Volodyk - Paolini2-Eldest

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Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание

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Se il cacciatore aveva ragione su Galbatorix, poteva significare soltanto una cosa: stava per scoppiare una guerra devastante, con tutte le terribili conseguenze del caso, come l'aumento delle tasse e la leva forzata. Quanto preferirei vivere in un'epoca priva di eventi importanti. Le guerre rendono le vite come la nostra, già difficili, praticamente impossibili.

«Per di più, si parla di...» E qui il cacciatore fece una pausa e, con un'espressione sapiente, si batte il naso con la punta dell'indice. «Di un nuovo Cavaliere in Alagaésia.» E scoppiò in una fragorosa risata, tenendosi la pancia mentre si dondolava sul gradino del portico.

Anche Roran si mise a ridere. Ad anni alterni circolavano storie che parlavano dei Cavalieri. Le prime due o tre volte si era lasciato convincere, ma poi aveva imparato a non fidarsi di questi racconti, che non approdavano mai a nulla di concreto. Quelle storie non erano altro che l'espressione di un desiderio da parte di coloro che anelavano a un futuro migliore.

Stava per girare i tacchi quando notò Katrina in piedi all'angolo della taverna, vestita con una lunga tunica rossiccia ornata da un nastro verde. La ragazza ricambiò il suo sguardo con la stessa intensità. Roran si avvicinò, le sfiorò una spalla, e insieme si allontanarono dalla folla.

Camminarono fino ai margini di Carvahall, dove si fermarono a contemplare le stelle. Il cielo era terso quella sera, scintillante di una miriade di fuochi celesti, solcato da nord a sud dalla gloriosa fascia lattiginosa simile a polvere di diamanti.

Senza guardarlo, Katrina gli posò la testa su una spalla e gli chiese: «Com'è andata la giornata?» «Sono tornato a casa.» La sentì irrigidirsi contro il suo corpo.

«Come ti sei sentito?»

«Malissimo.» La sua voce s'incrinò e rimase in silenzio, abbracciandola stretta. La fragranza dei suoi capelli ramati sulla guancia era come un elisir distillato da vino, spezie ed essenze profumate. Gli penetrò nelle ossa, riempiendolo di un calore confortante. «La casa, il fienile, tutto distrutto... Non li avrei mai trovati, se non avessi saputo dove cercare.» Finalmente lei si volse a guardarlo, le stelle che si riflettevano nei suoi occhi, il volto adombrato dal dolore. «Oh, Roran.» Lo baciò, sfiorandogli le labbra per un breve istante. «Hai sopportato così tante pene, eppure la tua forza non ti ha mai abbandonato. Tornerai alla fattoria adesso?»

cacciatore esplodeva una babele di domande. Era propenso a dubitare «Sì. È tutto quello che ho.» «E che ne sarà di me?»

Lui esitò. Dal momento in cui aveva cominciato a corteggiarla, fra di loro si era stabilito il tacito accordo che si sarebbero sposati. Non c'era stato bisogno di dar voce alle proprie intenzioni; erano chiare come il sole, e perciò la domanda di lei lo turbò. Non gli sembrava opportuno introdurre l'argomento in maniera così schietta, quando non era ancora pronto a fare la proposta. La prima mossa spettava a lui - con una dichiarazione prima a Sloan e poi a Katrina - e non a lei. Ma adesso che la ragazza aveva espresso la sua apprensione, Roran si vide costretto a discuterne. «Katrina... non posso affrontare tuo padre come avevo progettato. Mi riderebbe in faccia, e non avrebbe tutti i torti. Dobbiamo pazientare. Soltanto quando avrò una casa dove poter vivere insieme e la terra mi avrà fruttato il primo raccolto, allora mi ascolterà.» Lei rivolse ancora lo sguardo al cielo, e mormorò qualcosa a voce talmente bassa che lui non riuscì a capire. «Cosa?»

«Ho detto, hai paura di lui?»

«Certo che no! Io...»

«Allora devi ottenere il suo consenso, domani, e annunciare il fidanzamento. Devi fargli capire che anche se adesso non hai niente, riuscirai a darmi una casa e sarai un genero di cui andare orgoglioso. Non c'è ragione di sprecare i nostri anni vivendo lontani, quando proviamo questi sentimenti.»

