Casas Pérez Carlos - Il Bargello

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Casas Pérez Carlos - Il Bargello краткое содержание

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Una storia di odio e compassione ambientato tra i più umili nella Spagna medievale. Aragona, inverno del 1134.  Estranei al succedersi di re e corone, gli abitanti dei villaggi vivono le loro semplici vite. L’inverno non porta solo il freddo e la fame, ma anche la morte. Un gruppo di infami briganti, conosciuti come “gli albari”, si è accampato nei pressi di Lacorvilla e progetta di attaccare il villaggio.  Sancho il Nero è un povero carbonaio che cerca di sopravvivere meglio che può. Non condivide l’entusiasmo dei suoi compaesani all’idea di seguire il bargello nella lotta contro gli albari; non crede nella vittoria né nell’uomo che ha giustiziato suo padre. L’odio è reciproco, sono anni ormai che il bargello cerca un modo di scacciare il carbonaio dal paese. A qualunque prezzo.  Nel bel mezzo di questa lotta per la sopravvivenza, un misterioso cavaliere arriverà al villaggio proclamandosi eroe e salvatore delle sorti del villaggio, ma in realtà vuole appropriarsi di quello a cui alcuni tengono di più. Cosa succederà quando scopriranno le sue intenzioni? Come andrà con i briganti? E quale sarà il ruolo delle donne, decise a non restare nell’ombra?

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Le donne di Jaca, mandate dalla Vergine Maria, si scagliarono sui mori con furia e senza pietà. Uccisero moltissimi nemici al primo attacco e i loro abiti bianchi che non si macchiavano del sangue degli infedeli sparsero il panico

tra i sopravvissuti. Ben presto tutti i nemici scagliarono a terra le loro armi e fuggirono dal campo di battaglia, lasciando sul terreno i cadaveri dei quattro condottieri. I cristiani tagliarono loro le teste e le inchiodarono alle porte di Jaca. Da allora rappresentano lo scudo della città".

Al termine del racconto, gli abitanti del villaggio si scambiarono le loro impressioni. Ad alcuni sembrava che fosse tutta un'invenzione. Altri giuravano che era tutto vero. Quasi tutti sostenevano che fosse una bella storia per ammazzare il tempo in un viaggio come quello. Nel tempo che Jimena aveva impiegato a raccontarla erano quasi arrivati a Yéquera.

"Credo che sia proprio una bella storia" affermò Ramiro.

Jimena sorrise a suo nipote.

"Me l'ha raccontata tuo zio Guillén. Lui la racconta meglio di me, questo è certo" affermò mentre scendeva dalla sua cavalcatura. "Avrà anche la pelle da pastore ma è nato bardo".

Anche Jimeno e Ramiro smontarono da cavallo e continuarono a piedi. Il villaggio era ormai alle loro spalle e Yéquera era a trecento varas 1, ma la notte era già calata ed ebbero bisogno di un po' di luce per illuminare l'ultimo tratto di cammino. Jimeno tremò di nuovo dal freddo. L'ambiente si stava raffreddando rapidamente e il vento soffiava.

Una bella cena accanto al fuoco è ciò di cui abbiamo bisogno. E non di sciocche storielle.

Il castello diventava sempre più grande man mano che si avvicinavano.

Ramiro continuava a fare domande a sua zia a proposito di quella storia, visibilmente interessato. Il bargello guardò il suo ragazzo.

"È solo una leggenda, figliolo. E ci dà un insegnamento" spiegò. "E

1 La varaè un’unità di misura della lunghezza utilizzata nella Penisola Iberica e nelle zone di influenza ispano-lusitana, e corrispondeva a tre piedi o pies . La vara era leggermente diversa da regione a regione, ma la più diffusa era la vara castigliana o di Burgos (0,835905 metri) equivalente a tre pies castigliani (0,278635 m.)

l'insegnamento è che, se combatti bene, non dovrai mai subire l'onta di essere salvato dalle donne".

Capitolo II: LA FANTESCA

Il cuore del castello di Yéquera era un grande salone al quale si accedeva attraverso uno stretto patio. Era protetto da una solida muraglia di pietra costruita su un rilievo al centro di una pianura circondata di montagne. Un minuscolo cortiletto ne soffocava ancora di più l'interno. La Torre Maggiore, dove si trovavano gli appartamenti di don Yéquera, era rivolta a ovest; mentre la Torre Minore, dove si trovavano la dispensa e l'armeria, guardava a est.

