Volodyk - Paolini3-Brisingr

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«Mmm.» Roran si grattò la barba, ancora turbato dall'apparente mancanza di buonsenso che i soldati nemici dimostravano. È possibile che ci stiano invitando ad attaccare? Non mi sembrano preparati a fronteggiare un attacco, ma spesso l'apparenza inganna. Che razza di trappola ci avranno mai preparato? Non c'è nessun altro nel giro di trenta leghe; l'ultima volta che Murtagh e Castigo sono stati avvistati avevano lasciato Feinster ed erano diretti a nord. «Da' il segnale» ordinò a Carn. «Che si siano accampati qui non mi convince, però. Dillo a Martland. O sono un branco di idioti, o contano su qualche protezione invisibile: una magia, magari, oppure un altro trucchetto del re.»

Silenzio. Poi Carn rispose: «Fatto. Martland dice che condivide i tuoi timori, ma a meno che tu non voglia tornare da Nasuada con la coda tra le gambe, dobbiamo tentare la sorte.»

Roran borbottò e distolse lo sguardo dai soldati nemici. Con un cenno del capo indicò agli altri uomini di tornare a carponi dove avevano lasciato i cavalli.

Poi si alzò e montò in sella a Fiammabianca.

«Ehi, piano, bello» gli sussurrò, accarezzandolo, mentre il cavallo scuoteva la testa. Nella fioca luce, la criniera e il manto di Fiammabianca rilucevano come argento. Per l'ennesima volta, Roran desiderò che il suo stallone fosse meno appariscente: magari rossiccio, come un baio, o nocciola.

Staccò lo scudo dalla sella, infilò il braccio nelle cinghie e prese il martello dalla cintura.

Deglutì, avvertendo la solita tensione alle spalle, e strinse con più forza l'impugnatura dell'arma.

Quando tutti e cinque furono pronti, Carn alzò un dito, socchiuse le palpebre e arricciò le labbra, come se stesse parlando tra sé. Un grillo friniva poco lontano.

Poi aprì gli occhi di scatto. «Ricordate di tenere lo sguardo a terra finché non vi si abitua la vista, e comunque non fissate mai il cielo.» Poi cominciò a recitare nell'antica lingua parole incomprensibili, vibranti di energia.

Roran si riparò con lo scudo e guardò di traverso la sella mentre una luce pura e bianca, intensa come il sole di mezzogiorno, illuminava il paesaggio attorno. Intuì che quel bagliore partiva da un punto sopra l'accampamento, ma resistette alla tentazione di scoprire dove fosse di preciso.

Gridando, calciò Fiammabianca nelle costole e mentre lo stallone balzava in avanti si chinò sulla criniera. Carn e gli altri guerrieri fecero altrettanto, brandendo le armi. Roran venne frustato dai rami, poi finalmente Fiammabianca uscì dal folto degli alberi e si lanciò al galoppo verso l'accampamento.

Due altri gruppi di cavalieri li seguirono rumoreggiando, uno capitanato da Martland, l'altro da Ulhart.

Soldati e civili gridarono allarmati e si coprirono gli occhi. Barcollando come se fossero diventati ciechi all'improvviso, cercarono a tentoni le armi sforzandosi di prendere posizione per respingere l'attacco.

Roran non provò nemmeno a rallentare la corsa di Fiammabianca. Anzi, lo spronò ancora di più, si alzò sulle staffe e si tenne saldo con tutte le sue forze mentre lo stallone superava con un salto lo stretto spazio tra due carri. Quando toccarono terra, Roran batté i denti. Fiammabianca prese a scalciare e a sollevare spruzzi di terra, che finirono in uno dei falò, sollevando uno sbuffo di scintille.

Anche il resto del gruppo saltò i carri come lui. Contando sul fatto che gli altri si sarebbero occupati dei soldati alle sue spalle, Roran si concentrò su quelli davanti. Puntando Fiammabianca contro uno di loro, lo colpì con l'estremità del martello e gli ruppe il naso, riducendogli il volto a una maschera di schizzi rossi. Lo eliminò con un secondo colpo alla testa, poi parò il fendente di un altro soldato.

