Volodyk - Paolini3-Brisingr

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Gli occhi e i denti di Blödhgarm scintillarono minacciosi mentre rispondeva: «Gli alberi della Du Weldenvarden in genere hanno aghi, non foglie. Mettici alla prova, se vuoi, ma ti avverto: a chiunque tu assegni il compito dovrai raccomandare di non indugiare troppo nella nostra mente, o potrebbe perdere il senno. È pericoloso per i mortali vagare nei nostri pensieri: possono smarrirsi facilmente e non essere più in grado di tornare nei loro corpi. E i nostri segreti non sono fatti per essere esplorati.»

Nasuada capiva. Gli elfi avrebbero annientato chiunque si fosse avventurato nel loro territorio proibito. «Capitano Garven» chiamò.

Facendo un passo avanti con l'espressione di un condannato, Garven si parò di fronte a Blödhgarm, chiuse gli occhi e si concentrò per frugare nella coscienza dell'elfo. Nasuada osservava nervosa la scena, mordicchiandosi il labbro. Quando era bambina, un uomo con una gamba sola di nome Hargrove le aveva insegnato a nascondere i suoi pensieri dai telepati e a bloccare e deviare gli affondi di un attacco mentale. In tutte e due le cose era abile, e sebbene non fosse mai riuscita a dare inizio al contatto con un'altra mente, conosceva i principi fondamentali del processo. Era quindi ben consapevole della difficoltà e della delicatezza di quanto Garven stava facendo, un compito reso ancora più arduo dalla strana natura degli elfi.

Sporgendosi verso di lei, Angela bisbigliò: «Avresti dovuto far controllare gli elfi a me. Sarebbe stato più sicuro.»

«Può darsi» disse Nasuada. Nonostante tutto l'aiuto che l'erborista aveva dato a lei e ai Varden, ancora non se la sentiva di affidarsi ad Angela per le questioni ufficiali.

Per qualche altro istante Garven continuò nei suoi sforzi, poi spalancò gli occhi di colpo e liberò il fiato con uno sbuffo. Aveva il collo e la faccia chiazzati di rosso per la fatica, e le pupille dilatate, come se fosse notte. Al contrario, Blödhgarm era imperturbabile: la pelliccia era liscia, il respiro regolare, e un fievole sorriso beffardo gli increspava gli angoli della bocca.

«Ebbene?» chiese Nasuada.

Garven parve impiegare qualche secondo di troppo nel rispondere, poi disse: «Non è umano, mia signora. Su questo non nutro alcun dubbio. Alcun dubbio di sorta.»

Soddisfatta ma turbata, perché c'era qualcosa di strano in quella risposta, Nasuada disse: «Molto bene. Procedi.» Da quel momento, Garven impiegò sempre meno tempo a esaminare ogni elfo e dedicò non più di una decina di secondi all'ultimo del gruppo. Nasuada lo tenne d'occhio per tutto il processo, e vide che le sue dita diventavano bianche ed esangui, e la pelle delle tempie gli si ritirava nel cranio come i timpani di una rana, e l'uomo acquistava il languido aspetto di una persona che nuota sott'acqua.

Dopo aver portato a termine l'incarico, Garven tornò al suo posto accanto a Nasuada. Ma era, si disse lei, un uomo cambiato. La determinazione e la fierezza di spirito di poco prima avevano lasciato il posto all'aria trasognata di un sonnambulo. La guardò quando lei gli domandò se stava bene, e rispose con voce abbastanza normale, ma Nasuada ebbe l'impressione che il suo spirito fosse lontano, smarrito fra le radure erbose e inondate di sole della misteriosa foresta degli elfi. Sperava che si riprendesse in fretta. In caso contrario, avrebbe chiesto a Eragon o ad Angela, o magari a entrambi, di prendersi cura di lui. Fino a quando le sue condizioni non fossero migliorate, non avrebbe più dovuto servirla come membro attivo dei Falchineri; Jörmundur gli avrebbe dato qualcosa di semplice da fare, così lei non si sarebbe sentita in colpa per avergli causato ulteriori sofferenze, e lui avrebbe potuto almeno godersi il piacere delle visioni che il contatto con gli elfi gli aveva lasciato dentro.

Amareggiata per la perdita, e infuriata con se stessa, con gli elfi, con Galbatorix e l'Impero per aver reso necessario un simile sacrificio, Nasuada faticò a mantenere a freno la lingua e a conservare le buone maniere. «Quando hai parlato di pericolo, Blödhgarm, avresti dovuto dire che anche coloro che riescono a tornare a sé non restano del tutto illesi.»

