Morenz Patricia - Per Sempre È Tanto Tempo

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    Per Sempre È Tanto Tempo
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Morenz Patricia - Per Sempre È Tanto Tempo краткое содержание

Per Sempre È Tanto Tempo - описание и краткое содержание, автор Morenz Patricia, читайте бесплатно онлайн на сайте электронной библиотеки LibKing.Ru
Romanzo d'amore. Jocelyn Davis torna a New York Dopo una terribile tragedia familiare, dopo essere andata via cinque anni prima senza salutare il suo migliore amico d’infanzia, Jake Johnson. Ora deve iniziare la scuola superiore senza amici, con l’anima a pezzi, la sua famiglia distrutta e con i suoi sogni incerti di diventare una scrittrice famosa. Senza speranze, si aggrappa a Jake, che le offre di nuovo la propria amicizia. Ma lei non immaginava che si sarebbe innamorata del suo migliore amico e cosa ancor più sorprendente, lui si è innamorato di lei. Tuttavia, Jake ha i suoi sogni ed il futuro minaccia di distruggere la bellezza del presente. Il suo amore potrà attraversare l’incertezza del domani? La tenerezza del primo amore, l’importanza dell’amicizia, il perdono ed i sogni, si intrecciano in questa storia commovente.

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«Ci penso ogni giorno, io dovevo andarmene con loro, non ho nulla da fare qui.»

«Solo perché ancora non sai il motivo perché sei qui, non significa che non hai un motivo per vivere. Sono sicuro che tua madre vuole che cerchi di essere felice.»

«Come posso essere felice, Jake? … Più di cinque anni fa la mia famiglia è stata distrutta perché mio padre preferì spassarsela con un'infermiera piuttosto che arrivare presto a casa per cenare con la sua famiglia. Dovetti trasferirmi a Tampa, in Florida, con mia nonna e mia zia per iniziare la scuola dove non mi conosceva nessuno. Persi il buon rapporto che avevo con mio padre, mi obbligarono ad abbandonare il mio migliore amico e ci siamo persi tanti anni che temo sia troppo tardi per ritrovarci. Mentre in Florida l’orizzonte si tingeva del colore più bello, il mio mondo veniva distrutto, stavolta per sempre. Mio padre mi obbligò a tornare con lui e la sua nuova moglie, che ho appena saputo essere incinta, e dovetti allontanarmi da mia zia e da mio cugino, che è la persona per me più vicina a mia madre e a mia nonna. Come faccio Jake? Come sarò felice di nuovo?» è una domanda retorica, ovviamente lui non può rispondere, ma ci prova.

«Non lo so … ma posso farti compagnia mentre lo scopriamo.»

E in quel preciso momento ho visto un raggio di luce, filtrare tra le nere nubi di tempesta. E so che così la sua luce illuminerà il mio cammino. Non merito la sua amicizia, ma mi aggrapperò ad essa come se fosse l’unico pezzo di legno dopo un naufragio.

«A proposito … grazie per la chitarra» dice e subito sollevo la testa, me ne ero dimenticata. «Non so se è stato un prestito o un regalo, ma ora non te la posso restituire.»

«Era un regalo» gli sorrido «Dovevo dartela per il tuo compleanno. Ti è servita a qualcosa?»

«A qualcosa, no. A molto. Aspettami qui.»

Va di corsa verso casa sua, suppongo in cerca della chitarra di mio nonno – o meglio – della sua chitarra.

Ancora non riesco a crederci, sono di nuovo nella casa sull’albero con Jake, a parlare, come prima. Siamo di nuovo amici e per la prima volta dopo settimane mi sento le spalle più leggere.

Sentire la chiusura della custodia nera che si apre, è già musica per me. Jake prende la chitarra con molta attenzione e si accomoda con le gambe incrociate e raccolte davanti a me. Osservo assorta mentre le sue dita accarezzano le corde.

«Sai suonarla?» chiedo senza riuscire a crederci.

«Certamente, non ho sprecato questo regalo» continuo a guardarlo imbambolata. «Qualche suggerimento?»

«Cosa?»

«Accetto richieste … di canzoni» mi chiarisce.

«Seriamente?» suona un paio di note per farsi valere. «Va bene, confido nel tuo gusto musicale, sorprendimi.»

Sorride mentre osservo nei suoi occhi come la sua mente si sforza di trovare la canzone giusta per questo momento, e quando suona i primi accordi di “ Hey Jude” dei Beatles voglio buttarmi tra le sue braccia e non separarmi da lui mai più. Mamma mi cantava questa canzone quando mi vedeva triste, cambiava Jude con Joce e alla fine riusciva sempre a strapparmi un sorriso. Ascoltare Jake che canta la stessa cosa è magia che accade proprio qui, davanti ai miei occhi.

