Morenz Patricia - Per Sempre È Tanto Tempo
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Appena inizia riconosco gli accordi che aveva suonato nella casa sull’albero mentre io scrivevo, cercava di trovare un suono da quando gli avevo chiesto di scrivere qualcosa per me. Questo mi riempie il cuore di un sentimento sconosciuto, ma caldo, come una coperta fatta dalla nonna.
Mentre ascolto la sua voce mi viene la pelle d’oca. Jake canta con gli occhi chiusi, dandomi la possibilità di osservare ogni dettaglio, le sue labbra che si muovono, come le sue parole accarezzano l’aria e arrivano alle mie orecchie.
Non è una canzone pretenziosa, parla di me che chiedo a lui di scrivermi una canzone e di lui che esprime il sentimento di non volersi separare da me un’altra volta. È una canzone triste, ma nonostante questo mi sento felice che lui voglia restare al mio fianco come dice la canzone, anche solo come amico.
L’ultima nota resta sospesa nell’aria, mentre lui apre gli occhi timoroso della mia risposta. Riesco a malapena a trattenere le lacrime, ma appena vedo i suoi occhi non ce la faccio più e mi butto tra le sue braccia, piangendo, la chitarra tra noi due.
«Mi piace molto» mi stacco da lui e lo guardo negli occhi, asciugandomi le lacrime. Lui è senza parole, ma alla fine sorride.
«Allora ne è valsa la pena» afferma, ritrovando la voce.
«La canteresti di nuovo?»
«Di nuovo?»
«Sì … ma aspetta» cerco nella mia borsetta il cellulare che papà mi ha appena regalato, fa delle belle foto e mi viene in mente un’idea. «Non ti da fastidio se ti registro, o sì?»
Jake sembra in imbarazzo vedendo le mie intenzioni, ma sa che non può dirmi di no. Canta di nuovo mentre io tengo in mano il telefono rivolto verso di lui. Le note e la sua voce mi avvolgono ancora e desidero solo che la telecamera possa captare anche le emozioni che fluttuano intorno a noi.
CAPITOLO 10
Avevo ascoltato la mia canzone fino a tardi, la canzone che Jake aveva scritto per me. Dopo che Scott ci riaccompagnò quel giorno, in realtà non parlammo molto, soprattutto ci furono sguardi e sorrisi di complicità.
Il giorno seguente andai a fare spese con mia zia, dato che tutti i miei vestiti mi servivano poco a New York; la temperatura sarebbe scesa ancora di più e non ero attrezzata. Non pensavo di chiedere ad Elena di accompagnarmi. Comprai varie cose, credo che mi entusiasmai troppo, ma sentivo la necessità di vedermi … bella. Sì, era così, volevo vedermi bella. Ovvio, questo non aveva niente a che fare con nessun ragazzo, fu ciò che risposi a mia zia quando me lo chiese, ma lei mi rivolse un sorriso del tipo sì-certo-come-no, che mi confuse.
La odiai davvero quando dovette andarsene, mi ricordava tanto mia madre, ma dovevo ricordarmi che non lo era e che aveva un’altra vita, purtroppo lontana da me. Rimasi giù di morale per giorni. Jake tentava di rallegrarmi, cantava per me e a volte riusciva a strapparmi un sorriso. Ricordai che qui c’era ancora qualcosa per cui valeva la pena restare: Lui.
Elena era sempre più … grossa. E non era per cattiveria ma in fondo ero contenta. Forse sì, era per cattiveria. Venni a sapere che il mio nuovo fratello/sorella sarebbe nato in aprile. Avevo ancora alcuni mesi per terminare il mio primo romanzo senza essere disturbata dal pianto di un neonato. Inoltre decisi di dare una mano in casa, non per lei, ma per non sentire mio padre che me lo ricordava e anche perché così sentivo che non mi regalavano niente, che in realtà mi guadagnavo vitto e alloggio.
Un giorno torno da scuola, non vado a casa di Jake perché mi tocca fare le pulizie, entro e non vedo nessuno, lascio il mio zaino in salotto e mi dirigo in cucina. Ed è quando la sento parlare al telefono nel patio. Davvero non sono pettegola, ma mi sembra di sentirla piangere così presto maggiore attenzione.
«L’ho già fatto, mamma» sembra stia parlando con sua madre. «Sai che io la capisco più di chiunque altro per quello che è successo con papà, eppure non so come avvicinarmi a lei senza farmi odiare.»
Un momento, forse parla di me?
«Sì, mamma, è una situazione difficile. Charles sta male, lei sta male e anch’io. Nessuno può vivere tranquillo in una casa così.»
Per un attimo sono contenta di sapere che anche lei sta male. Non ha il diritto di mostrare la sua felicità quando tutto in questa casa è marcio.
«Lo so, avrò pazienza. Vorrei solo che le cose migliorassero prima dell’arrivo del bambino.»
All’improvviso, non so perché, mi sento in colpa. Ma rifiuto questo sentimento, io non sono colpevole di niente, l’intrusa qui è lei. La ascolto mentre saluta, e corro in salotto a prendere il mio zaino.
«Jocelyn, non ti ho sentita arrivare.»
«Sono appena arrivata, tra un attimo mi metto a fare le pulizie.»
Salgo le scale di corsa e mi chiudo dentro la mia stanza. Sono un po’ confusa. Perché Elena non mi odia come io odio lei? Dopotutto sono arrivata per distruggere la sua piccola bolla di felicità. Davvero sono ingiusta con lei? No, nemmeno per idea, la via non è stata giusta con me, io non devo rendere le cose più facili per nessuno.
Indosso abiti comodi, gli auricolari e passo l’aspirapolvere per tutta la casa, pulisco la cucina, anche se è già pulita e poi faccio una lunga doccia calda. Scendo in cucina e Elena sta tagliando alcune verdure per la cena.
«Ti aiuto» mi offro senza attendere la sua risposta e inizio a tagliare delle carote. Vedo che mi sorride.
Ascolto in replay la canzone di Jake. L’ho convertita in mp3 e in tutti i formati possibili. Sono ossessionata, mi addormento ascoltando la sua voce e continuo ad ascoltarla al risveglio, è come una droga che mi aiuta a continuare la giornata.
Il freddo di dicembre, ci fa stare dentro casa. C’è la neve quando guardo fuori dalla mia finestra. Amo la neve, ma odio il freddo. Una volta che inizio a tremare non riesco più a smettere. Da tempo ormai la mia pelle abbronzata è sparita e guardandomi allo specchio sembro un altro membro della famiglia Adams. Un cappellino nasconde i capelli, ma la faccia da morta, non c’è trucco che la copra, inoltre non ho trucchi, mi chiedo se dovrei comprarne.
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