo mi arrivasse alle ginocchia. Ha opinioni molto precise sulla lunghezza appropriata di una barba.»

Guidati da Orik, i due lasciarono la foresta pietrificata e si incamminarono nella foschia incolore che vorticava attorno ai tronchi calcificati. Ritrovarono i dodici guerrieri e poi cominciarono a ridiscendere il fianco del Monte Thardûr. Giunti in fondo alla valle, procedettero in fila indiana verso il lato opposto, e poi i nani condussero Eragon a un tunnel così ben nascosto nella parete di roccia che da solo non ne avrebbe mai trovato l'ingresso.

Fu con rammarico che salutò il pallido sole e la fresca aria di montagna per imboccare il tunnel oscuro. Il passaggio era largo otto piedi e alto sei, gli sembrava minuscolo, e, come tutti i tunnel dei nani che aveva visto, proseguiva diritto come un fuso a perdita d'occhio. Si voltò appena in tempo per vedere Farr chiudere la lastra di granito che fungeva da porta, poi il gruppo si ritrovò immerso nella notte. Un momento dopo, non appena i nani ebbero estratto dalle bisacce le lanterne senza fiamma, apparvero quattordici globi luccicanti di diversi colori. Orik ne consegnò uno a Eragon.

Si avviarono sotto le radici della montagna. Gli zoccoli dei pony colmavano il tunnel di echi fragorosi che sembravano gridare contro di loro come spettri infuriati. Eragon fece una smorfia, sapendo che avrebbero sentito quel fracasso fino al Farthen Dûr, dove si concludeva il tunnel, a molte leghe di distanza. Si strinse nelle spalle e afferrò con più forza gli spallacci dello zaino. Quanto avrebbe voluto librarsi alto nel cielo con Saphira...

♦ ♦ ♦

LA MORTE CHE RIDE

Roran si accucciò e sbirciò tra gli intricati rami del salice.

Mentre il crepuscolo calava rapido, a duecento iarde da Roran cinquantatré individui tra soldati e civili alla guida dei carri delle provviste consumavano la cena seduti intorno a tre focolari. Si erano accampati per la notte su un ampio terrapieno erboso accanto a un fiume senza nome. I carri erano disposti in un semicerchio approssimativo attorno ai fuochi. Decine di buoi legati con una corda pascolavano dietro l'accampamento e di tanto in tanto muggivano. Una ventina di iarde più in là, tuttavia, dal terreno si ergeva una sorta di terrazza di terra soffice, che vanificava ogni possibilità di attacco o di fuga da quella parte.

Che cosa avevano in mente? si domandò Roran. Trovandosi in territorio nemico, era prudente accamparsi in un punto ben protetto, di solito con una formazione rocciosa naturale alle spalle. Tuttavia bisognava fare attenzione a scegliere un luogo da cui si potesse fuggire in caso di imboscata. Così, invece, per Roran e gli altri guerrieri al comando di Martland sarebbe stato un gioco da ragazzi sbucare dalla boscaglia in cui si erano nascosti e imprigionare le forze dell'Impero nel punto dove la terrazza e il fiume si incontravano, per poi eliminarle senza difficoltà. Roran rimase sbalordito dal fatto che uomini così addestrati potessero commettere un simile errore. Forse vengono dalla città, pensò. O forse sono solo inesperti. Si accigliò. Ma allora perché affidare proprio a loro una missione così cruciale?

«Hai visto trappole?» chiese. Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che Carn era dietro di lui, insieme a Halmar e ad altri due. A parte i quattro spadaccini che si erano aggiunti alla compagnia di Martland per sostituire chi era morto o aveva subito ferite troppo gravi nell'ultimo confronto, Roran aveva già combattuto a fianco di tutti gli uomini del gruppo. Certo, non andava d'accordo con ognuno di loro, ma credeva in quei suoi compagni al punto da affidare loro la sua vita, e la cosa era reciproca. Era un legame che andava oltre l'età o l'educazione. Dopo la prima battaglia, Roran era rimasto sorpreso da quanto si sentiva legato ai suoi compagni e dal calore con cui lo ricambiavano.

«Non mi pare» mormorò Carn. «Ma allora...»

«Potrebbero aver inventato nuovi incantesimi a te sconosciuti, sì, sì. Hanno con loro un mago?»

«Non ne sono sicuro, ma credo di no.»

Roran scostò un ramo per vedere meglio com'erano disposti i carri. «Non mi piace» bofonchiò. «Nell'altro convoglio il mago c'era, in questo no. Perché?»

«Noi maghi siamo meno di quanti immagini...»

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