Davvero mi sarebbe piaciuto ascoltarlo quando stava imparando a suonarla, lo avrei preso in giro dicendogli che suonava male, ma adesso posso solo osservare e ascoltare come le sue dita danzano sulle corde e la cosa più allucinante di tutte è che Jake sa cantare. Non cantare come chiunque, lui canta davvero molto bene. Oltretutto.

«È stato … magico» ammetto mentre posso giurare che lui diventa rosso.

«Grazie» sussurra sorridendo e vedo di nuovo le fossette formarsi sulle sue guance. Sì, questo è Jake, il mio migliore amico. È di nuovo con me e non lo lascerò scappare.

CAPITOLO 4

Sono trascorsi alcuni giorni dalla canzone sull’albero. Ora Jake passa a prendermi tutti i giorni, camminiamo fino alla fermata dell’autobus e pranziamo insieme, o meglio, insieme a Bryan, il suo amico, e a Meryl; non posso lasciarla sola. Facciamo lo stesso tragitto per il ritorno e lo stesso il giorno seguente. Ma questa mattina quando sento l’auto di papà partire più presto del solito, ho l’idea di fare qualcosa di diverso.

«Buongiorno, Jocelyn» mi saluta Elena appena entro in cucina. Lei sta facendo colazione.

«Sì, anche a te» brontolo. Non le direi mai buongiorno.

«Tuo padre ha dovuto andare al lavoro prima del solito, aveva un’emergenza, ma possiamo fare colazione insieme.»

«Grazie per l’informazione e no grazie, me ne vado anch’io» annuncio e inizio a uscire.

«Devi fare colazione, inoltre il tuo amico non è a ancora arrivato.»

Non le rispondo, vado ad un pensile e prendo un paio di barrette di cereali. La guardo come per dire: contenta? Ed esco senza dire altro.

Ma ha ragione, è presto perché Jake sia qui e sorrido mentre mi incammino per fargli una sorpresa. Scarto una delle barrette di cereali e mi godo la mia colazione sotto un cielo splendente, oggi sarà una bella giornata.

Jake chiude la porta di casa e scende le scale in fretta, corre verso il marciapiede e si ferma di colpo vedendomi a un paio di metri di distanza. Vedo incredulità nei suoi occhi.

«Che cosa fai qui?» chiede mentre mi affianca. Sorride per tutto il tragitto.

«Ti stavo aspettando» rispondo facendo finta di niente. «Vieni o no?» inizio a camminare mentre lui mi segue, facendo segno di no con la testa.

«Ehi!» mi lamento quando lo vedo prendere un pezzo della mia barretta ai cereali. «È la mia colazione.»

«Cosa? Perché non hai fatto colazione a casa?»

«Mio padre non c’era e non volevo fare colazione da sola con Elena.»

«Prendi» mi restituisce il pezzo di barretta.

«Certo che no, lo hai già toccato» è solo uno scherzo, non sono schizzinosa.

«È la tua colazione, mangia» cerca di infilarmelo in bocca, mentre corro e ridiamo entrambi.

Mentre riprendiamo fiato dopo la corsa e aspettiamo l’autobus, finisco di fare colazione. Lui non sembra contento. Posso quasi sentirlo fare il discorso che la colazione è il pasto più importante della giornata, ma si astiene vedendo il mio sguardo di avvertimento.

«Perché non le dai una possibilità?»

«A chi?»

«A Elena» e mi si gela il sangue.

«Di cosa cavolo stai parlando?» chiedo sulla difensiva, non finirà bene se lui sta dalla sua parte.

«Dico … lei non è la donna con la quale tuo padre ha ingannato tua madre, lei ha conosciuto tuo padre molto dopo. Non sembra una cattiva persona, non ha colpa per quello che è successo con la tua famiglia e so che magari non sarete mai amiche, ma perlomeno potresti fare colazione in pace con lei. No?»

«NO» assicuro decisa. So che ciò che dice Jake è molto logico, ma semplicemente non posso, non ci riesco. «Lei non sarà mai mia madre.»

«Lo so …» sospira profondamente come se non sapesse come spiegarmi qualcosa di ovvio, ma fortunatamente arriva l’autobus e lì muore questa conversazione inutile.

«Fine della conversazione» sentenzio prima di salire.

«Okay» annuisce alzando le mani in segno di resa. «Ci ho provato.»

Sono in fila aspettando di ritirare il mio pranzo quando alcune ragazze dietro di me iniziano a ridere. Tutti i peli del mio corpo si rizzano anticipando un brutto momento.