«Non posso» insistette lui, con una nota di disperazione, perché lei capisse. «Non posso provvedere a te, non...» «Ma non capisci?» esclamò lei angosciata, allontanandosi di qualche passo. «Io ti amo, Roran, e voglio sposarti, ma mio padre ha altri progetti per me. Ci sono altri uomini, di gran lunga preferibili dal suo punto di vista, e più a lungo tu aspetti, più lui mi sprona ad accettare un marito di suo gradimento. Teme che diventi una vecchia zitella, e anch'io ho paura. Non ho molto tempo, né scelta, qui a Carvahall... Se dovrò sposare un altro, lo farò.» Le lacrime scintillarono nei suoi occhi mentre lo scrutava ansiosa, in attesa di una risposta; poi raccolse l'orlo della veste e scappò verso casa. Roran rimase immobile, impietrito dal terrore. La sua assenza era dolorosa quando la perdita della fattoria: il mondo si era trasformato all'improvviso in una landa gelida e inospitale. Era come se gli avessero strappato un brano di carne. Trascorse lunghe ore a vagare smarrito prima di tornare a casa di Horst e infilarsi nel letto.

I CACCIATORI BRACCATI

Il terriccio scricchiolava sotto gli stivali di Roran mentre scendeva lungo la valle, fredda e grigia nelle prime ore del mattino. Baldor lo seguiva; entrambi avevano gli archi incordati. Nessuno dei due parlava mentre studiavano l'ambiente in cerca di tracce di cervi.

«Laggiù» sussurrò Baldor, indicando una serie di impronte che si dirigevano verso un cespuglio di rovi sulla sponda dell'Anora.

Roran annuì e cominciò a seguire la pista. Dato che gli sembrava vecchia di un giorno, si arrischiò a parlare. «Posso chiederti un consiglio, Baldor? Mi sembri uno che capisce le persone.»

«Naturale. Di che si tratta?»

Per diverso tempo, l'unico suono fu il rumore dei loro passi. «Sloan vuole maritare sua figlia Katrina, ma non con me. Ogni giorno che passa, aumentano le probabilità che combini un matrimonio di suo gradimento.» «Katrina cosa ne pensa?»

Roran scrollò le spalle. «Lui è suo padre. Non può continuare a sfidare la sua volontà quando la persona che lei desidera non si è ancora fatta avanti per chiederla in sposa.»

«Vale a dire tu.»

«Già.»

«Ecco perché ti sei alzato così presto.» Non era una domanda.

A dire il vero, Roran era stato così angosciato da non dormire affatto. Aveva trascorso la notte a pensare a Katrina, nel tentativo di trovare una soluzione allo spinoso problema. «Non posso tollerare di perderla. Ma non credo che Sloan ci darà la sua benedizione, vista la mia posizione e il resto.»

«No, non lo credo nemmeno io» disse Baldor, rivolgendo a Roran un fugace sguardo con la coda dell'occhio. «Ma a che proposito vuoi il mio consiglio?»

Roran si lasciò sfuggire una risatina amara. «Come faccio a convincere Sloan? Come posso risolvere la questione senza scatenare una faida sanguinosa?» Alzò le braccia al cielo. «Cosa devo fare?»

«Non hai nessunissima idea?»

«Una ce l'avrei, ma non mi piace molto. Ho pensato che Katrina e io potremmo annunciare il nostro fidanzamento... non che sia vero... e aspettare le conseguenze. Questo costringerebbe Sloan ad accettare la nostra promessa di matrimonio.» La fronte di Baldor si corrugò. «Forse» commentò pensoso, «ma potrebbe anche suscitare malanimo in tutta Carvahall. Pochi approverebbero il vostro gesto. E non sarebbe giusto costringere Katrina a scegliere fra te e la sua famiglia. Potrebbe rinfacciartelo per anni.»

«Lo so, ma che alternative mi restano?»

«Prima di compiere un passo così drastico, fossi in te cercherei di guadagnarmi la stima di Sloan. In fin dei conti, potresti riuscirci, specie se gli fai capire che nessuno vorrebbe sposare una Katrina infuriata. Tantopiù se tu le restassi attorno, ridicolizzando il marito.» Roran fece una smorfia e abbassò lo sguardo a terra. Baldor ridacchiò. «Se fallisci, be', allora potrai procedere tranquillo, sapendo che hai già battuto tutte le altre strade. E la gente sarà meno propensa a darvi addosso per aver infranto le tradizioni, e diranno che è stato Sloan con la sua testardaggine ad attirarsi la sventura.»