Più oltre lungo i carri disposti a semicerchio anche Martland, Ulhart e i loro uomini entrarono nell'accampamento tra schiocchi di zoccoli, in un clangore di armi e armature. Un cavallo nitrì e cadde ferito da una lancia.

Roran parò un secondo affondo del soldato, che poi colpì alla mano, costringendolo a lasciar cadere l'arma. Senza indugi, gli assestò un altro fendente, fracassandogli lo sterno e facendolo crollare a terra, ansante, ferito a morte.

Roran si girava e si rigirava sulla sella in attesa dell'avversario successivo. I suoi muscoli vibravano di frenetica eccitazione; ogni dettaglio gli appariva nitido e chiaro, come intagliato nel vetro. Si sentiva invincibile, invulnerabile. Perfino il tempo parve dilatarsi e rallentare, tanto che una falena confusa che gli fluttuò accanto gli sembrò quasi volare nel miele.

Poi due mani lo afferrarono da dietro, strattonandolo per l'usbergo di maglia, lo disarcionarono e lo fecero cadere sulla dura terra, lasciandolo senza fiato. Gli si offuscò la vista e per un istante vide tutto nero. Quando si riprese, si ritrovò seduto sul petto il primo soldato che lo aveva attaccato; lo stava strangolando. Il nemico era proprio davanti alla fonte luminosa che Carn aveva creato in cielo e un alone bianco gli circondava la testa e le spalle, lasciando i tratti del viso così in ombra che Roran non distingueva nulla della sua faccia se non il candore dei denti.

Vedendolo ormai boccheggiante, il soldato serrò ancora di più le dita attorno alla gola di Roran, che cercò a tastoni il martello, invano. Tendendo il collo per evitare di essere ucciso, sfilò il pugnale dalla cintura e lo conficcò nell'usbergo, poi nei gambali e infine tra le costole dell'avversario.

Il soldato non batté ciglio e non mollò la presa.

Anzi, continuò a ridere. Sentendo quel gorgoglio angosciante, più orribile di qualunque altra cosa avesse mai udito, a Roran si serrò lo stomaco dalla paura. Lo ricordava bene, quel suono; l'aveva già sentito guardando i Varden combattere contro gli uomini che non provavano dolore sul prato accanto al fiume Jiet. In un baleno comprese perché i soldati avevano scelto un accampamento così stravagante. Per loro essere in trappola oppure no è irrilevante: tanto non soffrono.

All'improvviso Roran vide tutto rosso e davanti agli occhi presero a danzargli tante stelline gialle. Ormai prossimo a perdere i sensi, sfilò il pugnale e colpì a caso verso l'alto, conficcandolo nell'ascella del soldato, poi rigirò la lama nella ferita. Fiotti di sangue caldo gli schizzarono sulla mano, ma quello non parve accorgersene. Quando gli prese la testa e gliela sbatté con forza a terra, Roran vide il mondo esplodere in macchie di colori pulsanti. Una volta. Due. Tre. Roran cercò di liberarsi muovendo i fianchi, invano. Cieco e disperato, infierì dove credeva si trovasse la faccia del soldato, e infatti sentì il pugnale entrare nella morbida carne. Lo estrasse piano, poi lo affondò di nuovo nello stesso punto e stavolta avvertì l'urto della lama contro l'osso.

La pressione attorno al collo svanì.

Roran rimase disteso dov'era, ansimante, poi si girò su un fianco e vomitò; gli bruciava la gola. Tra colpi di tosse e rantoli si rialzò a fatica: il soldato era disteso immobile accanto a lui, con il pugnale che gli spuntava dalla narice destra.

«Mirate alla testa!» gridò Roran, nonostante la gola in fiamme. «Alla testa!»

Lasciò il pugnale conficcato nel naso dell'uomo e raccolse da terra il martello, poi afferrò anche una lancia abbandonata e la impugnò con la mano con cui di solito reggeva lo scudo. Superato il soldato morto con un balzo, corse verso Halmar, che stava combattendo con tre soldati ad un tempo. Prima che si accorgessero di lui, Roran colpì alla testa i due nemici più vicini con tanta violenza che gli elmi si aprirono in due. Lasciò il terzo a Halmar, e corse verso il soldato a cui aveva rotto lo sterno e che credeva ormai morto. Lo trovò seduto contro la ruota di un carro, che sputava sangue rappreso e cercava di incordare un arco.

