Volodyk - Paolini2-Eldest
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ma sono...»
«Andati a caccia di foche, certo» tagliò corto Roran. «Penseremo noi anche alle guardie.»
Il pomo della gola abbronzata di Clovis sussultò. «Questo mi sembra ragionevole... perciò, vediamo... oltre alla paga dell'equipaggio, chiedo duecento corone, più un indennizzo per eventuali danni alle chiatte da parte dei vostri uomini, più... come armatore e capitano... il dodici percento dei proventi della vendita del carico.»
«Non ci saranno proventi.»
Questo, più di ogni altra cosa, parve innervosire Clovis. Si massaggiò la fossetta del mento con il pollice sinistro, fece per parlare due volte, s'interruppe, e alla fine disse: «In questo caso, altre quattrocento corone alla fine del viaggio. Se posso permettermi... cosa trasportate?»
L'abbiamo spaventato, pensò Roran. «Bestiame.»
«Ossia pecore, mucche, cavalli, capre, buoi...»
«Abbiamo un vasto assortimento di animali.»
«E perché volete portarli a Teirm?»
«Abbiamo le nostre buone ragioni.» Roran quasi sorrise davanti alla confusione di Clovis. «Prenderesti in considerazione l'idea di navigare oltre Teirm?»
«No! Teirm è il limite massimo. Non conosco le acque più avanti, né voglio stare troppo tempo lontano da mia moglie e mia figlia.»
«Quando potresti essere pronto?»
Clovis esitò e spostò il peso da un piede all'altro. «Direi fra cinque, sei giorni... No, meglio fra una settimana; ho degli affari da sbrigare prima di partire.»
«Ti pagheremo altre dieci corone se partiremo dopodomani.»
«Non...»
«Dodici corone.»
«E sia. Dopodomani» accettò Clovis. «In un modo o nell'altro, sarò pronto.»
Facendo scorrere la mano sul parapetto della chiatta, Roran annuì senza guardare Clovis e disse: «Posso avere un minuto per discutere con i miei soci da solo?»
«Ma certo. Andrò a fare una camminata sul molo finché non avrete finito.» Clovis si affrettò verso la porta della rimessa. Sulla soglia si fermò a chiedere: «Devi scusarmi, ma come hai detto che ti chiami? Temo mi sia sfuggito prima, e la mia memoria a volte è terribile.»
«Fortemartello. Mi chiamo Fortemartello.»
«Ah, certo. Bel nome.»
Quando la porta si chiuse, Horst e Baldor si avvicinarono a Roran. Baldor disse: «Non possiamo permetterci di ingaggiarlo.»
«Non possiamo permetterci di non ingaggiarlo» replicò Roran. «Non abbiamo l'oro per comprarci le chiatte, né mi sognerei di imparare a governarle da solo quando la vita di tutti dipende da questo. Sarà più rapido e più sicuro pagare un equipaggio.»
«Resta sempre troppo costoso» disse Horst.
Roran tamburellò con le dita sul parapetto. «Possiamo pagare la cifra iniziale di duecento corone. Una volta raggiunta Teirm, suggerisco o di rubare le chiatte e sfruttare quanto avremo imparato durante il viaggio, o di neutralizzare Clovis e i suoi uomini finché non saremo in grado di fuggire con altri mezzi. In questo modo, eviteremo di pagare le altre quattrocento corone e le paghe dei marinai.»
«Mi ripugna l'idea di ingannare un uomo onesto» disse Horst. «Mi si rivolta lo stomaco.»
«Nemmeno a me va a genio, ma quale alternativa abbiamo?»
«Come farai a imbarcare tutto il villaggio sulle chiatte?»
«Diremo a Clovis di fermarsi un miglio più a sud, lungo la costa, lontano da Narda.»
Horst sospirò. «D'accordo, faremo così, ma mi resta l'amaro in bocca. Baldor, va' a chiamare Clovis, e concludiamo questo accordo.»
Quella sera gli abitanti del villaggio si radunarono intorno a un piccolo falò per Accovacciato a terra, Roran fissava le braci pulsanti mentre ascoltava Gertrude e ascoltare le novità da Narda. i tre fratelli raccontare le loro avventure separate. La notizia dei manifesti di Roran ed Eragon suscitò mormorii di apprensione nel gruppo. Quando Darmen ebbe finito, Horst prese il suo posto e, con frasi brevi e concise, riferì della mancanza di navi adeguate a Narda, di come il portuale li avesse indirizzati verso un certo Clovis, e dell'accordo che avevano stretto con quest'ultimo. Ma nel momento in cui pronunciò la parola chiatte, le voci irate e scontente dei compaesani si levarono a coprire la sua.
