Casas Pérez Carlos - Il Bargello
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IL BARGELLO
Carlos P. Casas
Tradotto da Alice Croce Ortega
Alle donne di Lacorvilla
Senza di loro, nulla può riuscire.
Prologo
Nel cuore del bivacco si svolgeva una lotta all'ultimo sangue: le timide fiamme del falò contro il vento gelido proveniente dai Pirenei. Il fuoco opponeva resistenza e si rifiutava di soccombere a quella notte d'inverno, ma non aveva la forza sufficiente a far bollire il contenuto del paiolo che vi era posto sopra. Era il mese di dicembre del 1134. Come negli anni precedenti, era un mese secco e freddo. Molto di più, trattandosi di una notte ventosa come quella; le tende improvvisate sembravano sul punto di volare via. Alfonso si strinse contro una quercia tanto da sentire che la corteccia gli lacerava le maniche della giubba, mentre cercava di proteggersi sia dal vento che dallo sguardo dei banditi.
"Sono solo tre" sussurrò a suo padre mostrandogli lo stesso numero di dita.
Alfonso non sapeva contare oltre il dieci.
Il figlio di Jimeno, il bargello, si stava innervosendo per l'attesa. Jimeno era nascosto dietro una roccia, accucciato in modo che la sua sagoma corpulenta fosse meno visibile. Non apriva bocca. Teneva d'occhio il bivacco e ogni tanto grugniva. Alfonso ipotizzò che stesse pensando al modo migliore di far fuori quello più vicino.
Il bandito aveva appoggiato la sua scure ad un albero vicino, ma abbastanza lontano da non poterla afferrare con rapidità. Alfonso non dava troppo peso a quell'arma, era piccola e non sembrava abbastanza solida da potersi opporre a una spada. Lo preoccupavano di più la cotta di maglia e i bracciali che l'uomo indossava; probabilmente sotto quegli anelli di ferro c'era un'altra protezione di cuoio. Una buona armatura.
Si trovavano a pochissimi passi di distanza; se si fossero mossi in silenzio, mettendosi a correre all'ultimo momento, il bandito non avrebbe fatto in tempo ad alzarsi che si sarebbe già ritrovato la spada di suo padre conficcata nel collo. Uno di meno.
"Non vedo i cavalli" osservò Jimeno, interrompendo i pensieri di suo figlio.
È vero , rifletté Alfonso dopo aver dato un'occhiata all'intorno. Li abbiamo sentiti mentre ci avvicinavamo ma qui non ci sono. Devono esserci in giro altri banditi . In tal caso la faccenda si faceva più complicata, adesso erano in inferiorità numerica.
"Dovremmo tornare indietro" suggerì Sancho il Nero con voce tremante.
"Chiedere aiuto a don Yéquera e alle sue guardie".
"Abbassa la voce" gli ingiunse Jimeno. Sancho tacque all'istante e si coprì con il suo vecchio mantello.
Sancho, il carbonaio, non aveva bisogno di nascondersi dietro a niente.
Era così magro che se si metteva di taglio lo si vedeva a stento alla luce piena del giorno. Indossava abiti del tutto inadatti all'inverno, una camicia leggera che era stata rammendata almeno dieci volte. Il suo mantello doveva essere più sottile di un'unghia, ed era l'unica cosa che lo proteggeva dal freddo. Se non fosse stato per le macchie di fuliggine che gli ricoprivano la faccia, si sarebbe visto che aveva la pelle più bianca del ghiaccio a causa del tormento che il vento gli infliggeva.
"Quel fuoco ha preso o no?!" esclamò uno dei banditi. Alfonso trasalì per lo spavento. "Ho fame!".
Stavano preparando uno stufato, tra i cui ingredienti facevano capolino alcuni pezzi di carne di pecora. Una delle bestie di suo zio Guillén.
Già da un paio di giorni da Lacorvilla stavano sparendo delle pecore. Una.
Due. Altre due. Presto fu chiaro che nella zona dovevano esserci dei ladri di bestiame. Era compito del bargello occuparsi di quelle faccende, e in effetti Jimeno se ne era occupato. Malgrado avesse ormai compiuto i quarant'anni non aveva perso il vigore della gioventù, quindi non gli pesò fare il giro dei pascoli e delle montagne del circondario. Quello che invece gli diede fastidio fu, dopo un paio di giorni di ricerche, non aver ancora scovato alcuna traccia da seguire.
