Vignaroli Stefano - Nel Segno Del Leone
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«Come ormai ben sai, quelle piastrelle erano decorazioni di un antico tempio romano che sorgeva nell’antichità in questo luogo, e che sono state rinvenute durante gli scavi delle fondamenta.»
«Appunto. E quindi la mia idea è che chi ha disegnato questa illustrazione si sia rifatto a una decorazione dell’antico anfiteatro romano, che sorgeva più o meno tra Piazza Colocci e Via Roccabella. In fin dei conti i leoni venivano utilizzati dai romani, all’interno delle arene, nei combattimenti con i gladiatori.»
«E spesso ne facevano scempio. Che spettacoli orribili! Eppure al tempo erano graditi alla popolazione. In ogni caso, visto che siamo in argomento debbo riferirti che proprio poco fa forse ho individuato un passaggio che potrebbe condurre ai resti di questo antico anfiteatro. Sono riuscito a isolare una porta in legno, a un livello più basso rispetto al resto degli scavi, che secondo me avrebbe dovuto dare accesso alle cantine dell’antico Palazzo del Governo. E se i conti tornano, quelle cantine dovrebbero corrispondere con antichi ambienti riferibili ad alcune zone dell’anfiteatro.»
«Hai provato ad aprire la porta?»
«No, ho bisogno degli strumenti adeguati e di qualcuno che mi assista. Non vorrei provocare crolli.»
«E chi vuoi trovare come assistenti? Siamo prossimi alle festività natalizie, tutti i tuoi amici archeologi si sono dileguati ormai da un pezzo e l’amministrazione comunale ha già deciso di chiudere gli scavi a breve!»
«Credo che basti una persona. E credo che chi fa al caso mio sia ora qui di fronte a me.»
«Oh, scordati di coinvolgermi in un’altra delle tue balorde avventure solo perché fai leva sul fatto che sono innamorata di te», replicò Lucia, indignata. «Non ho alcuna voglia di rimanere sepolta viva tra i ruderi di un anfiteatro romano. E poi, sai bene che soffro di claustrofobia.»
«Lo so», ribatté Andrea sornione. «Ma so anche che la tua curiosità di studiosa riesce a prevalere su tutte le paure. Ne hai dato dimostrazione in passato. E se pensi che là sotto potresti rinvenire l’icona originale rappresentante quel leone traverso…»
«Ehi, pensi di riuscire sempre a farmi fare quello che vuoi?»
Lucia allungò nervosa una mano verso il pacchetto di sigarette e ne sfilò una per accendersela. Rimase con la sigaretta in bocca e l’accendino acceso in mano, interrotta dallo squillo del suo cellulare. Sul display compariva un numero di cellulare, non salvato in rubrica e preceduto dal prefisso internazionale +49.
Lucia e Andrea si scambiarono uno sguardo interrogativo, poi lui le fece cenno di rispondere. Lucia attivò il vivavoce, in modo che anche Andrea potesse ascoltare la conversazione. Dall’altro capo del telefono, una voce maschile iniziò a parlare in lingua italiana quasi perfetta, anche se con accento marcato sulla erre.
«Parrrlo con la Contessina Lucia Baldeschi-Balleani?»
«Per servirla! A cosa debbo l’onore…?»
«Lasci che mi prrresenti! Sono Sua Altezza Imperiale e Rrregale, l’Arciduca Sigismondo d’Asburgo Lorena, Granduca titolare di Toscana e Gran Maestro dell'Insigne Sacro Militare Ordine di Santo Stefano Papa e Martire.»
«Accidenti!», si lasciò sfuggire Andrea in un bisbiglio, per non far arrivare la sua voce al microfono del telefono. «Magari ha deciso di continuare a finanziare le nostre ricerche archeologiche!»
Lucia mise l’indice avanti al naso, per intimare al suo compagno di fare silenzio.
«È un piacere per me apprendere del suo interesse per la mia persona. A cosa debbo, se mi è lecito chiedere, questo onore?»