Facendosi largo fino alla prima fila, Loring alzò le braccia per richiamare l'attenzione. «Chiatte?» disse il calzolaio. «Chiatte? Non vogliamo delle schifosissime chiatte!» Sputò per terra, mentre gli altri approvavano a gran voce. «Silenzio, tutti quanti!» esclamò Delwin. «Ci sentiranno, se continuiamo così.» Quando il crepitio delle fiamme fu l'unico suono udibile, continuò con voce più sommessa: «Sono d'accordo con Loring. Le chiatte sono inaccettabili. Sono lente e vulnerabili. E staremo pigiati come sardine, senza un minimo di intimità, ed esposti alle intemperie per chissà quanto tempo. Horst, Elain è incinta di sei mesi. Non puoi aspettarti che lei e i malati restino sotto il sole cocente per settimane e settimane.»
«Possiamo stendere tele cerate sui ponti» replicò Horst. «Non sarà molto, ma servirà a proteggerci dal sole e dalla pioggia.»
La voce di Brigit si levò sul brusìo della folla. «A me preoccupa qualcos'altro.» La gente si fece da parte per farla passare. «Con le duecento corone che dobbiamo a Clovis, e il denaro che Darmen e i suoi fratelli hanno speso, saremo praticamente al verde. Al contrario di quelli che abitano in città, la nostra ricchezza non consiste in oro, ma in proprietà e bestiame. Le nostre proprietà le abbiamo perdute, e ci restano pochi animali. Se anche diventassimo pirati e rubassimo quelle chiatte, come potremo rifornirci di altri viveri a Teirm o comprarci un passaggio per il sud?» «La cosa importante» borbottò Horst «è arrivare a Teirm. Una volta lì, ci preoccuperemo di come fare... Forse dovremo ricorrere a misure più drastiche.»
Il volto ossuto di Loring si trasformò in una massa di rughe. «Drastiche? Che intendi per drastiche? Siamo già stati drastici. Tutta questa avventura è drastica. Non m'importa quello che dici; non salirò su quelle dannate chiatte, non dopo quello che abbiamo passato sulla Grande Dorsale. Le chiatte sono fatte per trasportare granaglie e animali. Noi vogliamo una nave con cabine e cuccette dove dormire comodi. Perché non aspettiamo un'altra settimana e vediamo se arriva una vera nave da ingaggiare per il viaggio? Che male c'è? Oppure, perché non...» Continuò a concionare per altri quindici minuti, ammassando una quantità di obiezioni prima di cedere a Thane e Ridley, che esposero i loro argomenti. La conversazione si interruppe quando Roran allungò le gambe e si erse in tutta la sua statura, riducendo il villaggio al silenzio con la sua presenza soltanto. I compaesani attesero, col fiato sospeso, sperando in un altro dei suoi discorsi visionari.
«O così, o proseguiamo a piedi» disse.
Poi andò a dormire.
Il martello torna a colpire
La luna era alta nel firmamento stellato quando Roran uscì dalla tenda che condivideva con Baldor, camminò fino ai margini dell'accampamento e diede il cambio ad Albriech.
«Niente da riferire» sussurrò Albriech, poi si allontanò.
Roran incordò l'arco e piantò tre frecce nel terreno molle, a portata di mano, poi si avvolse in una coperta e si rannicchiò appoggiato a un masso lì vicino. La posizione gli consentiva una visuale completa delle colline buie. Com'era sua abitudine, Roran suddivise il panorama in quadranti, esaminando ciascuno per un minuto intero, attento a qualsiasi movimento o sprazzo di luce che potesse tradire la presenza del nemico. Ma la sua mente cominciò a vagare, saltando da un soggetto all'altro con la logica appannata dei sogni, distraendolo dal suo compito. Si morse l'interno della guancia per costringersi a recuperare la concentrazione. Restare sveglio era difficile, con quel clima mite... Roran era contento che la sorte non gli avesse assegnato uno dei due turni di guardia che precedevano l'alba, perché non davano l'opportunità di recuperare il sonno perduto e ci si sentiva stanchi per tutto il giorno. Un'improvvisa folata di vento lo fece rabbrividire; si sentì formicolare le orecchie e rizzare i capelli sul collo, pervaso da un presagio di malvagità che lo spaventò, cancellando ogni altro pensiero, tranne la convinzione che lui e il resto del villaggio erano in mortale pericolo. Tremava come
se avesse la febbre, il cuore gli martellava nel petto, e dovette resistere all'impulso di mettersi a correre. Che cosa mi succede? Gli costò uno sforzo immane persino incoccare una freccia.
