Array Карло Коллоди - Приключения Пиноккио / Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino
- Название:Приключения Пиноккио / Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino
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- Издательство:Литагент АСТ
- Год:2015
- Город:Москва
- ISBN:978-5-17-088909-9
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– La sete me la son levata! Così mi potessi levar la fame!..
La buona donna soggiunse subito:
– Se mi aiuti a portare a casa una di queste brocche d’acqua, ti darò un pezzo di pane.
Pinocchio guardò la brocca e non rispose né sì né no.
– E insieme col pane ti darò un bel piatto di cavolfiore condito coll’olio e coll’aceto – soggiunse la buona donna.
Pinocchio non rispose né sì né no.
– E dopo il cavolfiore ti darò un bel confetto ripieno di rosolio.
Alle seduzioni di quest’ultima ghiottoneria, Pinocchio non seppe più resistere e disse:
– Pazienza! vi porterò la brocca fino a casa!
La brocca era molto pesa, e il burattino si rassegnò a portarla in capo.
Arrivati a casa, la buona donna fece sedere Pinocchio a una piccola tavola, e gli pose davanti il pane, il cavolfiore condito e il confetto.
Pinocchio non mangiò, ma diluviò.
Calmati i morsi rabbiosi della fame, allora alzò il capo per ringraziare la sua benefattrice: ma cacciò un lunghissimo ohhh! di meraviglia, e rimase là incantato, cogli occhi spalancati.
– Che cos’è mai tutta questa meraviglia? – disse ridendo la buona donna.
– Egli è… – rispose balbettando Pinocchio – egli è…, che voi mi somigliate… voi mi rammentate… sì, sì, sì, la stessa voce… gli stessi occhi… gli stessi capelli… anche voi avete i capelli turchini… come lei!.. O Fatina mia!.. o Fatina mia!.. ditemi che siete voi, proprio voi!.. Non mi fate più piangere!
E nel dir così, Pinocchio piangeva, e gettatosi ginocchioni per terra, abbracciava i ginocchi di quella donna.
25. Pinocchio promette alla Fata di esser buono e di studiare, perché è stufo di fare il burattino e vuol diventare un bravo ragazzo
[111]
In sulle prime, la buona donnina cominciò col dire che lei non era la piccola Fata dai capelli turchini: ma poi, vedendosi oramai scoperta, disse a Pinocchio:
– Birba d’un burattino! Come mai ti sei accorto che ero io?
– Gli è il gran bene che vi voglio, quello che me l’ha detto.
– Ti ricordi, eh? Mi lasciasti bambina, e ora mi ritrovi donna; tanto donna, che potrei quasi farti da mamma.
– E io vi chiamerò la mia mamma. Gli è tanto tempo che mi struggo di avere una mamma come tutti gli altri ragazzi!.. Ma come avete fatto a crescere così presto?
– È un segreto.
– Insegnatemelo: vorrei crescere un poco anch’io.
– Ma tu non puoi crescere – replicò la Fata.
– Perché?
– Perché i burattini non crescono mai. Nascono burattini, vivono burattini e muoiono burattini.
– Oh! sono stufo di far sempre il burattino! – gridò Pinocchio, dandosi uno scappellotto. – Sarebbe ora che diventassi anch’io un uomo…
– E lo diventerai, se saprai meritarlo…
– Davvero? E che posso fare per meritarmelo?
– Una cosa facilissima: avvezzarti a essere un ragazzino perbene.
– O che forse non sono?
– Tutt’altro! I ragazzi perbene sono ubbidienti, e tu invece…
– E io non ubbidisco mai.
– I ragazzi perbene prendono amore allo studio e al lavoro, e tu…
– E io, invece, faccio il vagabondo tutto l’anno.
– I ragazzi perbene dicono sempre la verità…
– E io sempre le bugie.
– I ragazzi perbene vanno volentieri alla scuola…
– E a me la scuola mi fa venire i dolori di corpo. Ma da oggi in poi voglio mutar vita.
– Me lo prometti?
– Lo prometto. Voglio diventare un ragazzino perbene, e voglio essere la consolazione del mio babbo… Dove sarà il mio povero babbo a quest’ora?
– Non lo so.
– Avrò mai la fortuna di poterlo rivedere e abbracciare?
