Array Карло Коллоди - Приключения Пиноккио / Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino
- Название:Приключения Пиноккио / Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino
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- Издательство:Литагент АСТ
- Год:2015
- Город:Москва
- ISBN:978-5-17-088909-9
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– E se io volessi seguitare a studiare?
– Noi non ti guarderemo più in faccia, e alla prima occasione ce la pagherai!..
– In verità mi fate quasi ridere – disse il burattino.
– Ehi, Pinocchio! – gridò allora il più grande di quei ragazzi. – Non venir qui a fare lo smargiasso: non venir qui a far tanto il galletto [116]! Ricordati che tu sei solo e noi siamo sette.
– Sette come i peccati mortali – disse Pinocchio con una gran risata.
– Pinocchio! chiedici scusa dell’offesa… o se no, guai a te!..
– Cucù! – fece il burattino, in segno di canzonatura.
– Pinocchio! la finisce male!..
– Cucù!
– Ora il cucù te lo darò io! – gridò il più ardito di quei monelli.
E nel dir così gli appiccicò un pugno nel capo.
Ma fu botta e risposta; perché il burattino rispose subito con un altro pugno: e lì, da un momento all’altro, il combattimento diventò generale.
Pinocchio, sebbene fosse solo, si difendeva come un eroe. Dove i suoi piedi potevano arrivare e toccare, ci lasciavano sempre un livido per ricordo.
Allora i ragazzi pensarono bene di metter mano ai proiettili; e sciolti i fagotti de’ loro libri di scuola, cominciarono a scagliare contro di lui i Sillabari , le Grammatiche , i Racconti del Thouar, il Pulcino della Baccini e altri libri scolastici: ma il burattino, che era d’occhio svelto, faceva sempre civetta [117]a tempo, sicché i volumi andavano tutti a cascare nel mare.
I pesci, credendo che quei libri fossero roba da mangiare, correvano a frotte a fior d’acqua [118]; ma dopo avere abboccata qualche pagina o qualche frontespizio, la risputavano subito.
Intanto il combattimento s’inferociva sempre più, quand’ecco che un grosso Granchio, che era uscito fuori dall’acqua e s’era adagio adagio arrampicato fin sulla spiaggia, gridò:
– Smettetela, birichini che non siete altro! Queste guerre manesche raramente vanno a finir bene. Qualche disgrazia accade sempre!..
Povero Granchio! Fu lo stesso che avesse predicato al vento [119]. Anzi quella birba di Pinocchio gli disse:
– Chetati, Granchio dell’uggia! Va’ piuttosto a letto!..
In quel frattempo i ragazzi occhiarono lì a poca distanza il fagotto dei libri del burattino, e se ne impadronirono.
Fra questi libri, v’era un volume rilegato in cartoncino grosso, colla costola e colle punte di cartapecora. Era un Trattato di Aritmetica .
Uno di quei monelli agguantò quel volume, e lo scagliò con quanta forza aveva nel braccio: ma invece di cogliere il burattino, colse nella testa uno dei compagni; il quale diventò bianco, e non disse altro che queste parole:
– O mamma mia, aiutatemi… perché muoio!..
Poi cadde disteso sulla rena del lido.
Alla vista di quel morticino, i ragazzi spaventati si dettero a scappare.
Ma Pinocchio rimase lì; e sebbene per il dolore e per lo spavento, anche lui fosse più morto che vivo, nondimeno corse a inzuppare il suo fazzoletto nell’acqua del mare e si pose a bagnare la tempia del suo povero compagno di scuola. E lo chiamava per nome e gli diceva:
– Eugenio!.. povero Eugenio mio!.. apri gli occhi, e guardami!.. Perché non mi rispondi? Apri gli occhi, Eugenio… Se tieni gli occhi chiusi, mi farai morire anche me… O Dio mio! come farò ora a tornare a casa?… Con che coraggio potrò presentarmi alla mia buona mamma? Che sarà di me?… Oh! quant’era meglio, mille volte meglio che fossi andato a scuola!.. Perché ho dato retta a questi compagni?… E il maestro me l’aveva detto!.. e la mia mamma me l’aveva ripetuto: – Guardati dai cattivi compagni! – Ma io sono un testardo! E dopo mi tocca a scontarle… Dio mio! Che sarà di me?