"Alfonso, prendi la tua roba. Andiamo a parlare con il Nero" gli aveva detto suo padre, esasperato da tutti quegli sforzi infruttuosi, "vediamo se ne sa qualcosa".
Le parole scelte da suo padre fecero pensare ad Alfonso che Sancho potesse essere il responsabile di quei furti. L'idea non era del tutto peregrina, il carbonaio moriva di fame fin da quando era piccolo. Senza riuscirci.
Avevano scovato il Nero lungo la strada per la Carbonera . Man mano che l'inverno si avvicinava trascorreva molti giorni e molte notti in montagna, a controllare che la legna ardesse correttamente per la produzione del suo prezioso carbone. Alfonso non fu tanto sorpreso di averlo incontrato quanto del fatto che venisse verso di loro di gran carriera, o almeno così sembrava.
Sancho odiava Jimeno. E non per una cosa di poco conto. Il padre del Nero era stato accusato di essere un ladro e un assassino. Il tipo d'uomo che prima o poi fa la conoscenza del bargello in circostanze poco piacevoli.
Con l'aiuto di un complice aveva teso un'imboscata all'esattore delle tasse sulla strada per Luna; il pover'uomo era finito con la testa schiacciata sotto un grosso masso. Malgrado non fossero stati trovati altri testimoni oltre ai colpevoli, quel tipo di cose si finisce per saperle, nei paesini: il padre di Sancho era in possesso di denaro che non avrebbe dovuto avere e Jimeno fece il suo dovere.
Durante il processo si era sempre difeso affermando che fosse stato l'altro, uno che diceva di venire da Arbués, ad uccidere il gabelliere, non lui.
Ammetteva di aver rubato, ma non di aver ucciso. Jimeno non si era lasciato incantare da quelle scuse e il padre del carbonaio alla fine fu impiccato al ramo di un albero. Come ladro e assassino.
La vicenda fece nascere cattivo sangue tra le due famiglie. Era quello il motivo per cui Alfonso si stupì di vedere il sollievo dipinto sul volto del carbonaio, quando giunse vicino a loro. Il Nero era molto eccitato, gli mancava il fiato. Balbettava e diceva cose senza senso, ma una parola si capiva perfettamente:
"Briganti".
Il carbonaio si era imbattuto senza volerlo nei ladri di bestiame e intendeva
affidare al bargello la responsabilità sul da farsi. Ad Alfonso faceva rabbia che molti nel villaggio non volessero avere nulla a che fare con suo padre, gabelliere per conto di don Yéquera, ma che non esitassero mai a pretendere il suo aiuto quando avevano qualche problema.
Jimeno riuscì, a forza di minacce e di botte e scossoni, a farsi dire dal Nero qualcosa sul bivacco che aveva scoperto. Riuscirono a farsi portare fin lì, anche se dovettero quasi trascinarlo con la forza.
Adesso erano acquattati tra gli alberi ad osservare i tre banditi: uno vicino all'albero, uno che preparava la cena e il terzo che cercava di evitare che una delle tende venisse spazzata via dal vento. Alfonso continuava a cercare i cavalli e gli altri banditi, quelli che non si vedevano.
"Aggiungi altra legna!" gridò al cuoco uno dei malviventi, avvicinandosi al pentolone. Le fiamme gli illuminarono il volto.
Sancho si trascinò fino a raggiungere Jimeno.
"Hanno le facce bianche" sussurrò al bargello. I suoi occhi riflettevano il panico più assoluto. Con il dito indicò quello che era in piedi accanto al fuoco. "Sono gli albari".
Ad Alfonso mancò il respiro.
Aveva sentito le voci, certo. Mostri dalla pelle bianca assetati di sangue.
Villaggi in fiamme. Contadini squartati. Non erano che voci, storie che venivano raccontate nelle osterie negli ultimi anni. Suo padre gli aveva sempre detto che quelle storie erano esagerazioni. Erano solo dei banditi che si erano fatti una certa fama. Tutto il resto erano storie assurde, che avevano l'unico scopo di terrorizzare gli sciocchi.