A est, un'ombra si staccò dall'orizzonte. Visibile soltanto come uno spazio vuoto fra le stelle, si spostò lenta come un velo strappato fino a coprire la luna, dove si fermò, librandosi sospesa. Illuminate da dietro, Roran riconobbe le ali translucide di una delle cavalcature dei Ra'zac.
La nera creatura aprì il becco ed emise un lungo, lacerante strido. Roran trasalì di dolore per l'acutezza e la frequenza del grido. Gli feriva i timpani, raggelandogli il sangue nelle vene, e sostituì la speranza e la gioia con l'angoscia più cupa. L'ululato svegliò tutta la foresta. Gli uccelli e gli animali nel raggio di miglia esplosero in un coro di schiamazzi terrorizzati, compresi - notò Roran sgomento i pochi capi superstiti del bestiame del villaggio.
Correndo a testa bassa di albero in albero, Roran tornò all'accampamento, sussurrando a chiunque incontrasse: «I Ra'zac sono qui. Non fiatare e resta dove sei.» Vide le altre sentinelle muoversi fra i contadini spaventati, diffondendo lo stesso messaggio.
Fisk emerse in fretta e furia dalla sua tenda con una lancia in mano e ruggì: «Ci attaccano? Chi ha suonato quei maledetti...» Roran lo placcò per farlo tacere, lasciandosi sfuggire un lamento soffocato quando caddero a terra e lui urtò la spalla destra ferita contro il carpentiere.
«Ra'zac» mormorò Roran a Fisk.
Fisk rimase immobile e domandò con un filo di voce: «Che cosa posso fare?»
«Aiutami a calmare gli animali.»
Insieme attraversarono l'accampamento fino al campo vicino, dove erano stati radunati i muli, i cavalli, le pecore e le capre. I contadini proprietari del grosso del bestiame dormivano con loro, ed erano già svegli e impegnati ad ammansire le bestie. Roran ringraziò la cautela che lo aveva spinto a suggerire di tenere gli animali disseminati lungo i margini del campo, dove gli alberi e i cespugli li nascondevano da occhi ostili.
Mentre cercava di tranquillizzare un gruppo di pecore, Roran alzò lo sguardo verso la terribile ombra nera che ancora oscurava la luna, come un gigantesco pipistrello. Con orrore, si accorse che cominciava a spostarsi verso di loro. Se quella creatura grida ancora, siamo spacciati.
Quando il Ra'zac volò in cerchio su di loro, gli animali si zittirono, tranne un mulo che insisteva a emettere un rauco hi-ho. Senza un attimo di esitazione, Roran si calò su un ginocchio, incoccò una freccia e colpì l'asino fra le costole. La sua mira fu precisa e l'animale stramazzò senza emettere un suono.
Troppo tardi, però; il raglio aveva già insospettito il Ra'zac. Il mostro voltò la testa verso la radura e cominciò a scendere con gli artigli distesi, preceduto dal suo alito fetido.
Questo è il momento di vedere se si può uccidere un incubo, pensò Roran. Fisk, accovacciato accanto a lui nell'erba, alzò la lancia, preparandosi a scagliarla non appena il mostro fosse arrivato a tiro.
Proprio mentre Roran tendeva l'arco, nel tentativo di cominciare e finire la battaglia con un'unica freccia ben diretta, fu distratto da un clamore nella foresta.
Un branco di cervi sbucò dalla vegetazione, piombando in massa nel campo, ignorando uomini e animali nella frenetica fuga dai Ra'zac. Per quasi un minuto, i cervi balzarono intorno a Roran, calpestando il terreno molle con gli zoccoli, il chiaro di luna che si rifletteva nel bianco dei loro occhi rotondi. Erano così vicini che riusciva a sentire i tiepidi ansiti del loro respiro affannato.
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