Array Карло Коллоди - Приключения Пиноккио / Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino
- Название:Приключения Пиноккио / Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino
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- Жанр:
- Издательство:Литагент АСТ
- Год:2015
- Город:Москва
- ISBN:978-5-17-088909-9
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– E le tue monete d’oro?
– Le ho sempre in tasca.
– E pensare che, invece di quattro monete, potrebbero diventare domani mille e duemila! Perché non dai retta al mio consiglio? Perché non vai a seminarle nel Campo dei miracoli?
– Oggi è impossibile: vi anderò un altro giorno.
– Un altro giorno sarà tardi!.. – disse la Volpe.
– Perché?
– Perché quel campo è stato comprato da un gran signore, e da domani in là non sarà più permesso a nessuno di seminarvi i denari.
– Quant’è distante di qui il Campo dei miracoli?
– Due chilometri appena. Vuoi venire con noi? Fra mezz’ora sei là: semini subito le quattro monete: dopo pochi minuti ne raccogli duemila, e stasera ritorni qui colle tasche piene. Vuoi venire con noi?
Pinocchio esitò un poco a rispondere, perché gli tornò in mente la buona Fata, il vecchio Geppetto e gli avvertimenti del Grillo-parlante; ma poi finì col dare una scrollatina di capo [90], e disse alla Volpe e al Gatto:
– Andiamo pure: io vengo con voi.
E partirono.
Dopo aver camminato una mezza giornata arrivarono a una città. Appena entrato in città, Pinocchio vide tutte le strade popolate di cani spelacchiati, di pecore tosate, che tremavano dal freddo, di galline rimaste senza cresta, che chiedevano l’elemosina d’un chicco di granturco, di grosse farfalle, che non potevano più volare, perché avevano venduto le loro bellissime ali colorite, e di pavoni tutti scodati.
In mezzo a questa folla di accattoni e di poveri vergognosi, passavano alcune carrozze signorili con dentro o qualche Volpe, o qualche Gazza ladra.
– E il Campo dei miracoli dov’è? – domandò Pinocchio.
– È qui a due passi.
Detto fatto traversarono la città e, usciti fuori dalle mura, si fermarono in un campo solitario che somigliava a tutti gli altri campi.
– Eccoci giunti – disse la Volpe al burattino. – Ora chinati giù a terra, scava con le mani una piccola buca nel campo, e mettici dentro le monete d’oro.
Pinocchio obbedì. Scavò la buca, ci pose le quattro monete d’oro che gli erano rimaste: e dopo ricoprì la buca con un po’ di terra.
– Ora – disse la Volpe – va’ alla gora qui vicina, prendi una secchia d’acqua e annaffia il terreno dove hai seminato.
Pinocchio andò alla gora, e perché non aveva una secchia, si levò di piedi una ciabatta e, riempitala d’acqua, annaffiò la terra che copriva la buca. Poi domandò:
– C’è altro da fare?
– Nient’altro – rispose la Volpe. – Ora possiamo andar via. Tu poi ritorna qui fra una ventina di minuti, e troverai l’arboscello coi rami tutti carichi di monete.
Il povero burattino ringraziò mille volte la Volpe e il Gatto, e promise loro un bellissimo regalo.
– Noi non vogliamo regali – risposero questi due malanni. – A noi ci basta di averti insegnato il modo di arricchire, e siamo contenti.
Ciò detto salutarono Pinocchio e se ne andarono per i fatti loro.
19. Pinocchio è derubato delle sue monete d’oro, e per castigo, si busca quattro mesi di prigione
Il burattino, ritornato in città, cominciò a contare i minuti; e, quando gli parve che fosse l’ora, riprese subito la strada che menava al Campo dei miracoli.
E mentre camminava, il cuore gli batteva forte. E intanto pensava dentro di sé: “E se invece di mille monete, ne trovassi su i rami dell’albero duemila?… E se invece di duemila, ne trovassi cinquemila? e se invece di cinquemila, ne trovassi centomila? Oh che bel signore diventerei!.. Vorrei avere un bel palazzo, mille cavallini di legno e mille scuderie, una cantina di rosoli, e una libreria tutta piena di canditi, di torte e di mandorlati”.