«Mia signora, io sto bene» disse Garven. Ma la sua protesta fu così debole e inconsistente che servì solo a rafforzare il senso di oltraggio di Nasuada.

Il pelo sul collo di Blödhgarm si rizzò. «Se non sono riuscito a spiegarmi con sufficiente chiarezza poco fa, allora domando scusa. Tuttavia non incolpare me per quello che è successo: non possiamo opporci alla nostra natura. E non incolpare nemmeno te stessa, perché viviamo in un'epoca di sospetti. Permetterci di passare senza controllarci sarebbe stata una negligenza imperdonabile da parte tua. È un peccato che un increscioso incidente debba segnare questo storico incontro fra di noi, ma almeno adesso puoi stare tranquilla, sicura di aver stabilito la nostra origine e quello che siamo: elfi della Du Weldenvarden.»

Una nuova zaffata di muschio avvolse Nasuada che, sebbene fremente di collera, si sentì sciogliere le membra e assalire da immagini di suonatori d'arpa vestiti di seta, allegri calici di vino e nostalgici canti di nani che aveva spesso sentito echeggiare nelle vuote sale di Tronjheim. Distratta, mormorò: «Avrei voluto che ci fossero stati Eragon e Arya qui, così avrebbero potuto controllare loro le vostre menti senza correre il rischio di perdere il senno.»

Ancora una volta si abbandonò alla sensuale attrazione dell'odore di Blödhgarm, immaginando come sarebbe stato far scorrere le dita nella sua criniera. Tornò in sé soltanto quando Elva le strattonò la manica sinistra, costringendola ad abbassarsi e ad avvicinare l'orecchio alla propria bocca. In tono aspro, Elva mormorò: «Marrubio. Concentrati sul sapore del marrubio.»

Seguendo il suo consiglio, Nasuada evocò un ricordo dell'anno prima, quando aveva assaggiato un confetto di marrubio durante uno dei banchetti di re Rothgar. Le bastò pensare al saporaccio di quel confetto per contrastare le qualità seducenti dell'odore di Blödhgarm. Cercò di nascondere il momentaneo smarrimento dicendo: «La mia giovane amica si domanda come mai sei così diverso dagli altri. Devo confessare che anch'io sono curiosa. Il tuo aspetto è molto lontano da come siamo abituati a immaginare gli elfi. Vorresti essere così gentile da illustrarci le ragioni delle tue caratteristiche più animalesche?»

Un'onda increspò la pelliccia lucente di Blödhgarm quando si strinse nelle spalle. «Mi piaceva questa forma» rispose. «Alcuni scrivono poesie sul sole e sulla luna, altri coltivano fiori o costruiscono grandiose strutture o compongono musica. Per quanto apprezzi le varie forme d'arte, credo che la vera bellezza risieda soltanto nelle zanne di un lupo, nella pelliccia di un gatto delle foreste, negli occhi di un'aquila. Così ho adottato questi attributi per me. Fra un altro centinaio d'anni, potrei perdere interesse per le creature della terra e decidere che invece sono le creature del mare a incarnare tutto ciò che c'è di buono, e allora mi ricoprirò di squame, trasformerò le mie mani in pinne e i piedi in coda, sparirò sotto la superficie delle onde e nessuno più mi rivedrà in Alagaësia.»

Se stava scherzando, cosa di cui Nasuada era convinta, non lo dava a vedere. Anzi, era così serio che Nasuada si domandò se non la stesse prendendo in giro. «Molto interessante» commentò lei. «Ma spero che l'impulso di trasformarti in pesce non ti colga troppo presto, perché ci servi qui, sul terreno asciutto. S'intende che se Galbatorix decidesse di arruolare anche squali e scorpene, be', allora un mago capace di respirare sott'acqua ci sarebbe molto utile.»

Senza alcun preavviso, i dodici elfi riempirono l'aria con le loro limpide risate argentine, e gli uccelli nel raggio di oltre un miglio si misero a cantare. Il suono della loro ilarità somigliava allo scorrere dell'acqua su un cristallo. Nasuada sorrise senza volerlo, e intorno a lei vide simili espressioni sui volti delle guardie. Perfino i due Urgali sembravano ebbri di gioia. E quando gli elfi tacquero e il mondo tornò alla sua normalità, Nasuada provò la stessa tristezza di quando svanisce un bel sogno. Un velo di lacrime le annebbiò la vista per qualche istante, e poi anche quello si dissolse.