«Vedo che ha ricevuto un’ottima educazione, e di questo devo congratularmi con lei e con la sua famiglia. Ma veniamo al dunque. Vede, ai sensi dell'articolo 5 dell'attuale Statuto dell’Ordine di Santo Stefano, e in conformità agli antichi Statuti dell'Ordine stesso, ogni anno scelgo tre nobiluomini da elevare al grado di Balì Gran Croce di giustizia, in considerazione di alti meriti acquisiti nella vita, nel lavoro e nello studio. Mai prima d’ora questa onorificenza è stata riservata a una donna. Ma, visti i risultati dei suoi lavori di ricerca sulle origini e sulla storia della sua nobile famiglia, mi sono sentito per quest’anno di fare uno strappo alla regola. E ho deciso che sia lei la prescelta per essere da me nominata Cavaliere di Gran Croce del Balì. Pertanto, la invito ufficialmente alla cerimonia di investitura, che si terrà a Firenze nel giorno del Santo Natale.»
«Ma, Natale sarà appena tra quindici giorni! Ho degli impegni, sia di lavoro, sia personali. Sa, il mio fidanzato, la mia famiglia», cercò di prendere tempo Lucia, un po’ confusa.
«Non si preoccupi. Venga pure a Firenze in compagnia del suo fidanzato o di altri membri della sua famiglia. Chiaramente, il viaggio per lei è del tutto a mie spese. Le sto già inviando per e-mail la prenotazione per il treno Frecciarossa Ancona – Firenze, andata e ritorno, in prima classe. L’aspetto con ansia!», e riattaccò, senza neanche darle il tempo di rispondere.
Andrea e Lucia si guardarono lì per lì con aria allibita, poi scoppiarono in una risata.
«Cavaliere di Gran Croce del Balì! I miei rispetti, Madonna!», declamò Andrea con aria canzonatoria, proferendosi in un inchino. «Penso di avere abbastanza motivi per iniziare a essere geloso. A mie spese , ti accompagnerò a Firenze, non c’è da fidarsi.»
«Ma dai! Sua Eccellenza Imperiale e Regale sarà di certo una vecchia cariatide», replicò Lucia con aria divertita.
«Sua Altezza, non Sua Eccellenza», la corresse Andrea. «In ogni caso, la voce sembrava abbastanza giovanile. Non mi fido, non mi fido. Verrò con te, sempre che tu decida di andare, sia mai che ti lasci andare da sola! E poi non possiamo trascorrere il Natale uno distante dall’altra, non se ne parla nemmeno. Firenze è una bella città, una delle città più romantiche d’Italia. Meglio non sprecare l’occasione di regalarti il più appassionante bacio della tua vita sopra l’Arno, sul Ponte Vecchio.»
«Oh, e da quando in qua saresti diventato romantico, tu che sei sempre stato un ammasso di muscoli e testardaggine?»
«Beh, da quando mi hai fatto ingelosire!», sorrise Andrea. «Ma al di là di questo, Firenze è una bellissima città d’arte e potremmo unire l’utile al dilettevole. In fin dei conti qualcuno scrisse “La bellezza salverà il mondo”, o sbaglio?»
«Fedor Dostoevskij ne “L’idiota”. Prima di sbilanciarti nel pronunciare una citazione, cerca di essere sicuro di conoscere fino in fondo ciò di cui trattasi, altrimenti piuttosto che la figura dello studioso fai quella…»
«…Dell’idiota!», scoppiò in una risata, si avvicinò a Lucia, la strinse in un caloroso abbraccio, avvicinò le sue labbra al suo viso profumato e iniziò a baciarla.
«L’ultima parola è sempre la tua, eh?», riuscì a pronunciare Lucia ansimante, cercando di riprendere fiato e sfilandosi la camicetta. Sentì le mani di Andrea andare a cercare la fibbia del reggiseno per slacciarla, poi lo vide togliersi la maglia per rimanere anche lui a torso nudo. L’urgenza dei corpi nel cercare il reciproco contatto li trascinò in camera da letto, dove fresche lenzuola accolsero i due amanti ormai del tutto nudi.
«La bellezza salverà il mondo», ripeté Andrea, facendole capire che questa volta l’allusione era rivolta solo a lei.