Così fantasticando, giunse in vicinanza del campo, e lì si fermò a guardare se per caso avesse potuto scorgere qualche albero coi rami carichi di monete: ma non vide nulla. Andò proprio su quella piccola buca, dove aveva sotterrato i suoi zecchini, e nulla. Allora diventò pensieroso e tirò fuori una mano di tasca e si dette una lunghissima grattata di capo.
In quel mentre sentì una gran risata: voltatosi in su, vide sopra un albero un grosso Pappagallo.
– Perché ridi? – gli domandò Pinocchio.
– Rido, perché nello spollaiarmi mi sono fatto il solletico sotto le ali.
Il burattino non rispose. Andò alla gora e riempita d’acqua la solita ciabatta, si pose novamente ad annaffiare la terra, che ricopriva le monete d’oro.
Quand’ecco un’altra risata.
– Insomma – gridò Pinocchio, arrabbiandosi – si può sapere di che cosa ridi?
– Rido di quei barbagianni, che credono a tutte le scioccherie e che si lasciano trappolare da chi è più furbo di loro.
– Parli forse di me?
– Sì, parlo di te; di te che sei così dolce di sale [91]da credere che i denari si possano seminare e raccogliere nei campi, come si seminano le zucche. Anch’io l’ho creduto una volta. Oggi mi son dovuto persuadere che per mettere insieme [92]onestamente pochi soldi bisogna saperseli guadagnare o col lavoro delle proprie mani o coll’ingegno della propria testa.
– Non ti capisco – disse il burattino.
– Pazienza! Mi spiegherò meglio – soggiunse il Pappagallo. – Sappi dunque che la Volpe e il Gatto sono tornati in questo campo: hanno preso le monete d’oro sotterrate, e poi sono fuggiti come il vento.
Pinocchio restò a bocca aperta, e non volendo credere alle parole del Pappagallo, cominciò colle mani e colle unghie a scavare il terreno che aveva annaffiato. E scava, scava, fece una buca profonda, ma le monete non c’erano più.
Preso allora dalla disperazione [93], tornò di corsa in città e andò difilato in tribunale, per denunziare al giudice i due malandrini, che lo avevano derubato.
Il giudice era una scimmia della razza dei Gorilla: una vecchia scimmia rispettabile per la sua grave età, per la sua barba bianca e per i suoi occhiali d’oro, senza vetri, che era costretto a portare continuamente, a motivo d’una flussione d’occhi.
Pinocchio raccontò per filo e per segno [94]l’iniqua frode, di cui era stato vittima; dette il nome, il cognome dei malandrini, e finì chiedendo giustizia.
Il giudice lo ascoltò con molta benignità; prese vivissima parte al racconto: s’intenerì: e quando il burattino non ebbe più nulla da dire, allungò la mano e suonò il campanello.
A quella scampanellata comparvero subito due cani mastini vestiti da giandarmi.
Allora il giudice, accennando Pinocchio ai giandarmi, disse loro:
– Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d’oro: pigliatelo dunque, e mettetelo subito in prigione.
Il burattino rimase di princisbecco [95]e voleva protestare: ma i giandarmi, a scanso di [96]perditempi inutili, gli tapparono la bocca e lo condussero in gattabuia.
E lì v’ebbe a rimanere quattro mesi: quattro lunghissimi mesi. Ma il giovane Imperatore che regnava nella città, avendo riportato una bella vittoria contro i suoi nemici, ordinò grandi feste pubbliche, fuochi artificiali, e in segno di maggiore esultanza, volle che fossero aperte anche le carceri e mandati fuori tutti i malandrini.
– Se escono di prigione gli altri, voglio uscire anch’io – disse Pinocchio al carceriere.
– Voi no, – rispose il carceriere.
– Domando scusa; – replicò Pinocchio – sono un malandrino anch’io.
– In questo caso avete mille ragioni – disse il carceriere; gli aprì le porte della prigione e lo lasciò scappare.
20. Liberato dalla prigione, si avvia per tornare a casa della Fata; ma lungo la strada trova un serpente, e poi rimane preso alla tagliola
[97]
Figuratevi l’allegrezza di Pinocchio quando si sentì libero: uscì subito fuori della città e riprese la strada, che doveva ricondurlo alla Casina della Fata.