E Pinocchio continuava a piangere, quando sentì a un tratto un rumore sordo di passi che si avvicinavano.
Si voltò: erano due carabinieri.
– Che cosa fai costì sdraiato per terra? – domandarono a Pinocchio.
– Assisto questo mio compagno di scuola.
– Che gli è venuto male?
– Par di sì!..
– Altro che male! – disse uno dei carabinieri, chinandosi e osservando Eugenio da vicino. – Questo ragazzo è stato ferito in una tempia: chi è che l’ha ferito?
– Io no! – balbettò il burattino.
– Se non sei stato tu, chi è stato dunque che l’ha ferito?
– Io no! – ripetè Pinocchio.
– E con che cosa è stato ferito?
– Con questo libro. – E il burattino raccattò di terra il Trattato di Aritmetica per mostrarlo al carabiniere.
– E questo libro di chi è?
– Mio.
– Basta così: non occorre altro. Rizzati subito, e vien via con noi.
– Ma io…
– Via con noi!..
– Ma io sono innocente…
– Via con noi!
Prima di partire, i carabinieri chiamarono alcuni pescatori e dissero loro:
– Vi affidiamo questo ragazzetto ferito nel capo. Portatelo a casa vostra e assistetelo. Domani torneremo a vederlo.
Quindi si volsero a Pinocchio e dopo averlo messo in mezzo a loro due, gl’intimarono:
– Avanti! e cammina spedito!
Senza farselo ripetere, il burattino cominciò a camminare per quella viottola, che conduceva al paese.
Ma il povero diavolo [120]non sapeva più nemmeno lui in che mondo si fosse. Gli pareva di sognare, e che brutto sogno! Era fuori di sé. I suoi occhi vedevano tutto doppio: le gambe gli tremavano. Eppure una spina acutissima gli bucava il cuore: il pensiero, cioè, di dover passare sotto le finestre di casa della sua buona Fata. Avrebbe preferito piuttosto di morire.
Erano già arrivati e stavano per entrare in paese, quando una folata di vento levò di testa a Pinocchio il berretto, portandoglielo lontano una diecina di passi.
– Si contentano – disse il burattino ai carabinieri – che vada a riprendere il mio berretto?
– Vai pure.
Il burattino andò, raccattò il berretto… ma invece di metterselo in capo, se lo mise in bocca fra i denti, e poi cominciò a correre verso la spiaggia del mare. Andava via come una palla di fucile.
I carabinieri aizzarono dietro un grosso cane mastino, che aveva guadagnato il primo premio a tutte le corse dei cani. Pinocchio correva, e il cane correva più di lui: per cui tutta la gente si affacciava alle finestre e si affollava in mezzo alla strada, ansiosa di veder la fine di un palio così inferocito. Ma non potè levarsi questa voglia, perché fra il can mastino e Pinocchio sollevarono lungo la strada un tal polverone, che dopo pochi minuti non era possibile di veder più nulla.
28. Pinocchio corre pericolo di esser fritto in padella, come un pesce
Durante quella corsa disperata, vi fu un momento terribile, in cui Pinocchio si credè perduto: perché bisogna sapere che Alidoro (era questo il nome del can mastino) a furia di correre, l’aveva quasi raggiunto.
Basti dire che il burattino sentiva dietro di sé l’ansare affannoso di quella bestia.
Per buona fortuna la spiaggia era oramai vicina e il mare si vedeva lì a pochi passi.
Appena fu sulla spiaggia, il burattino spiccò un bellissimo salto e andò a cascare in mezzo all’acqua. Alidoro invece voleva fermarsi; ma trasportato dall’impeto della corsa, entrò nell’acqua anche lui. E quel disgraziato non sapeva nuotare; per cui cominciò subito ad annaspare colle zampe per reggersi a galla [121]: ma più annaspava e più andava col capo sott’acqua.
Quando tornò a rimettere il capo fuori, il povero cane aveva gli occhi impauriti, e, abbaiando, gridava:
– Affogo! Aiutami, Pinocchio mio!.. salvami dalla morte!..
A quelle grida il burattino si mosse a compassione, e voltosi al cane gli disse:
– Ma se io ti aiuto a salvarti, mi prometti di non darmi più noia e di non corrermi dietro?