Sorridendo per la prima volta, e mostrando così un volto al tempo stesso bello e terribile, Blödhgarm disse: «Sarà un onore servire una donna intelligente, capace e arguta come te, Lady Nasuada. Uno di questi giorni, quando i tuoi impegni te lo permetteranno, mi piacerebbe insegnarti a giocare a Rune. Saresti un'avversaria formidabile, ne sono certo.»

L'improvviso mutamento nel tono degli elfi le ricordò una parola che aveva sentito usare di tanto in tanto dai nani per descriverli: capricciosi. Quando era una bambina le era sembrata una descrizione innocua: rafforzava la sua idea che gli elfi fossero creature saltellanti da una delizia all'altra, come fate in un giardino fiorito. Ma adesso capiva che i nani intendevano dire Attenzione! Perché gli elfi sono imprevedibili. Sospirò, avvilita dalla prospettiva di dover trattare con un altro gruppo di esseri decisi a manipolarla per i propri interessi. La vita è sempre così complicata? si chiese. O sono io che attiro le complicazioni?

Dall'accampamento, Nasuada vide arrivare re Orrin a cavallo, alla testa di un affollato corteo di nobili, cortigiani, burocrati di vario livello, consiglieri, assistenti, servitori, soldati, e una pletora di altri funzionari che non si prese il disturbo d'identificare, mentre da ovest, in discesa libera con le ali spiegate, vide arrivare Saphira. Consapevole degli imminenti, noiosi scambi di formalità, disse: «Passeranno parecchi mesi prima che io abbia l'opportunità di accettare la tua offerta, Blödhgarm, ma l'apprezzo comunque. Mi piacerebbe distrarmi con una partita dopo una lunga giornata di lavoro, ma deve restare un piacere differito. La società umana sta per abbattersi su di voi con tutto il suo peso. Vi suggerisco di prepararvi a una valanga di nomi, domande e richieste. Noi umani siamo una razza curiosa, e nessuno ha mai visto tanti elfi tutti insieme prima d'ora.»

«Siamo preparati a questo, Lady Nasuada» la rassicurò Blödhgarm.

Mentre il corteo rumoreggiante di re Orrin si avvicinava e Saphira si accingeva ad atterrare, schiacciando l'erba con lo spostamento d'aria provocato dalle sue ali, l'ultimo pensiero di Nasuada fu: Oh, cielo. Dovrò mettere un intero battaglione a guardia di Blödhgarm per impedire che le donne dell'accampamento se lo contendano facendolo a pezzi. E anche questo potrebbe non risolvere il problema!

♦ ♦ ♦

PIETÀ, CAVALIERE DEI DRAGHI

Era il pomeriggio del giorno dopo la partenza da Agrod'est quando Eragon percepì una pattuglia di quindici soldati davanti a loro.

Lo disse ad Arya, e lei annuì. «Li avevo sentiti anch'io.» Nessuno dei due espresse preoccupazione ad alta voce, ma Eragon si sentì torcere le viscere dall'ansia, e notò che Arya arricciava le sopracciglia in un feroce cipiglio.

Il panorama intorno a loro era aperto e pianeggiante, senza un posto dove nascondersi. Avevano già incontrato gruppi di soldati prima, ma sempre quando erano in compagnia di altri viaggiatori. Ora invece erano soli su una strada a malapena visibile.

«Potremmo scavare una buca con la magia, coprirla di frasche e nasconderci lì finché non passano» suggerì Eragon.

Arya scosse la testa senza interrompere la corsa. «E cosa faremmo della terra smossa? Penserebbero di aver trovato la più grossa tana di tasso del mondo. E poi preferisco risparmiare energie per correre.»

Eragon sbuffò. Non so quante miglia ancora mi sono rimaste nelle gambe. Non gli mancava il fiato, ma il continuo urto col terreno lo stava affaticando. Gli facevano male le ginocchia, aveva le caviglie gonfie, gli alluci irritati e rossi, e continuavano a scoppiargli le vesciche sui talloni, per quanto se li fosse fasciati stretti. La notte prima aveva guarito diversi acciacchi, e sebbene avesse provato un certo sollievo, gli incantesimi avevano acuito il suo sfinimento.

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