Volodyk - Paolini3-Brisingr
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Almeno non è un Kull, pensò Roran. Aveva fiducia nella propria forza, ma non credeva di poter sconfiggere Yarbog facendo ricorso soltanto alla potenza dei muscoli. Erano pochi gli uomini che potevano sperare di uguagliare la prestanza fisica di un sano ariete Urgali. Per giunta Roran sapeva che le grosse unghie nere, le zanne, le corna e la pelle coriacea avrebbero dato a Yarbog un notevole vantaggio nel duello senza armi che stavano per ingaggiare. Posso e devo farcela, decise Roran, pensando a tutti i trucchi sleali che avrebbe potuto usare nello scontro, perché combattere contro Yarbog non sarebbe stato come lottare con Eragon o Baldor o qualunque altro uomo di Carvahall. Roran era convinto che sarebbe stato più simile a uno scontro feroce e sfrenato fra due bestie selvatiche.
I suoi occhi tornarono a posarsi sulle immense corna, perché sapeva che quelle erano le parti più pericolose dell'Urgali. Yarbog le poteva usare per colpirlo e sventrarlo senza correre rischi, e gli avrebbero protetto la testa dai suoi colpi a mani nude, anche se restringevano il campo visivo dell'Urgali. In quel momento Roran capì che le corna, pur essendo il più grande dono naturale di Yarbog, avrebbero potuto anche costituire il suo punto debole.
Si sciolse le spalle e saltellò sugli avampiedi, smanioso di concludere al più presto il duello, in un modo o nell'altro.
I secondi si ritirarono dopo averli completamente ricoperti di grasso d'orso, e Roran e Yarbog entrarono nel quadrato disegnato sul terreno. Roran teneva le ginocchia leggermente flesse, pronto a saltare in qualsiasi direzione al minimo accenno di movimento da parte di Yarbog. Il suolo roccioso sotto i suoi piedi nudi era freddo, duro e scabro.
Un leggero vento smuoveva i rami del salice. Uno dei buoi legati ai carri smosse una zolla d'erba con una zampa, e la sua bardatura scricchiolò.
Con un ululato belluino, Yarbog caricò Roran coprendo la distanza fra di loro con appena tre passi tonanti. Roran aspettò che gli fosse quasi addosso, poi saltò a destra. Aveva però sottovalutato la velocità dell'Urgali. Abbassando la testa, Yarbog gli assestò una cornata alla spalla sinistra, facendolo volare dall'altra parte del quadrato.
Roran finì a terra, e pietre aguzze gli si conficcarono nel fianco. Fitte lancinanti gli percorsero la schiena, seguendo i sentieri tracciati dalle ferite non ancora del tutto guarite. Con un grugnito si rimise in piedi, sentendo che diverse croste si aprivano, esponendo la carne viva all'aria pungente. Terra, polvere e sassolini gli erano rimasti appiccicati allo strato di grasso spalmato sul corpo. Senza mai staccare lo sguardo dall'Urgali ringhiante, divaricò le gambe, piazzandosi ben saldo sui piedi.
Ancora una volta Yarbog lo caricò e ancora una volta Roran saltò di lato. Stavolta la manovra gli riuscì, e l'Urgali gli passò a un palmo di distanza. Girandosi di scatto, Yarbog si avventò su di lui per la terza volta e di nuovo Roran riuscì a evitarlo.
Allora Yarbog cambiò tattica. Avanzando di lato come un granchio, allungò le grosse mani adunche per abbrancarlo e trascinarlo nel suo abbraccio mortale. Roran rabbrividì e indietreggiò. Doveva evitare a tutti i costi di cadere nella morsa di Yarbog; con la sua immensa forza, l'Urgali lo avrebbe ucciso in pochi istanti.
Gli uomini e gli Urgali assiepati lungo i lati del quadrato assistevano silenziosi, i volti impassibili, gli occhi fissi su Roran e Yarbog che duellavano nella polvere.
Per alcuni minuti i due si scambiarono qualche rapido colpo di striscio. Roran cercava di non avvicinarsi troppo all'Urgali, nel tentativo di sfiancarlo a distanza, ma via via che il combattimento proseguiva, vedendo che Yarbog non sembrava più stanco di quando avevano iniziato, si rese conto che il tempo non gli era amico. Se voleva vincere, doveva concludere il duello senza indugio.