A cagione del tempo piovigginoso, la strada era diventata tutta un pantano e ci si andava fino a mezza gamba. Ma il burattino non se ne dava per inteso [98]. Correva a salti, e nel correre le pillacchere gli schizzavano fin sopra il berretto. Intanto andava dicendo fra sé e sé: “Quante disgrazie mi sono accadute… E me le merito! perché io sono un burattino testardo… e voglio far sempre tutte le cose a modo mio, senza dar retta a quelli che mi vogliono bene!.. Ma ora faccio di cambiar vita e di diventare un ragazzo ammodo e ubbidiente… E il mio babbo mi avrà aspettato?… Ce lo troverò a casa della Fata? È tanto tempo, pover’uomo, che non lo vedo più, che mi struggo di fargli mille carezze e di finirlo dai baci! E la Fata mi perdonerà la brutta azione che le ho fatta?…”
Nel tempo che diceva così, si fermò spaventato, e fece quattro passi indietro.
Che cosa aveva veduto?
Aveva veduto un grosso Serpente, disteso attraverso alla strada, che aveva la pelle verde, gli occhi di fuoco e la coda appuntata.
Impossibile immaginarsi la paura del burattino: il quale, allontanatosi più di mezzo chilometro, si mise a sedere, aspettando che il Serpente se ne andasse per i fatti suoi e lasciasse libero il passo della strada.
Aspettò un’ora; due ore; tre ore: ma il Serpente era sempre là, e, anche di lontano, si vedeva il rosseggiare de’ suoi occhi di fuoco e la colonna di fumo che gli usciva dalla punta della coda.
Allora Pinocchio si avvicinò a pochi passi di distanza, e facendo una vocina dolce disse al Serpente:
– Scusi, signor Serpente, che mi farebbe il piacere di tirarsi un pochino da una parte, tanto da lasciarmi passare?
Fu lo stesso che dire al muro. Nessuno si mosse.
Allora riprese colla solita vocina:
– Deve sapere, signor Serpente, che io vado a casa, dove c’è il mio babbo che mi aspetta e che è tanto tempo che non lo vedo più!..
Aspettò un segno di risposta a quella domanda: ma la risposta non venne: anzi il Serpente, che fin allora pareva arzillo e pieno di vita, diventò immobile. Gli occhi gli si chiusero e la coda gli smesse di fumare.
– Che sia morto davvero?… – disse Pinocchio, e fece l’atto di scavalcarlo, per passare dall’altra parte della strada. Ma non aveva ancora finito di alzare la gamba, che il Serpente si rizzò all’improvviso: e il burattino, nel tirarsi indietro spaventato, inciampò e cadde per terra.
E per l’appunto cadde così male, che restò col capo conficcato nel fango della strada e con le gambe ritte su in aria.
Alla vista di quel burattino, che sgambettava con una velocità incredibile, il Serpente fu preso da una tal convulsione di risa, che ridi, ridi, ridi, alla fine, dallo sforzo del troppo ridere, gli si strappò una vena sul petto: e quella volta morì davvero.
Allora Pinocchio ricominciò a correre per arrivare a casa della Fata. Ma lungo la strada, non potendo più reggere ai morsi terribili della fame, saltò in un campo coll’intenzione di cogliere poche ciocche d’uva.!
Appena giunto sotto la vite, crac … sentì stringersi le gambe da due ferri taglienti.
Il povero burattino era rimasto preso a una tagliola appostata da alcuni contadini per beccarvi alcune grosse faine, che erano il flagello di tutti i pollai del vicinato.
21. Pinocchio è preso da un contadino, il quale lo costringe a far da cane di guardia a un pollaio
Pinocchio si dette a piangere: ma erano pianti e grida inutili, perché lì all’intorno non si vedevano case e dalla strada non passava anima viva.
Intanto si fece notte.
Un po’ per lo spasimo della tagliola che gli segava gli stinchi, e un po’ per la paura di trovarsi solo e al buio in mezzo a quei campi, il burattino principiava quasi a svenirsi; quando a un tratto, vedendosi passare una lucciola, la chiamò e le disse:
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