CAPITOLO 7
Cavalcare nella pianura Padana in quella stagione fu considerato da Andrea quasi peggio che navigare in mare aperto. Abituato alle colline e alla montagne delle sue amate terre, non si sarebbe mai aspettato di avanzare per leghe e leghe in un terreno del tutto piatto. Ma l’elemento peggiore era l’umidità, la nebbia che faceva perdere il senso dell’orientamento, tanto era fitta in certi punti, e si infiltrava sotto i vestiti fino ad arrivare a tormentare le ossa. Per non parlare dei sentieri, che spesso si perdevano nel fitto della boscaglia o che portavano dritti a paludi e acquitrini, impossibili da attraversare, costringendo a lunghi e interminabili aggiramenti, se non addirittura a ritornare indietro sui propri passi a scegliere un’altra diramazione della strada. E per fortuna i due soldati che lo accompagnavano erano pratici dei luoghi, altrimenti Andrea avrebbe già rinunciato a raggiungere Ferrara, gettandosi a terra e rimanendo in balìa delle insidie della natura selvaggia della piana dell’Eridano. Finalmente, usciti dal bosco di Porporana, un ampio tratto di campagna coltivata si estendeva, verso il borgo di Pallantone, fino alla riva del fiume Po. Dopo il mezzogiorno, il sole era riuscito a trionfare sull’umidità, e così Andrea notò, non senza disappunto, che senza protezione del bosco e della nebbia, lui e i due armigeri che lo accompagnavano erano del tutto allo scoperto e facile bersaglio di eventuali malintenzionati. Non fece neanche in tempo a terminare questa considerazione, che due cavalieri stranamente bardati li superarono di gran carriera, sollevando schizzi di fango e brandendo sopra le loro teste delle daghe un po’ più lunghe di quelle che Andrea era abituato a usare.
«Chi sono?», chiese Andrea preoccupato.
«Lanzichenecchi. Le spade che avete visto sono dette Lanzichenette, o Katzbalger. Quest’ultimo termine, nella loro lingua, significa pelliccia di gatto. Qualcuno vuol dire che, essendo i portatori di quest’arma di bassa estrazione sociale, essi sono incapaci di acquistarsi un fodero vero e proprio e quindi utilizzano la pelle di un felino domestico in sostituzione di esso. Ma non è così. Molti Lanzichenecchi, pur combattendo come soldati mercenari, appartengono alla ricca borghesia o alla nobiltà teutonica. Il termine Katzbalger è in effetti riferito alla ferocia ferina con cui essi combattono. In battaglia sono capaci di gettarsi tra le prime linee dei picchieri nemici, passando sotto la selva delle lance protese e vibrando quelle spade come mannaie, al fine di spezzarle. Ma non si fanno alcuno scrupolo neanche di mutilare gli avversari, mirando a parti del loro corpo non protette dalle armature. Datemi retta, mio Signore, è gente pericolosa. Meglio starne alla larga.»
«Se sono così pericolosi come riferite, come mai sono liberi di scorrazzare così per le nostre terre?»
«Sono mercenari, e quindi liberi di mettersi al soldo del Signore che li paga meglio. I peggiori di loro sono quelli pagati a doppio soldo. Essi sono i più spietati, addestrati a combattere in prima linea o in zone considerate ad alto rischio. E pertanto vengono pagati con una paga doppia.»
«Non è che magari il termine “doppio soldo” significa che non si facciano scrupolo di mettersi al servizio di due padroni allo stesso tempo, infiltrandosi come traditori o spie tra le file del nemico?»
«Può anche darsi! Ve l’ho detto. È gente di cui non c’è da fidarsi. Ma bando alle chiacchiere!», proseguì Fulvio, il fido armigero. «Il borgo di Pallantone è rinomato per le sue taverne. Cucinano la cacciagione come in nessun altro posto che io conosca…»
«…E la accompagnano con un ottimo vino rosso frizzante. Una vera prelibatezza», aggiunse Geraldo, l’altro armigero che fino a quel momento non aveva mai parlato.
Andrea, attraversando le strade del borgo, notò diverse insegne di locande e taverne, ma i suoi accompagnatori si diressero sicuri fino alla piazzetta principale, dove un’insegna a bandiera indicava in scritte a caratteri gotici la Locanda dei guardiani degli argini . In effetti dalla piazza si avvertiva distintamente il rumore dell’acqua che scorreva con impeto nella golena subito dietro gli edifici di quel lato. Andrea e i suoi accompagnatori legarono le cavalcature agli anelli infissi nel muro esterno della taverna, si assicurarono di avere le spade nei rispettivi foderi ed entrarono nel locale. La sala era piuttosto gremita e l’odore di cacciagione cucinata in salmì si mescolava alla puzza di sudore emanata dagli avventori. Un uomo grassoccio, dal viso rubizzo e la fronte imperlata di sudore, con un sinale bianco legato attorno alla vita, venne loro incontro e li accompagnò a un tavolo libero.
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