Gli trafisse un occhio con la lancia. Quando sfilò la lama, sulla punta rimasero appiccicati brandelli di materia grigia.

Allora ebbe un'idea. Scagliò la lancia contro un uomo con la tunica rossa dalla parte opposta del fuoco più vicino, impalandolo all'altezza del petto, poi infilò il manico del martello sotto la cintura e finì di incordare l'arco sottratto all'altro soldato. Appoggiando la schiena contro un carro, cominciò a scoccare frecce contro i nemici per tutto l'accampamento, cercando di colpirli al volto, alla gola o al cuore, quando aveva fortuna, o almeno di azzopparli, così che i suoi compagni potessero finirli senza difficoltà. Se non altro, pensò, un soldato ferito sarebbe morto dissanguato prima della fine del combattimento.

L'iniziale compostezza dell'attacco era degenerata nella più totale confusione. I Varden erano dispersi e sgomenti, qualcuno in sella al proprio destriero, altri a piedi, quasi tutti insanguinati. Almeno cinque erano morti quando i soldati che credevano di avere massacrato erano tornati a colpirli. In quell'ammasso convulso di corpi era impossibile stabilire quanti nemici restassero in vita, ma Roran calcolò che erano comunque più di loro, all'incirca venticinque. Potrebbero farci a pezzi a mani nude mentre cerchiamo di colpirli, si disse. Cercò Fiammabianca in quel trambusto e vide il cavallo bianco al fiume, accanto a un salice, le narici dilatate, lo orecchie piatte contro il cranio.

Roran uccise altri quattro soldati e ne ferì più di una ventina. Quando gli furono rimaste due sole frecce, scorse Carn all'estremità opposta dell'accampamento, che duellava con un soldato vicino a una tenda in fiamme. Tese la corda dell'arco finché le piume della freccia non gli solleticarono l'orecchio, e colpì il nemico in pieno petto; quando quello vacillò, Carn poté mozzargli la testa.

Roran gettò via l'arco e gli corse incontro, brandendo il martello e gridando: «Non li puoi uccidere con la magia?»

Per un istante Carn riuscì solo ad ansimare, poi scosse il capo e rispose: «Ogni mio incantesimo si è rivelato vano.» La luce emanata dalla tenda in fiamme gli indorava un lato del volto.

Roran imprecò. «Insieme, allora!» gridò, levando lo scudo.

I due avanzarono spalla a spalla verso il gruppo di guerrieri più vicino, un manipolo di otto uomini che avevano circondato tre Varden. I minuti seguenti furono un spasmo di armi scintillanti, membra dilaniate e improvvise fitte di dolore per Roran. I soldati si stancavano più lentamente degli altri uomini, non si sottraevano allo scontro e non arretravano mai, nemmeno dopo aver ricevuto le ferite più orribili. Il combattimento era così faticoso che a Roran tornò la nausea, e non appena cadde anche l'ottavo soldato si piegò su se stesso e vomitò un'altra volta; poi sputò per ripulirsi la bocca dalla bile.

Uno dei Varden che avevano cercato di liberare era morto, trafitto alle reni da un coltello, ma i due sopravvissuti unirono le loro forze a Carn e Roran e insieme caricarono il drappello in arrivo.

«Spingeteli verso il fiume!» gridò Roran. Pensava che l'acqua e il fango ne avrebbero limitato i movimenti e che forse così i Varden sarebbero riusciti a ottenere il controllo della situazione.

Non molto distante, Martland era riuscito a radunare i dodici Varden ancora a cavallo e metteva in pratica il suggerimento di Roran.

I soldati e i pochi civili ancora vivi non si arrendevano, però. Anzi, respinsero gli uomini a piedi con gli scudi e scagliarono lance contro i cavalli; ma nonostante la loro violenta resistenza, i Varden li costrinsero a indietreggiare un passo alla volta finché gli uomini dalla tunica cremisi non si ritrovarono immersi nella rapida corrente fino alle ginocchia, mezzi accecati dall'insolita luce che brillava in cielo.

«Serrate i ranghi!» gridò Martland, smontando da cavallo e piazzandosi a gambe aperte sul limitare dell'argine. «Non devono riconquistare la riva!»

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