«Sai?» commenta una di loro all’altra, «non avere la mamma deve essere orribile.»

«Per questo puoi capire perché le ragazze orfane si vestono in modo orrendo» risponde l’altra.

«Oh no, Lara. Non c’è nessuna scusa per vestirsi male, forse anche sua madre aveva lo stesso cattivo gusto.»

In questo momento ho due opzioni. Opzione a) fare finta di non avere udito nulla, che quelle ragazze non stanno parlando di mia madre e di me e che non sono crudeli di proposito. Opzione b) dimenticare completamente la mia natura non violenta e fare stare zitte le loro maledette bocche. Risultato: senza dubbio opzione B.

Non ha nemmeno il tempo di reagire quando mi lancio su Gina e inizio a tirare i suoi capelli perfetti e a colpirla mentre lei grida tentando di liberarsi di me.

«Devi chiudere la tua maledetta bocca se non hai niente di buono da dire!» le urlo fuori di me.

Gli altri si mettono in cerchio intorno a noi e incitano alla lite. Mi rendo conto che non sento più le grida di Lara che tenta di aiutare Gina, forse quella codarda è fuggita. Prima di riuscire a terminare con Gina sento delle braccia avvolgermi ai fianchi e sollevarmi da terra, mentre io scalcio in aria cercando di riprendere la lite. Gina prova ad alzarsi da terra con la faccia più rossa del drappo di un torero e i suoi capelli biondi sempre lucidi come sulla copertina di una maledetta rivista sembrano aver affrontato un branco di gatti furiosi. Sorrido davanti a questa immagine, ma il mio sorriso non dura molto. Sento le braccia di Jake cedere e appoggio i miei piedi a terra.

«Che cosa sta succedendo qui?» borbotta il preside come una sentenza e allora comprendo cosa ho fatto.

«Questa selvaggia si è buttata su di me!» grida Gina indicandomi.

«Proprio così signor preside, io ne sono testimone» la appoggia Lara.

«Avete dimenticato di dire perché. Avete cominciato voi» faccio notare difendendomi.

«Tutte e tre nel mio ufficio, adesso!» ordina il preside «Gli altri tornino al loro pranzo.»

Sento la mano di Jake stringere leggermente la mia, dandomi il suo appoggio. Lo ringrazio con gli occhi prima di allontanarmi lungo il corridoio. Vedo la faccia angosciata di Meryl e quella sorpresa di Bryan. Tutti gli altri sono divertiti per lo spettacolo. Non tutti i giorni una ragazza come me colpisce una ragazza così popolare e tanto meno davanti a tutti.

«Non posso crederci, Jocelyn!» grida papà appena saliamo in auto. Il preside lo ha chiamato. «Non avrei mai pensato di venire qui e trovare mia figlia in punizione per aver picchiato una delle sue compagne.»

«Non mi pento» affermo convinta.

«Cosa?! Dovrai scusarti con quella ragazza, qualunque cosa ti abbia detto non merita di essere picchiata, per Dio, a cosa stavi pensando?» dice furioso e non riesco più a trattenere le lacrime.

In presidenza mi ero rifiutata di scusarmi, per cui ero ufficialmente in punizione. Anche se, ancora una volta, il preside ha avuto pietà di me, la povera ragazza orfana.

«Forse quello che ha detto su di me non meritava uno pugno, ma non permetterò mai a nessuno di parlare male di mia madre» mio padre si zittisce per un attimo e vedo il suo volto rilassarsi solo un po’ senza sapere come ribattere alle mie parole.

«Andiamo a casa.»

Dopo la predica di mio padre durante la cena, faccio una doccia calda e prendo il mio quaderno giallo, scrivo fino a cadere addormentata. Negli anni scrivere è diventata la mia passione ed è l’unica cosa che mi distrae qualunque sia il momento della realtà che sto vivendo.

Jake: “Hai un buon destro ”, è un messaggio.

Non avevo più avuto sue notizie da quando avevo lasciato la mensa. C’erano delle chiamate perse, ma non avevo richiamato nessuno.

Il mio cellulare vibra di nuovo.

Jake: “Mi dispiace molto che tu sia in punizione.”

Io: “Come lo sai?” rispondo.

Jake: “Oh, scusa … Hai ricevuto un premio?” mi prende in giro.

Io: “Infatti. Il premio per la peggiore figlia del mondo. Sì, sono in punizione fino a data da destinarsi.”

Jake: “Gli passerà.”

Io: “Inoltre a scuola sono in punizione per una settimana perché è la prima volta. Mi sono salvata dalla sospensione perché suppongo che il preside ha avuto compassione di me.”

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