– Credo di sì: anzi ne sono sicura.
A questa risposta fu tale e tanta la contentezza di Pinocchio, che prese le mani alla Fata e cominciò a baciargliele. Poi le domandò:
– Dimmi, mammina: dunque non è vero che tu sia morta?
– Par di no – rispose sorridendo la Fata.
– Se tu sapessi che dolore che provai, quando lessi qui giace…
– Lo so: ed è per questo che ti ho perdonato. La sincerità del tuo dolore mi fece conoscere che tu avevi il cuore buono. Ecco perché son venuta a cercarti fin qui. Io sarò la tua mamma…
– Oh! che bella cosa! – gridò Pinocchio saltando dall’allegrezza.
– Tu mi ubbidirai e farai sempre quello che ti dirò io.
– Volentieri, volentieri, volentieri!
– Fino da domani – soggiunse la Fata – tu comincerai coll’andare a scuola.
Pinocchio diventò subito un po’ meno allegro.
– Poi sceglierai a tuo piacere un’arte o un mestiere…
Pinocchio diventò serio.
– Che cosa brontoli fra i denti? – domandò la Fata con accento risentito.
– Dicevo… – mugolò il burattino a mezza voce – che oramai per andare a scuola mi pare un po’ tardi…
– No. Tieni a mente che per istruirsi e per imparare non è mai tardi.
– Ma io non voglio fare né arti né mestieri…
– Perché?
– Perché a lavorare mi par fatica.
– Ragazzo mio, – disse la Fata – quelli che dicono così, finiscono quasi sempre o in carcere o allo spedale. L’uomo nasca ricco o povero, è obbligato in questo mondo a far qualcosa, a occuparsi, a lavorare. Guai a lasciarsi prendere dall’ozio! L’ozio è una bruttissima malattia e bisogna guarirla subito, fin da bambini: se no, quando siamo grandi, non si guarisce più.
Queste parole toccarono l’animo di Pinocchio, il quale rialzando vivacemente la testa, disse alla Fata:
– Io studierò, io lavorerò, io farò tutto quello che mi dirai, perché, insomma, la vita del burattino mi è venuta a noia, e voglio diventare un ragazzo. Me l’hai promesso, non è vero?
– Te l’ho promesso, e ora dipende da te.
26. Pinocchio va co’ suoi compagni di scuola in riva al mare, per vedere il terribile Pescecane
Il giorno dopo Pinocchio andò alla Scuola comunale.
Figuratevi quelle birbe di ragazzi, quando videro entrare nella loro scuola un burattino! Fu una risata, che non finiva più. Chi gli faceva uno scherzo, chi un altro: chi gli levava il berretto di mano: chi gli tirava il giubbettino di dietro; chi si provava a fargli coll’inchiostro due grandi baffi sotto il naso, e chi si attentava perfino a legargli dei fili ai piedi e alle mani, per farlo ballare.
Per un poco Pinocchio usò disinvoltura e tirò via; ma finalmente, sentendosi scappar la pazienza, si rivolse a quelli che più lo tafanavano e si pigliavano gioco di lui, e disse loro a muso duro [112]:
– Badate, ragazzi: io non son venuto qui per essere il vostro buffone. Io rispetto gli altri e voglio esser rispettato.
– Bravo berlicche! Hai parlato come un libro stampato! – urlarono quei monelli: e uno di loro allungò la mano coll’idea di prendere il burattino per la punta del naso.
Ma non fece a tempo: perché Pinocchio stese la gamba sotto la tavola e gli consegnò una pedata negli stinchi.
– Ohi! che piedi duri! – urlò il ragazzo stropicciandosi il livido che gli aveva fatto il burattino.
– E che gomiti!.. anche più duri dei piedi! – disse un altro che, per i suoi scherzi sguaiati, s’era beccata una gomitata nello stomaco.
Fatto sta che dopo quel calcio e quella gomitata, Pinocchio acquistò subito la stima e la simpatia di tutti i ragazzi di scuola: e tutti gli facevano mille carezze e tutti gli volevano un ben dell’anima [113].
E anche il maestro se ne lodava, perché lo vedeva attento, studioso, intelligente, sempre il primo a entrare nella scuola, sempre l’ultimo a rizzarsi in piedi, a scuola finita.