In questa seconda costruzione Marcela, l'anziana fantesca, stava scegliendo le mele migliori per preparare la torta che le due guardie della fortezza avrebbero mangiato la mattina dopo, al sorgere del sole. Le sue ossa erano invecchiate più in fretta della sua mente e non riuscire a portare a termine tutte le incombenze che si era prefissata per la giornata era per lei fonte di grande frustrazione. Le sue callose mani da serva reggevano il cesto della frutta come meglio potevano.

Udì gli zoccoli dei cavalli ancor prima di vederli. Il suono metallico dei ferri contro la pietra si propagava con facilità, in una notte ventosa come quella.

Con il cuore in gola, Marcela si affacciò alla stretta finestra della dispensa e scrutò all'esterno. Le prime ombre della sera erano ormai scese sul castello di Yéquera avvolgendolo nell'oscurità, ma riusciva comunque a distinguere le sagome di un gran numero di sconosciuti che si avvicinavano, protetti dalle tenebre.

"Gli albari" sussurrò. Da quando si era diffusa la notizia che il bargello aveva ucciso uno di quei mostri, e quelle erano notizie che volavano veloci come un incendio d'estate, la donna aveva la sensazione che, se avesse abbandonato le solide mura della fortezza, un gruppo di uomini armati avrebbe potuto sorprenderla e sgozzarla senza esitare. E così, scorgendo quelle ombre che si avvicinavano le parve di vedere tutti gli abitanti del castello passati a fil di spada. Lasciò cadere il cesto pieno di mele e uscì nel cortile: "Ci attaccano, ci attaccano!"

La porta della latrina si aprì un attimo dopo e Fidel ne uscì sistemandosi le braghe.

"Cosa stai dicendo, donna?" esordì mentre si ricomponeva, cercando di recuperare la dignità.

"Ci attaccano!" ripeté la serva, prendendolo per un braccio. "Arrivano dalla parte del paese!"

La guardia mise la mano sul manico del suo martello e salì i gradini della Torre Minore due per volta. La sua grossa pancia lo accompagnò dondolando su e giù. Marcela lo seguì su per le scale più in fretta che poté, e al suo arrivo lo vide affacciato alla feritoia.

"Arriva gente" disse. Questo lo so, pensò Marcela , ma cosa aspetta ad attaccarli? "Non mi sembrano banditi. Sembra più gente del villaggio"

aggiunse.

Fidel si fece da parte in modo che la fantesca potesse dare un'occhiata.

Se quelle ombre avessero avuto intenzione di attaccare il castello, una cosa era certa: se la stavano prendendo con molta calma. Conducevano i cavalli tenendoli per la cavezza e camminavano tranquilli. C'era anche un carretto e sulla parte posteriore erano seduti alcuni uomini. All'orecchio di Marcela arrivarono delle voci e qualche risata. Adesso non le sembravano più banditi.

"Maledizione, donna" gridò Fidel, "sono due giorni che non riesco ad andare di corpo, e quando finalmente il mio culo decide di mettersi al lavoro ti metti a strillare" la accusò puntando il dito. "Questa volta le mie braghe saranno più sporche del solito".

Per la verità sono sempre piene di macchie, vecchio maiale, pensò osservando il corpo gonfio di quello che era stato un guerriero dal fisico asciutto.

"Mi dispiace, con quella faccenda degli albari e delle loro facce bianche…"

si scusò la donna, cercando di calmare gli animi. Eppure, un attimo dopo si rese conto che era stata lei a dare l'allarme. "Un momento! Non eri tu di

guardia, stanotte?"

L'omone grugnì qualcosa di incomprensibile.

"Infatti ero proprio di guardia!" si schermì lui dopo, scendendo le scale.

"Adesso non posso andare un attimo alla latrina?"

"No, non puoi se sei di guardia! Basterebbe un momento di disattenzione e potremmo trovarci con un centinaio di persone intorno al castello".

Fidel ritornò verso il cortile e si avvicinò al portone della fortezza per accendere una delle torce. La fiamma illuminò il viso della guardia, segnato dal tempo.

Tre colpi avvertirono i due che la gente era già davanti all'entrata. Fidel stava trafficando con la trave che teneva chiuso il portone mentre Marcela si

avvicinava

alla

finestrella

che

dava

all'esterno.

Riconobbe

immediatamente l'uomo dall'altra parte. Jimeno mostrò i denti in quello che voleva essere un sorriso.

"Buonasera, Marcela. So che l'ora è tarda, la nostra intenzione era quella di arrivare prima del tramonto ma le cattive condizioni del sentiero ce l'hanno impedito. Sua signoria è ancora sveglio?”

La serva rispose affermativamente alla domanda del bargello e si fece di lato, in modo che Fidel potesse aprire la porta. Uno alla volta, Jimeno e i suoi accompagnatori passarono all’interno. Erano coperti di polvere che avevano raccolto lungo la strada e i loro volti tradivano un misto di freddo e di stanchezza.