Sperando di provocarlo in modo che Yarbog lo caricasse di nuovo - dato che la sua strategia si fondava proprio su questo - Roran si ritirò in un angolo del quadrato e cominciò a provocarlo. «Ah! Sei lento e grasso come una mucca da latte! Riesci a prendermi, Yarbog, o hai le gambe fatte di lardo? Dovresti tagliarti le corna per la vergogna, perché hai lasciato che un uomo si facesse beffe di te. Cosa penseranno le tue future compagne quando verranno a saperlo? Dirai che...»
Il ruggito di Yarbog soffocò il resto della frase. L'Urgali scattò in avanti, mettendosi di fianco per colpirlo con tutto il suo peso. Saltando di lato, Roran tese una mano per afferrare la punta del corno destro di Yarbog, però mancò il bersaglio e cadde rotolando al centro del quadrato, sbucciandosi le ginocchia. Imprecò e si rialzò.
Frenando un istante prima che lo slancio lo facesse uscire dal quadrato, Yarbog si voltò, gli occhietti gialli che guizzavano in cerca di Roran. «Yuhuu!» gridò Roran. Tirò fuori la lingua e fece tutti i gesti più volgari che gli vennero in mente. «Non sapresti colpire un albero nemmeno se ce lo avessi davanti.»
«Muori, piccolo umano insignificante!» ringhiò Yarbog, e si avventò su Roran con le braccia tese.
Le unghie di Yarbog gli tracciarono due solchi sanguinanti lungo il costato mentre scartava a sinistra, ma Roran riuscì lo stesso ad afferrare saldamente un corno dell'Urgali; agguantò anche l'altro prima che l'Urgali riuscisse a liberarsi con una scrollata. Usando le corna come un manubrio, torse la testa di Yarbog da un lato e, contraendo ogni muscolo, riuscì ad atterrarlo. La schiena esplose in una protesta rabbiosa.
Non appena il torace di Yarbog toccò terra, Roran gli piantò un ginocchio sulla spalla destra, immobilizzandolo. Yarbog sbuffò e scalciò, cercando di divincolarsi dalla stretta, ma Roran non mollava. Puntellò i piedi contro una roccia e torse la testa dell'Urgali il più possibile, con una forza che avrebbe spezzato il collo di qualsiasi umano. Per via del grasso che aveva sulle mani, rischiava di perdere la presa.
Yarbog si rilassò per un istante, poi di scatto si alzò da terra facendo leva sul braccio sinistro, sollevando anche Roran, agitando le gambe nella polvere nel tentativo di portarle sotto il corpo. Con una smorfia, Roran si protese in avanti e spinse con tutto il peso sul collo e la spalla di Yarbog. Dopo una manciata di secondi, il braccio sinistro dell'Urgali cedette e Yarbog ricadde di schianto sul ventre.
Entrambi ansimavano per lo sforzo, i corpi ricoperti di polvere. Laddove toccavano la pelle di Roran, le setole dell'Urgali sembravano punte di filo spinato. Sottili rivoli di sangue gli scorrevano sui fianchi e lungo la schiena dolorante.
Non appena ebbe recuperato il fiato, Yarbog ricominciò a scalciare e a dimenarsi, contorcendosi nella polvere come un pesce arpionato. Roran fece appello a tutte le sue forze e non mollò, cercando d'ignorare i sassi appuntiti che gli tagliavano i piedi e le gambe. Visto che quel metodo non funzionava, Yarbog rilassò le membra e cominciò a flettere il collo nel tentativo di stancare le braccia di Roran.
Continuarono a lottare in quella posizione, senza che nessuno dei due si spostasse di più di un paio di pollici.
Una mosca ronzò sulle loro teste e si posò su una caviglia di Roran.
I buoi muggirono.
Dopo una decina di minuti, Roran aveva il volto madido di sudore e gli pareva di non riuscire più a inspirare abbastanza. Le braccia gli bruciavano per il dolore. Le ferite sulla schiena sembravano sul punto di riaprirsi tutte insieme; il costato pulsava dove Yarbog lo aveva artigliato.
Roran capì che non poteva resistere ancora per molto. Maledizione! pensò. Ma non si arrende mai?
Proprio in quel momento, la testa di Yarbog fu scossa da un tremito, mentre un muscolo del collo si contraeva per un crampo. L'Urgali grugnì, il primo verso che emetteva da oltre un minuto, e sottovoce borbottò: «Uccidimi, Fortemartello. Non posso batterti.»
