Vignaroli Stefano - La Corona Bronzea
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«Mia Signora! Che gioia vedervi qui. Come potete rendervi conto, lavoro ce n’è tanto da fare, ma ce la sto mettendo tutta. Credo che fra non più di un mese la stamperia potrà ricominciare a lavorare a pieno regime. E tutto grazie a voi. Devo esservi davvero riconoscente per tutto quello che avete fatto per me, e la prima opera che andrò a pubblicare sarà di certo il vostro trattato sui “ Principi di medicina naturale e guarigione con le erbe”. »
Lucia sorrise compiaciuta, ma Bernardino avvertì la forzatura di quel sorriso, che cercava di sovrastare la stanchezza che la attanagliava.
«Ma voi, Madonna, siete davvero stanca. Non vorrei rimproverarvi niente, ma penso che sia ora che ve la facciate finita di visitare tutti questi appestati. Prima o poi vi ammalerete anche voi. Non pensate alla vostra figlia Laura? E ad Anna, che per voi è un’altra figlia? Come potrebbero fare senza di voi? Siete l’ultima Baldeschi rimasta in vita, assumetevi le vostre responsabilità, una volta per tutte! E non solo nei confronti delle bambine, ma della città intera.»
«Oh, Bernardino, non ricominciate con le storie che devo riappropriarmi del governo della città. Ve l’ho detto: sono una donna, non me la sento di occupare un posto che è stato sempre spettante di diritto a un uomo.»
«Non c’è un uomo di questa città che valga la metà di quanto valete voi. Ne è dimostrazione ciò che avete fatto e state facendo per gli ammalati. Ma non basta. Non potete lasciare la città in mano a dei nobili incompetenti, che lasciano che il vicario del Cardinal Cesarini faccia i suoi porci comodi, terrorizzando città e contado, e pretendendo tasse e balzelli da uomini martoriati dalla miseria e dalla pestilenza. È ora di cacciare Cardinale e vicario, e solo voi siete in grado di farlo, prendendo in mano lo scettro che vi spetta di diritto. E poi c’è Mira! Vi siete dimenticata di lei? Avevate promesso di proteggerla, e invece il processo è andato avanti. E ora, per di più, c’è l’accusa di stregoneria per lei!»
«Cosa? Che state dicendo? Il processo nei confronti di Mira è portato avanti dal giudice civile, dal nobile Uberti, e…»
«Padre Ignazio Amici ha raccolto le testimonianze. Sembra che, mentre il Cardinale precipitava dal balcone, qualcuno l’abbia sentito gridare “volo, sto volando”, addirittura col sorriso sulle labbra. E quindi non c’è altra spiegazione se non quella che Mira abbia stregato il Cardinale. Credo proprio che, in queste ore, la giovane sia sotto le grinfie dei torturatori della Santa Inquisizione. Magari tra qualche giorno vedremo sorgere una catasta di legna in Piazza della Morte. Beh, per noi che conosciamo la verità, non sarebbe bello assistere alla morte di un’innocente, per di più in una maniera così atroce.»
Senza neanche ribattere, Lucia si rigirò indignata e si diresse a passo veloce verso il Torrione di Mezzogiorno. «Sia mai!», la sentì gridare Bernardino mentre si allontanava, più rivolta a se stessa che a lui. «Ho promesso che in questa città mai più nessuna donna finirà su una catasta ardente. E manterrò la mia promessa.»
CAPITOLO 3
Preparate orsù le pinze e tenaglie roventi, dopo accenderemo il rogo.
( Tomás de Torquemada)
Le guardie, riconoscendo Lucia e consce della sua autorità, non ebbero il coraggio di sbarrarle il passo. La contessina, paonazza in viso, entrò come una furia nel Torrione di Mezzogiorno. Si ritrovò in un androne deserto. Ogni tanto delle grida femminili, soffocate e attutite dalle spesse mura, giungevano alle sue orecchie. Di certo già stavano torturando Mira. Non sapendo dove fosse la sala delle torture, e non riuscendo a capire da dove provenissero le urla della ragazza, spalancò la prima porta che trovò. Il giudice Uberti era seduto dietro una scrivania, assorto a esaminare scartoffie. Sopra il tavolo spiccava un libro dall’elegante copertina e dal titolo scritto in caratteri cubitali “Malleus Maleficarum”.
«Nobile Dagoberto Uberti! Cosa significa tutto ciò? Avevate promesso di giudicare voi la mia ancella, e di essere clemente con lei. Perché, or dunque, consegnarla agli inquisitori? Avete ascoltato a suo tempo la mia testimonianza. Mira si è difesa, mio zio la stava aggredendo, e forse l’avrebbe uccisa. Lei lo ha solo ferito, e in maniera non grave. Il fatto che sia precipitato dal balcone è stato un caso, una fatalità, indipendente dalla volontà della ragazza. Ve lo ho detto e ripetuto: Mira merita una punizione, ma non la morte!»