Tuttavia, che fossero vere o no tutte quelle storie, gli albari erano lì. Vicino a Lacorvilla. Alfonso li aveva appena visti con i suoi stessi occhi.
La piccola scure che Alfonso aveva considerato quasi inoffensiva si era appena trasformata in un'arma maneggevole e difficile da schivare, capace di fare molto male a chi non indossava un'armatura formidabile come quella del bandito. Non aveva niente a che vedere con il freddo, il fatto che
la mano di Alfonso cominciasse a tremare.
"Non possiamo farlo da soli" decise Jimeno dopo aver soppesato le varie possibilità.
Il Nero annuì.
"Se fossimo di più…"
"Di te non avevo certo tenuto conto" ribatté il bargello. Sancho chinò la testa e, arretrando, tornò a nascondersi dietro la sua roccia. Jimeno si rivolse a suo figlio. "Torniamo al villaggio".
Nessuno si oppose. Con molta cautela cominciarono ad allontanarsi dal bivacco fino a perdere di vista la luce del fuoco e si immersero in un'oscurità che la luna calante riusciva appena a violare. Attraversarono la montagna tra sterpi e arbusti irrequieti a causa del vento. Non si azzardarono a tornare sul sentiero fino a quando non ebbero messo una distanza considerevole tra loro e i banditi. Il ritorno a Lacorvilla avvenne in gran fretta e in un continuo girarsi indietro a guardare.
"Dobbiamo dirlo agli altri al villaggio" osservò Sancho quando furono sufficientemente lontani. Il carbonaio si stringeva addosso il suo miserabile mantello. "Dovremmo organizzare una riunione".
Jimeno lo sentì e rallentò il passo. Alfonso se ne rallegrò, non aveva le gambe lunghe come suo padre. Sua madre sosteneva che un giorno sarebbe diventato alto come lui, ma a diciassette anni compiuti era ancora più basso del bargello di un'intera testa. Continuarono a camminare e dopo un po' Jimeno rispose:
"Qualcosa bisogna dire ai compaesani" riconobbe a disagio "ma bisogna scegliere molto attentamente che cosa . Se diciamo loro così all'improvviso che abbiamo visto gli albari potrebbero farsi prendere dal panico. No, dobbiamo essere cauti. Fintanto che avranno pecore da mangiare non ci daranno problemi". Alfonso guardò suo padre aggrottando la fronte. Quelle pecore appartenevano allo zio Guillén, che non sarebbe stato zitto sapendo che la sua fonte di sostentamento veniva divorata da quei mostri.
"Abbiamo alcuni giorni di tempo per decidere come agire. La cosa migliore sarebbe prendere accordi con don Yéquera" disse, mentre cominciava ad intravedere il castello che si trovava sull'altro versante della montagna, imponente sul promontorio.
"State parlando di rifugiarci tutti dentro le mura?" chiese Alfonso, dando voce alle sue perplessità. "Ci sono due torri male in arnese e un cortile.
Non è abbastanza grande per tutti i compaesani e le loro bestie".
"Allora il bestiame dovrà rimanere all'esterno" intervenne Sancho. "Le persone hanno la precedenza".
Alfonso replicò con veemenza al Nero. Certo, per lui era facile separarsi dagli animali, perché non ne aveva. Lo accusò di essere un uomo vile ed egoista. Se a lui stava bene di non avere nulla e di vivere della carità della gente niente da dire, ma molti dei loro compaesani vivevano delle loro bestie e contavano proprio su quegli animali per dar da mangiare alle loro famiglie. Avrebbero cercato di fare in modo che sia il bestiame che le persone trovassero posto all'interno delle mura del castello. E alla fine minacciò il carbonaio di lasciarlo in balìa dei banditi.
"Se il bestiame non potrà ricoverarsi dentro il castello, neanche tu potrai entrare".
Maledetto codardo, si preoccupa solo per sé stesso . Alfonso sputò per terra, non lontano dai piedi del Nero.
"Non stavo pensando di rifugiarci nel castello" si spiegò Jimeno. Gli altri si girarono a guardarlo, sorpresi. "Pensavo di prendere le armi dall’arsenale.
E distribuirle alla gente".
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