Aggiustando la presa sulle corna di Yarbog, Roran ringhiò a voce altrettanto bassa: «No. Se vuoi morire trova qualcun altro che ti uccida. Ho combattuto secondo le tue regole; ora tu accetterai la sconfitta secondo le mie. Di' a tutti che ti arrendi. Di' che hai sbagliato a sfidarmi. Fallo, e ti lascerò andare. Altrimenti ti terrò inchiodato qui finché non cambierai idea; non importa quanto ci vorrà.»
La testa di Yarbog scattò fra le sue mani quando l'Urgali cercò per l'ultima volta di liberarsi. Sbuffò, sollevando una piccola nuvola di polvere, poi mormorò: «La vergogna sarebbe troppo grande, Fortemartello. Uccidimi.»
«Non appartengo alla tua razza e non rispetterò i vostri costumi» disse Roran. «Se ti preoccupa tanto il tuo onore, di' a chi te lo chiede che sei stato sconfitto dal cugino di Eragon Ammazzaspettri. In questo non c'è alcuna vergogna.» Quando furono passati diversi minuti senza che Yarbog avesse risposto, Roran gli diede uno strattone alle corna e ringhiò: «Allora?»
Alzando la voce in modo che tutti gli umani e gli Urgali lo sentissero, Yarbog dichiarò: «Gar! Che Svarvok mi maledica: mi arrendo! Non avrei dovuto sfidarti, Fortemartello. Tu sei degno di essere il capo e io no.»
Gli uomini esultarono e gridarono, battendo i pomelli delle spade contro gli scudi. Gli Urgali si mossero appena, senza dire una parola.
Soddisfatto, Roran lasciò andare le corna di Yarbog e rotolò su un fianco per scendere dal corpo grigio dell'Urgali. Con la sensazione di aver subito un'altra fustigazione, si alzò a fatica e si trascinò fuori del quadrato, dove Carn lo stava aspettando.
Trasalì quando Carn gli gettò una coperta sulle spalle e il tessuto gli irritò la pelle ferita. Con un sogghigno, Carn gli porse un otre di vino. «Quando ti ha steso, ho pensato che ti avrebbe ucciso. Ma ormai dovrei sapere che non devo mai darti per sconfitto, eh, Roran? Ha! Credo che questo sia il miglior combattimento a cui ho mai assistito. Potresti essere l'unico uomo della storia ad aver lottato contro un Urgali.»
«Forse no» rispose Roran, fra un sorso di vino e l'altro. «Ma è probabile che sia l'unico sopravvissuto.» Sorrise, mentre Carn rideva. Roran scoccò un'occhiata agli Urgali che si erano stretti intorno a Yarbog e gli parlavano con bassi grugniti, mentre due gli pulivano il corpo dal grasso e dallo sporco. Anche se gli Urgali avevano l'aria avvilita, per quello che Roran poteva giudicare non gli sembravano arrabbiati o risentiti, così sperò che non gli avrebbero più creato problemi.
Malgrado il dolore, Roran era felice del risultato. Questo non sarà l'ultimo combattimento fra le nostre razze, pensò. Ma se riusciamo a tornare all'accampamento dei Varden senza altri problemi, gli Urgali non infrangeranno l'alleanza, per lo meno non a causa mia.
Dopo aver bevuto l'ultimo sorso, Roran richiuse l'otre di vino e lo restituì a Carn, poi gridò: «Non state lì a belare come pecore e finite di fare l'elenco di quello che c'è in quei carri! Loften, raduna i cavalli dei soldati, se non si sono già allontanati troppo! Dazhgra, occupati dei buoi. Svelti! Castigo e Murtagh potrebbero essere già diretti qui. Forza, muovetevi!
«Carn, dove diamine sono finiti i miei vestiti?»
♦ ♦ ♦
GENEALOGIA
Il quarto giorno dopo aver lasciato il Farthen Dûr, Eragon e Saphira arrivarono a Ellesméra. Il sole splendeva alto su di loro quando apparve il primo degli edifici della città - una stretta torre a spirale dalle finestre luccicanti che si ergeva fra tre pini ed era stata ricavata dai loro rami intrecciati. Al di là della torre rivestita di corteccia, Eragon individuò le diverse radure sparse che indicavano il luogo dove sorgeva la capitale degli elfi.
Mentre Saphira planava sulla superficie irregolare della foresta, Eragon cercò la coscienza di Gilderien il Saggio che, in qualità di depositario della Bianca Fiamma di Vàndil, proteggeva gli elfi di Ellesméra dai nemici da oltre due millenni e mezzo. Proiettando i propri pensieri nell'antica lingua verso la città, chiese: Gilderien-elda, possiamo passare?
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