Il Giudice Uberti, rispetto a qualche anno addietro, ai tempi del processo contro Andrea Franciolini, era visibilmente invecchiato. Profonde rughe solcavano il suo viso, la schiena si era incurvata e, per camminare, doveva aiutarsi con un bastone di legno di noce. Una grave forma di artrosi, testimoniata dalla deformità delle articolazioni delle mani, lo affliggeva. Anche la vista gli era calata notevolmente e per la lettura si aiutava con una lente di vetro montata su un supporto metallico. A quel tempo erano pochi, infatti, coloro che possedevano degli occhiali, che dovevano giungere da Venezia ed erano assai costosi. Sollevò la testa dalle carte e rispose a Lucia con voce pacata, quasi rassegnata.
«Vedete, mia Signora, ho studiato bene il caso, e mi sembra che ci siano molte, troppe incongruenze. Voi siete l’unica testimone, quindi dovrei fidarmi di quello che mi dite. Purtroppo, gli stessi fatti, raccontati da voi e raccontati da Mira, sono in netto contrasto. Voi asserite che vostro zio abbia sorpreso la vostra ancella a rubare nel suo studio. Ma, a parte i libri, lì c’era ben poco da rubare. E notoriamente, Mira non sa neanche leggere. Oltre tutto so bene che vostro zio teneva denari e preziosi in ben altre stanze. Credo invece che Mira sia entrata di proposito nello studio del Cardinale, sperando che, offrendogli il proprio corpo, sarebbe stata ben ricompensata.»
«Cosa volete insinuare, Giudice?»
«Non voglio insinuare niente. Cerco solo di ricostruire come sono andate le cose, e credo di essermi fatto bene il quadro della situazione. Vedete, abbiamo fatto esaminare da esperti il corpo di vostro zio, prima di ricomporlo per la sepoltura. A parte il fatto che non indossava le calze braghe, il Cardinale aveva il membro completamente ricoperto di una sostanza oleosa, un unguento. A detta degli esperti, trattasi di una sostanza a base di essenze vegetali, che solo le streghe sanno preparare. Ma veniamo al sangue di vostro zio. Voi dite che Mira lo aveva ferito in maniera leggera con un coltello, anzi, con un tagliacarte. Ma di sangue ce n’era in abbondanza, sparso per tutto lo studio, e poi intorno al cadavere, tanto che sembra che il Cardinale, più che per la caduta, sia morto dissanguato. Una sola ferita, ma che ha raggiunto in maniera precisa un importante vaso sanguigno. E quello che è strano è che Mira sarebbe dovuta essere molto più sporca di sangue di quanto non l’abbiamo trovata. Aveva sì i vestiti sporchi, ma se aveva colpito con tale precisione, doveva avere mani e braccia lorde di sangue. E invece così non era! E i vestiti? Non erano propriamente i vestiti di un’ancella, erano vestiti di più importante fattezza.»
«E da tutto questo cosa ne avete dedotto?», chiese Lucia, con la voce che iniziava quasi a tremare, per il timore che l’Uberti stesse per snocciolare la storia che la incolpava della morte del suo zio.
«Vedete», e il Giudice mise una mano sopra il Malleus Maleficarum. «Questo libro, fornitomi da Padre Ignazio Amici, mi ha illuminato. Scritto da due inquisitori tedeschi, Jacob Sprenger e Heinrich Insitor Kramer, qualche decennio fa, esso indica come riconoscere le streghe, a prescindere dai loro poteri. Tutte possono essere riconosciute da un segno indelebile che portano sulla pelle, un neo, una macchia, una voglia o una cicatrice, spesso nascosto dai peli delle ascelle, del pube, o magari dai capelli. Ecco perché gli Inquisitori, come prima cosa, fanno denudare la strega e le fanno rasare tutti i peli, per poter evidenziare questo segno. Ma per Mira questo non è stato neanche necessario. Lei ha un evidente neo in corrispondenza del labbro superiore, proprio sotto il naso, sopra il quale addirittura crescono dei peli. Padre Ignazio afferma che quello è un segno inequivocabile, e io, dopo aver letto questo testo, convengo con lui.»
«E tutto questo cosa avrebbe a che fare con la morte di mio zio?»