– Te lo prometto!
Pinocchio esitò un poco: ma poi ricordandosi che il suo babbo gli aveva detto tante volte che a fare una buona azione non ci si scapita mai, andò nuotando a raggiungere Alidoro, e, presolo per la coda con tutte e due le mani, lo portò sano e salvo sulla rena del lido.
Il povero cane non si reggeva più in piedi. Aveva bevuto, senza volerlo, tant’acqua salata, che era gonfiato come un pallone. E il burattino, non volendo fare a fidarsi troppo, stimò cosa prudente di gettarsi novamente in mare; e allontanandosi dalla spiaggia, gridò all’amico salvato:
– Addio, Alidoro; fa’ buon viaggio e tanti saluti a casa.
– Addio, Pinocchio – rispose il cane; – mille grazie di avermi liberato dalla morte. Tu m’hai fatto un gran servizio. Se capita l’occasione, ci riparleremo…
Pinocchio seguitò a nuotare, tenendosi sempre vicino alla terra. Finalmente gli parve di esser giunto in un luogo sicuro; vide sugli scogli una specie di grotta, dalla quale usciva un lunghissimo pennacchio di fumo.
– In quella grotta – disse allora fra sé – ci deve essere del fuoco. Tanto meglio! Anderò a rasciugarmi e a riscaldarmi, e poi?… e poi sarà quel che sarà.
Presa questa risoluzione, si avvicinò alla scogliera; ma quando fu lì per arrampicarsi, sentì qualche cosa sotto l’acqua che saliva, saliva e lo portava per aria. Tentò subito di fuggire, ma ormai era tardi, perché con sua grandissima meraviglia si trovò rinchiuso dentro una grossa rete in mezzo a un brulichio di pesci.
E nel tempo stesso vide uscire dalla grotta un pescatore così brutto, che pareva un mostro marino. Invece di capelli aveva sulla testa un cespuglio foltissimo di erba verde; verde era la pelle del suo corpo, verdi gli occhi, verde la barba lunghissima. Pareva un grosso ramarro.
Quando il pescatore ebbe tirata fuori la rete dal mare, gridò tutto contento:
– Provvidenza benedetta! Anch’oggi potrò fare una bella scorpacciata di pesce!
– Manco male, che [122]io non sono un pesce! – disse Pinocchio dentro di sé.
La rete piena di pesci fu portata dentro la grotta, una grotta buia, in mezzo alla quale friggeva una gran padella d’olio, che mandava un odorino di moccolaia.
– Ora vediamo un po’ che pesci abbiamo presi! – disse il pescatore verde; e tirò fuori una manciata di triglie.
– Buone queste triglie! – disse, guardandole con compiacenza. E dopo le scaraventò in una conca senz’acqua.
Poi ripetè più volte la solita operazione; e via via che cavava fuori gli altri pesci, sentiva venirsi l’acquolina in bocca e gongolando diceva:
– Buoni questi naselli!..
– Squisiti questi muggini!..
– Deliziose queste sogliole!..
– Carine queste acciughe col capo!..
Come potete immaginarvelo, i naselli, i muggini, le sogliole e l’acciughe, andarono tutti alla rinfusa [123]nella conca.
L’ultimo che restò nella rete fu Pinocchio.
Appena il pescatore l’ebbe cavato fuori, sgranò dalla meraviglia i suoi occhioni verdi, gridando quasi impaurito:
– Che razza di pesce è questo? Dei pesci fatti a questo modo non mi ricordo di averne mangiati mai!
E tornò a guardarlo attentamente, e dopo averlo guardato ben bene per ogni verso, finì col dire:
– Ho capito: dev’essere un granchio di mare.
Allora Pinocchio disse con accento risentito:
– Ma che granchio e non granchio? Guardi come lei mi tratta! Io per sua regola sono un burattino.
– Un burattino? – replicò il pescatore. – Dico la verità, il pesce burattino è per me un pesce nuovo! Meglio così! ti mangerò più volentieri.
– Mangiarmi? ma la vuol capire che io non sono un pesce? O non sente che parlo, e ragiono come lei?
– È verissimo – soggiunse il pescatore – e siccome vedo che sei un pesce, che hai la fortuna di parlare e di ragionare, come me, così voglio usarti anch’io i dovuti riguardi.
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