"Ah, Jimeno!" esclamò Fidel tendendo la mano al bargello. "Siate il benvenuto. Dopo che Marcela vi ha confuso con gli albari, vi assicuro che è un sollievo vedere il vostro volto cupo".

"Dite davvero?" chiese Jimeno girandosi verso la donna. "In questo caso vi confermo che non sono un albare, ma uno dei loro più fieri avversari". Il bargello si compiacque del suo sorriso orgoglioso e si fece da parte per lasciar passare il carro. "Siamo affamati, e vorremmo approfittare della ben nota ospitalità di don Yéquera. Abbiamo con noi qualcosa per cena, non

temete, ma vorremmo poterci sistemare da qualche parte accanto al fuoco".

"Naturalmente" disse Marcela, "passate nel salone e sedetevi a tavola. Vi prego di essere così gentile da aggiungere un po' di legna al caminetto. Il mio signore patisce molto il freddo. Poi potrete mangiare". Esaminò la lunga fila di uomini con preoccupazione. "Stavo per preparare la cena per don Yéquera, ma a quanto pare dovrò aumentare un po' le dosi".

"Avete bisogno d'aiuto?" chiese Jimeno. Per un attimo, la fantesca pensò che il bargello si stesse mettendo a sua disposizione. "Mia sorella potrebbe darvi una mano" e indicò Jimena, che si trovava qualche passo indietro.

A Marcela non sfuggì lo sguardo breve ma intenso che la sorella scoccò al bargello.

"Un bel pezzo di carne alla brace" suggerì Fidel. "È da una settimana che non mangio carne alla brace. Con le cipolle e una bella innaffiata d'olio".

La donna non apprezzò che le venisse detto cosa doveva cucinare né quando. Ma alla vista di tutta la gente che era venuta al castello quella sera immaginò che la carne alla brace sarebbe stata molto gradita ai suoi vicini affamati. E diversamente da molti di loro, i forzieri di don Yéquera potevano permetterselo a cuor leggero.

"Vedrò cosa posso fare".

Il bargello batté le mani compiaciuto.

"Bene, allora ceneremo quanto stabilito. E un'altra cosa" aggiunse.

"Abbiamo con noi cavalli e asini, e anche un mulo. Passeranno la notte nella stalla. Chiama lo stalliere che se ne occupi".

"Vicente non è più con noi" spiegò la donna. "Il ragazzo se n'è andato a servizio da un altro padrone. Forse ad Aratorés o Borau, non ricordo. Non abbiamo ancora preso un nuovo stalliere".

Jimeno schioccò la lingua.

"Perbacco… strano che Vicente se ne sia andato, dopo tanti anni…" si

lamentò. Poi si passò una mano sul mento rasato e volse lo sguardo verso il portone del castello. "C'è qualcuno lì fuori… magari se ne intende di bestie, lasciamo che se ne occupi lui".

Marcela sapeva bene a chi si riferisse.

Maledetto .

Jimeno guardò da un'altra parte, fingendo di non accorgersi della rabbia della donna. Legò le redini a un anello e andò in sala da pranzo, seguito da quasi tutti gli altri. Compreso Fidel, che avrebbe dovuto essere di guardia.

La serva imprecò tra i denti ma lasciò perdere la guardia per occuparsi di suo figlio.

"Io comincio a sbucciare le cipolle" disse Jimena, "fate pure con vostro comodo".

La donna accettò, grata. Attraversò il portone e subito notò il vento ghiacciato. Vicino al carro vide suo figlio con la testa che spuntava timidamente tra gli animali. Gli asini che tiravano il carretto erano tranquilli, gradivano la mano magra che accarezzava le loro schiene ruvide.

Sancho il Nero alzò la testa.

"I miei rispetti, madre".

Marcela abbracciò stretto il suo unico figlio, circondandogli il collo con le braccia. Sentendo il suo corpo. Tutto ossa. Coperto di un sottile strato di cuoio che non poteva neanche chiamarsi giubba. E sotto, neanche un po'

di carne. Lo tenne abbracciato a lungo e poi appoggiò le mani su quelle di Sancho. Erano prive del minimo calore umano.

"Fa freddo fuori, figlio mio. Vieni dentro" lo pregò. Ma suo figlio non sembrava d'accordo. "A nessuno darà fastidio che tu entri".

"A Jimeno sì. E non voglio che accusino don Yéquera di tenermi sotto il suo tetto. Mi hanno detto che sta morendo, non voglio essergli d'impiccio proprio adesso. Non entrerò in casa sua".

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