«Non è facile.»

«Lo sapevi fin dal principio.» Baldor tornò serio. «Senza dubbio voleranno parole grosse se sfiderai Sloan, ma alla fine le cose si sistemeranno... se non in maniera perfetta, almeno tollerabile. A parte Sloan, le uniche persone che avranno da ridire saranno i bacchettoni come Quimby, anche se proprio non riesco a capire come Quimby possa distillare una birra tanto buona, quando lui è così acido e amaro.»

Roran annuì. I rancori potevano covare per anni a Carvahall. «Sono contento che abbiamo parlato. È stato...» S'interruppe, ripensando alle conversazioni che lui ed Eragon avevano un tempo. Erano stati, come aveva detto Eragon una volta, fratelli in tutto, tranne che nel sangue. Era stato confortante sapere che esisteva qualcuno disposto ad ascoltarlo, a prescindere dal tempo e dalle circostanze. E sapere che quella persona lo avrebbe sempre aiutato, a tutti i costi.

La mancanza di quel legame aveva lasciato un gran vuoto in Roran.

Baldor non lo incitò a terminare la frase, ma si fermò a bere dal suo otre di pelle. Roran continuò per qualche passo, poi si fermò fiutando un odore che s'insinuò nei suoi pensieri.

Era l'aroma pungente di carne arrostita e rami di pino bruciati. Chi c'è qui oltre a noi? Annusando l'aria, girò in circolo per stabilire la provenienza dell'odore. Un debole refolo di vento risalì dalla strada sottostante, carico di un odore caldo e fumoso. L'aroma del cibo era così forte da fargli venire l'acquolina in bocca.

Fece cenno a Baldor di avvicinarsi. «Lo senti?»

Baldor rispose di sì con un cenno della testa. Insieme tornarono sulla strada e si diressero a sud. A un centinaio di piedi di distanza, la strada spariva dietro una curva orlata da un boschetto di pioppi. Si avvicinarono cauti e sentirono delle voci che giungevano attenuate dalla densa cappa di nebbia mattutina sulla valle.

Ai margini del boschetto, Roran rallentò e si fermò. Era sciocco cogliere di sorpresa un gruppo di persone che con ogni probabilità erano a caccia come loro, ma c'era qualcosa che non gli tornava. Forse era il numero di voci: il gruppo sembrava più grande di qualsiasi famiglia della valle. Senza riflettere troppo, abbandonò la strada e scivolò dietro i cespugli che delimitavano il boschetto.

«Che fai?» mormorò Baldor.

Roran si portò l'indice alle labbra, poi strisciò parallelo alla strada, attento a fare meno rumore possibile. Nell'aggirare la curva, si sentì ghiacciare il sangue nelle vene.

Sul prato che costeggiava la strada erano accampati dei soldati. Trenta elmi scintillavano sotto i raggi del primo mattino, mentre i loro proprietari divoravano pollame e cacciagione arrostiti su diversi falò sparsi. Gli uomini erano sporchi di fango e fradici di sudore, ma l'emblema di Galbatorix era ancora ben visibile sulle tuniche rosse, una fiamma guizzante bordata d'oro. Sotto le tuniche, indossavano brigantine - casacche di pelle rinforzate da lamelle di acciaio -, cotte di maglia e giubbe imbottite. La maggior parte dei soldati erano armati di spadoni, anche se una mezza dozzina erano arcieri e un'altra mezza dozzina portavano alabarde dall'aria minacciosa.

Accovacciate nel mezzo c'erano due nere figure gibbose che Roran riconobbe dalle numerose descrizioni che i paesani gli avevano fornito al suo ritorno da Therinsford: gli stranieri che avevano distrutto la sua fattoria. Si sentì mancare il fiato. Sono servi dell'Impero! Si preparò ad attaccare, le dita già strette intorno a una freccia, quando Baldor lo afferrò per la giacchetta e lo tirò indietro.

«Fermo. Così ci fai ammazzare.»

Roran gli rivolse uno sguardo furente, poi ringhiò: «Sono... sono quei bastardi...» S'interruppe, notando quanto gli tremavano le mani. «Sono tornati!»

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