«Ne ha a che fare, più di quanto voi, anche come testimone, possiate immaginare. Il fatto che Mira sia una strega è confermato non solo dal neo, ma anche dalle vesti che indossava quel giorno. I soliti esperti che abbiamo interpellato ci hanno confermato che quelli sono abiti che indossano le streghe più potenti, abiti tramandati da generazione in generazione, da madre a figlia. E veniamo dunque alla ricostruzione dei fatti, come ormai è chiaro siano realmente avvenuti. Mira, forte dei suoi poteri, entra nello studio del Cardinale, con la chiara intenzione di sedurlo e di ammaliarlo. Lo scopo è quello di ottenere denari, molti denari, in cambio della prestazione amorosa. Il Cardinale ci cade, si lascia sedurre, si toglie le calze braghe e si prepara a giacere con la vostra ancella. Ma lei vuol aumentare ancor di più l’appagamento dei sensi della sua vittima, e usa l’unguento, per indurlo a un maggior piacere, e di conseguenza a una maggiore elargizione in denaro. Solo che quell’unguento, in dosi giuste aumenta il piacere della carne, ma in dosi eccessive provoca allucinazioni e visioni. No, Mira non vuole uccidere il Cardinale, è l’ultima delle sue intenzioni: non si uccide la gallina che produce le uova d’oro. Ma la situazione ormai le è sfuggita di mano. Chi ha impugnato il coltello per primo? Forse il Cardinale in preda all’obnubilazione, magari per fingere di minacciare la ragazza in un crescendo di gioco erotico. E lo usa anche per tagliarle le vesti al fine di denudarla. Ed ecco che allora la strega, sentendosi troppo a rischio, fa appello ai suoi poteri. Non tocca il coltello, ma lo guida con la forza magica dei suoi oscuri poteri. Solo con la forza del suo pensiero lo lancia contro la spalla del Baldeschi, in un punto ben preciso. Una sola ferita, ma mortale.»
«E poi?»
«E poi, il tocco finale. Apre la finestra e fa precipitare il Cardinale giù dal balcone, addirittura inducendolo a credere che fosse in grado di volare. E quindi, come giudicare questa donna? Quale punizione merita? Non è stata, come dite voi, semplice difesa. Sia pure che all’inizio non era sua volontà, ha ucciso, e lo ha fatto a ragion veduta. Per di più, grazie all’uso di poteri non comuni a tutti, ma specifici di donne che noi chiamiamo streghe. STREGHE! La morte è la meritata fine per un’assassina come lei. La decapitazione. Ma se è una strega, sappiamo bene che la fine che merita è un’altra.»
«No!», esclamò Lucia, che sentiva il cuore batterle forte nel petto al solo pensiero di vedere Mira agonizzante al di là di un muro di fiamme.
Proprio in quel momento, un grido più forte, proveniente dalla sala delle torture, giunse alle sue orecchie.
«Basta così, giudice! Conducetemi immediatamente nella stanza dove stanno torturando quella poveraccia. Quest’orrore deve avere termine subito!»
«Non ve lo consiglio, non è un bello spettacolo a cui assistere. Padre Ignazio e i suoi torturatori non si faranno certo intimidire dalle parole di una donzella, per quanto nobile sia…»
«È un ordine. Conducetemi nella sala delle torture!»
Il Giudice, intuendo che la giovane sapeva il fatto suo e che poteva avvalersi dei poteri che gli spettavano di diritto, per essere la discendente del Cardinal Baldeschi, nonché la promessa sposa di colui che ufficialmente sarebbe dovuto essere designato Capitano del Popolo, abbassò la testa e obbedì a Lucia. Guidò la giovane per scale e corridoi semibui, fino a raggiungere una possente porta, davanti alla quale due energumeni armati di lance sbarravano il passo a chiunque. Le grida di Mira erano ora vicinissime. A un cenno del giudice, i due sgherri si misero di lato e aprirono la porta. A Lucia sembrò di essere giunta all’inferno. La sua ancella Mira era stata legata sopra un tavolaccio, completamente nuda, con le braccia e le gambe divaricate a formare il disegno di una croce di Sant’Andrea. I peli del pube e delle ascelle le erano stati rasati e ora, mentre uno dei torturatori tirava le catene legate ai polsi e alle caviglie della ragazza mettendo in tensione le articolazioni di gambe e braccia fin quasi a slogarle, un altro, con delle grosse forbici, le stava tagliando i capelli, gettandoli in un braciere acceso. Nello stesso braciere, che emanava un fumo pestilenziale, erano stati messi diversi arnesi di tortura perché si arroventassero. Lucia, nonostante lacrimasse sia a causa del fumo che dello spettacolo cui si era trovata improvvisamente ad assistere, scorse Padre Ignazio Amici prelevare dal braciere una grossa tenaglia e avvicinare le branche incandescenti di quest’ultima a uno dei seni di Mira. Se non l’avesse fermato in tempo, le avrebbe afferrato il capezzolo con la pinza, arrivando fino a staccarglielo.
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