Il solo difetto che avesse era quello di bazzicare troppi compagni: e fra questi, c’erano molti monelli conosciutissimi per la loro poca voglia di studiare.
Il maestro lo avvertiva tutti i giorni, e anche la buona Fata non mancava di dirgli e di ripetergli più volte:
– Bada, Pinocchio! Quei tuoi compagni di scuola finiranno prima o poi col farti perdere l’amore allo studio e col tirarti addosso qualche grossa disgrazia.
– Non c’è pericolo! – rispondeva il burattino, e toccandosi coll’indice in mezzo alla fronte, come per dire: “C’è tanto giudizio qui dentro!”
Ora avvenne che un bel giorno, mentre camminava verso la scuola, incontrò un branco dei soliti compagni, che, andandogli incontro, gli dissero:
– Sai la gran notizia?
– No.
– Qui nel mare vicino è arrivato un Pescecane.
– Davvero?… Che sia quel medesimo Pescecane di quando affogò il mio povero babbo?
– Noi andiamo alla spiaggia per vederlo. Vuoi venire anche tu?
– Io no: io voglio andare a scuola.
– Che t’importa della scuola? Alla scuola ci anderemo domani. Con una lezione di più o con una di meno, si rimane sempre gli stessi somari.
– E il maestro che dirà?
– Il maestro si lascia dire. È pagato apposta per brontolare tutti i giorni.
– E la mia mamma?
– Le mamme non sanno mai nulla – risposero quei malanni.
– Sapete che cosa farò? – disse Pinocchio. – Il Pescecane voglio vederlo per certe mie ragioni… ma anderò a vederlo dopo la scuola.
– Povero giucco! – ribattè uno del branco. – Che credi che un pesce di quella grossezza voglia star lì a fare il comodo tuo? Appena s’è annoiato, piglia il dirizzone per un’altra parte.
– Quanto tempo ci vuole di qui alla spiaggia? – domandò il burattino.
– Fra un’ora, siamo andati e tornati.
– Dunque, via! e chi più corre, è più bravo! – gridò Pinocchio.
Dato così il segnale della partenza, quel branco di modelli, coi loro libri e i loro quaderni sotto il braccio, si messero a correre attraverso ai campi: e Pinocchio era sempre avanti a tutti: pareva che avesse le ali ai piedi.
Di tanto in tanto [114], voltandosi indietro, canzonava i suoi compagni rimasti a una bella distanza, e nel vederli ansanti, trafelati, polverosi e con tanto di lingua fuori, se la rideva proprio di cuore. Lo sciagurato non sapeva a quali paure e a quali orribili disgrazie andava incontro!..
27. Gran combattimento fra Pinocchio e i suoi compagni: uno de’ quali essendo rimasto ferito, Pinocchio viene arrestato dai carabinieri
Giunto che fu sulla spiaggia, Pinocchio dette subito una grande occhiata sul mare; ma non vide nessun Pescecane. Il mare era tutto liscio.
– O il Pescecane dov’è? – domandò, voltandosi ai compagni.
– Sarà andato a far colazione – rispose uno di loro, ridendo.
– O si sarà buttato sul letto per fare un sonnellino – aggiunse un altro, ridendo più forte che mai.
Da quelle risposte sconclusionate, Pinocchio capì che i suoi compagni gli avevano fatto una brutta celia, disse loro con voce di bizza:
– E ora? che sugo ci avete trovato a darmi ad intendere la storiella del Pescecane?
– Il sugo c’è sicuro!.. – risposero in coro quei monelli.
– E sarebbe?
– Quello di farti perdere la scuola e di farti venire con noi. Non ti vergogni a mostrarti tutti i giorni così preciso alla lezione? Non ti vergogni a studiar tanto, come fai?
– E se io studio, che cosa ve ne importa?
– A noi ce ne importa moltissimo, perché ci costringi a fare una brutta figura [115]col maestro…
– Perché?
– Perché gli scolari che studiano, fanno sempre scomparire quelli, come noi, che non hanno voglia di studiare. E noi non vogliamo scomparire!
– E allora che cosa devo fare per contentarvi?
– Devi prendere a noia, anche tu, la scuola, la lezione e il maestro, che sono i nostri tre grandi nemici.
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